Lavoro. Già negli anni ’80 l’allora capogruppo del Pci Giorgio Napolitano, in coppia con il deputato del Pci Ichino, era impegnato contro il dissenso a sinistra sulle riforme del lavoro. Ma da trent’anni la più grande e diffusa discriminazione tra lavoratori non avviene per ragioni di etnia, di sesso, di religione o di genere ma per ragioni di efficienza fisica delle risorse umane
Ho sentito per la prima volta il nome di Pietro Ichino qualche anno dopo la sconfitta alla Fiat del 1980, quando in Parlamento si stava discutendo delle norme di superamento del collocamento pubblico e della abolizione della assunzione per chiamata numerica, invenzione di un conservatore dal nome Giuseppe Di Vittorio (c’è un bel ricordo di Vittorio Foa sulle sue proposte in un incontro in una lega dei braccianti dove avevano litigato su chi doveva essere il primo ad andare a lavorare).
Allora ero in segreteria regionale della Cgil a Torino e seguivo le questioni del mercato del lavoro e della mobilità dei lavoratori. Allora «mobilità» non era sinonimo di licenziamento, venivi posto in cassa integrazione straordinaria e poi attraverso la Commissione regionale per l’impiego si attivava la ricerca di domande di forza lavoro per il reimpiego.
Di quel periodo e di quella esperienza ho il ricordo indelebile dei 179 suicidi tra i lavoratori della Fiat posti in cassa integrazione a zero ore.
Ed ho il ricordo dei miei incontri all’ufficio legale della Cgil di Torino con Mariangela Rosolen, parlamentare torinese del Pci. Gli incontri erano pressoché settimanali e partecipavano gli avvocati della Cgil per scrivere emendamenti e controproposte all’abolizione del collocamento pubblico e della chiamata numerica al lavoro: quando Mariangela ritornava dal lavoro parlamentare a Roma ci raccontava che le proposte erano state cassate sulla base del giudizio negativo del parlamentare Pci Pietro Ichino e che, quando emergeva un dissenso in Commissione, interveniva il capogruppo alla Camera del Pci per dare sostegno a Ichino. Il capogruppo era Giorgio Napolitano.
Anche allora i «conservatori» persero ed ora si può lavorare qualche ora con un biglietto comperato dal tabaccaio.
Ho chiesto nei giorni scorsi a un delegato sindacale della Fiom della Fiat Mirafiori – che ha lavorato sette giorni negli ultimi tre mesi – quali erano i lavoratori in cassa integrazione che ruotavano tra lavoro e cassa e quali no: gli inidonei o parzialmente idonei al lavoro non ruotano. Non solo, dopo lo sciopero alla Maserati di Grugliasco il signor Marchionne aveva bloccato il passaggio di alcune centinaia di lavoratori dalla cassa integrazione alla Mirafiori al lavoro alla Maserati, poi aveva cambiato idea, forse gli avevano spiegato che per produrre più Maserati erano necessari più lavoratori, e i trasferimenti sono iniziati, ma è anche iniziata la selezione medica e parecchie lavoratrici e lavoratori sono stati rispediti indietro.
Sembra che si confermi il reintegro quando avviene per discriminazione; lo scrisse già la signora Fornero. Ma da trent’anni la più grande e diffusa discriminazione tra lavoratori non avviene per ragioni di etnia, di sesso, di religione o di genere ma per ragioni di efficienza fisica delle risorse umane.
E a proposito di donne che lavorano, non va ignorato che tutti gli studi epidemiologici evidenziano come incontrano prima degli uomini il momento in cui nella loro vita subiscono delle disabilità, dati riportati negli atti degli «stati generali delle donne», conferenza promossa annualmente dal morituro Cnel.
Oggi in cassa integrazione ci sono circa mezzo milione di lavoratrici e di lavoratori che hanno in molti casi subito delle selezioni per ragioni di salute, sono i prossimi candidati al licenziamento?
Inoltre, va considerato che il fenomeno dei suicidi rappresenta solo la punta dell’iceberg dell’emarginazione e del disagio derivante dalla perdita del lavoro.
Gli studi sul ricorso ai servizi di salute mentale dei lavoratori emarginati sono anch’essi numerosi e si possono leggere. Sarebbe interessante conoscere anche l’incidenza degli infarti cardiaci tra i lavoratori licenziati e in mobilità e non è difficile ricostruire i dati.
Sul giornale della Confindustria c’è un articolo che annuncia che con la flessibilità si sono creati nel mondo 10 milioni di posti. Nel sottotitolo si evidenzia «contratti a costo dimezzato per i neoassunti nel settore automobilistico». Dicono che non ci sarà una riduzione dei salari ed è l’ennesima bugia: quali sono il salario ed i diritti di partenza? Entrare in una impresa di pulizia con il contratto a tutele crescenti al 65–70% del salario del privilegiato già assunto, per imparare in tre giorni come si fa il lavoro e aspettare tre anni per superare il periodo di prova non si configura, anche in questo caso, come discriminazione?
So già la risposta, non è apartheid perché è il mercato che decide. Ma io il signor Mercato non ho ancora modo di conoscerlo, conosco invece il signor Marchionne, il signor Passera … e ora anche il signor Renzi e via di seguito…
Non decide il mercato, decidono loro.
I servi della gleba erano servi perché vincolati alla terra. Come ci ha spiegato Karl Polany, ci volle l’abolizione delle norme medievali sul vincolo a dimorare nel territorio della parrocchia e la «Speenhamland Law» che garantiva il pane per sfamarsi per te e la famiglia alla fine della giornata per costruire un mercato del lavoro. Ed ora siamo ai servi del mercato.
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