domenica 2 novembre 2014

Il tempo dei giochi è finito: l’altro mondo non ci sta più Di ilsimplicissimus


Putin-Valdai-Speech-1410Mentre la Nato e la statistica dei ricchi (vedo qui), ci rimbambiscono di bugie, la grande informazione ha completamente e volutamente ignorato il discorso fatto da Putin a Sochi, nell’ambito di un incontro del  Valdai discussion Club, limitandosi a riportarne poche parole, che separate dal contesto parevano di minaccia. Ma nel mondo reale e non quello inventato e censurato nel quale siamo costretti a vivere il discorso rappresenta un punto di svolta epocale che riguarda certo da vicino la Russia, ma che di fatto è il manifesto della multipolarità, contrapposta all’autoproclamatosi impero del bene. Il testo completo in inglese potete trovarlo qui Discorso di Putin
Si tratta del primo scontro al massimo livello tra il sistema di potere americano debordato poi nella fumisteria canaglia del neoliberismo e le potenze emergenti, alcune tanto emerse come quella cinese da aver superato con molti anni di anticipo rispetto alle previsioni quella Usa. Tra economia finanziaria ed economia reale. Tra internazionalismo dei ricchi e sovranismo produttivo. Tra società a trazione dirigista di vario tipo, ma con un forte ruolo statale nell’economia e democrazie spolpate dall’interno e divenute oligarchie mercatiste. Tra Paesi in crescita e Paesi in declino. Potrei continuare a lungo ad elencare dicotomie, ognuna delle quali richiederebbe lunghe spiegazioni e discussioni, ma per non annoiare torno a Putin e al suo discorso che potrebbe essere riassunto  in tre capitoli principali.
Il primo riguarda la situazione la situazione mondiale che, secondo il leader russo, è stata portata nel caos più completo dal  tentativo degli Stati Uniti di conservare un’egemonia che non è più nei fatti e che ha finito per travolgere sia il diritto internazionale che le istanze di regolazione globale che ad esso facevano riferimento in qualche caso private di autorevolezza e autonomia in altri ridotte a longa manus di Washington. La pulsione imperiale ha anche prodotto un tentativo di creare un nuovo ordine mondiale e assieme sociale che – anche se Putin non lo dice esplicitamente -ha distrutto il tentativo europeo e ha fatto delle istituzioni continentali un succedaneo della Nato.
La seconda parte concerne la reazione russa a a tutto questo: Mosca non intende contrastare il tentativo Usa di egemonizzare tutto il mondo occidentale secondo i modelli neoliberisti, ma si opporrà con tutte le sue forze se qualcuno pretenderà di trascinare e implicare la Russia all’interno di questo disegno che secondo Putin si mostra già fallimentare, un castello di sabbia. Dunque porte aperte al mondo, ma  promessa di tempesta nel momento in cui l’impero del caos volesse aggredire gli interessi del Paese. ” La Russia non vuole assolutamente la guerra, ma non ha paura della guerra”.
La parte finale riguarda un codice di comportamento che si collega al resto: ossia Mosca non cercherà di proporsi apertamente come potenza alternativa, portatrice di un nuovo imperialismo, ma non si presterà più ad incontri e accordi burletta, a commedie e farse internazionali, a negoziati dietro le quinte, ma solo ad accordi seri che si fondino sul bene della sicurezza collettiva e siano basati sull’equità, ovvero sul rispetto degli interessi di ogni parte.

Sono evidenti due cose: che si tratta di un discorso di svolta totale rispetto al tentativo della Russia post sovietica di essere trattata alla pari nel concerto della globalizzazione. La vicenda Ucraina ha messo una pietra tombale su questa strategia. E poi che Putin parlava ovviamente si della Russia, ma esprimendo una linea di condotta comune a tutte le nuove potenze  le quali si sentono minacciate dalla sfacciata arroganza statunitense, divenuta spudorata sopraffazione da quando su Washginton si è insinuata la paura concreta di perdere l’egemonia mondiale con tutte le catastrofiche conseguenze sulla propria economia gonfiata con gli ormoni del dollaro come moneta unica di scambio globale.  A Mosca, a Pechino, a Nuova Delhi come a Brasilia, come in gran parte del frammentato mondo mussulmano si ha la sensazione che nulla verrà risparmiato per creare problemi, per affossare le elite locali, per innescare conflitti, creare falsi movimenti di protesta, cercare il caos e la frammentazione pur di fermare il processo di multipolarizzazione del mondo. Per questo c’è un riavvicinamento tra i nuovi grandi decisi a non farsi più ricattare.
Finora si erano avuti scontri su temi particolari, ma non si era ancora arrivati alla definizione così decisa e coerente di un confine che non può essere attraversato, né in nome del quieto vivere, né sotto l’assedio dei ricatti e tanto meno in quello di una tacita accettazione della “eccezionalità americana” che viene contestata in sé e nella sua valenza pretestuosa. Il mondo è cambiato: ma agli europei non lo fanno sapere.

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