domenica 21 settembre 2014

La sinistra è il Lavoro di Alfredo Morganti, Nuovatlantide.org

sinistra_destra
La battaglia sul lavoro è la battaglia della sinistra. Non è vero che quest’ultima nasca sui diritti, sull’ambiente, sulle libertà politiche, sulla tutela dei disagiati e dei poveri in generale. No, vive certo di queste cose, le assume inevitabilmente nei propri programmi, ma nasce in verità su una cosa solo, sul lavoro, la sua tutela, la sua difesa, il suo rafforzamento, la sua crescita, il suo miglioramento. Certo. Il lavoro negli anni si è trasformato, sono mutate le condizioni del lavoratori, era lavoro di massa, si è in parte parcellizzato, ha accumulato o perduto potere, ma esso resta un punto di riferimento culturale, politico, morale per una sinistra che voglia dirsi tale, pur se profondamente rinnovata nelle sue caratteristiche. La sinistra non può non pendere sempre sullo stesso lato della contraddizione fondamentale (tale è, anche se ne sorgono di nuove), pena la necessità di cambiare nome e mestiere. Quando cesserà l’esigenza di lavorare, quando la trasformazione del mondo si affiderà ad altro, quando non sarà più il lavoro a garantire l’esistenza di un’economia, allora la sinistra finirà quasi istantaneamente di vivere, mancandole la ragione storica fondante. Cesserà di esistere per mancanza di presupposti essenziali.
Non è sbagliato dire, allora, che sul lavoro la sinistra si gioca la strada di casa. Sulla qualità del lavoro, sul suo potere, sul ruolo che occupa nella società. Parlo del lavoro che modifica il mondo, non necessariamente di quello manifatturiero. Mi riferisco a tutto ciò che impegna l’umanità in un’opera, penso soprattutto ai milioni di donne e uomini che ogni giorno vanno in fabbrica, ufficio, ospedale, scuola, negozio e si mettono al servizio di un compito essenziale: farci sentire una grande organizzazione umana, dove si fa economia, si fa cultura, si fa socialità, e dove ogni giorno beni e servizi vengono prodotti (si spera) per il bene comune, non solo per l’infinita ingordigia di taluni. Senza questa lavoro, questa massa di donne e uomini, la sinistra sarebbe nulla. Perché i diritti hanno gambe e braccia, così pure l’ambiente. E anche le libertà che senso avrebbero se i lavoratori fossero degli schiavi? Per non dire dei poveri, la cui speranza è un gesto di solidarietà efficace, a partire dagli altri disagiati e dalle istituzioni pubbliche o private dove altri uomini lavorano e si impegnano ogni giorno.
Ora la battaglia è al culmine. Nel mondo le grandi imprese producono lucrando profitti su popolazioni affamate di lavoro, sottopagate e poverissime di tutele. In Italia quelle poche tutele stanno per saltare, gettandoci tutti (TUTTI) a partire dai più giovani (i neoassunti – ma neoassunto può essere chiunque, a qualunque età esca dal ciclo lavorativo) in un vortice sfrenato di mini jobs e lavoretti, oppure in impieghi di maggior peso, ma dove sei licenziabile senza motivo 24 hours. Certo ci sono le politiche attive, che fanno subito (subito?) da sponda e ti rioccupano altrove non appena licenziato (sempre che trovino le decine di miliardi che servirebbero alla scopo), producendo però carriere lavorative da schifo. E allora è qui, sempre qui, è questo il “campo” della sinistra (di cui tutti discettano e pochi a proposito). Se c’è uno spazio dove giocarsela, dove decidere il proprio destino e il proprio senso, per la sinistra questo è il campo del lavoro. E più cresce la spinta a comprimere diritti, demansionare, dequalificare, mobilitare, restringere le libertà, più la sinistra diventa indispensabile, tragicamente necessaria, nel PD e fuori dal PD. Di qui non si sfugge.

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