domenica 20 luglio 2014

Chi è Juncker, il nuovo presidente della Commissione Europea? Una breve nota su crescita e austerity Clash City Workers


homo-sapiensJean Claude Junker, politico e avvocato lussemburghese, è stato nominato Presidente della Commissione Europea, con ben 422 voti favorevoli (per la maggioranza assoluta erano necessari 376 voti su 751), 250 contrari e 47 astensioni. Ma cos’è la Commissione? E chi è Junker? Di quali equilibri è frutto la sua nomina? Cosa ci dice questa notizia a noi proletari, studenti, disoccupati, lavoratori? Cerchiamo di rispondere a queste domande.


1. Che cos’è e a che serve la Commissione Europea
Si tratta di uno degli organi più importanti dell’Unione, secondo solo al Consiglio Europeo - che, essendo composto dai Governi dei singoli paesi, e fissando le priorità generali dell’UE, mantiene una sua premazia -. La Commissione, che è formata da 28 commissari, serve ad armonizzare gli interessi delle differenti borghesie continentali, a rappresentare questi interessi nel suo insieme e a renderli attuativi. Il suo stesso nome ci dovrebbe far capire molto di quello che è: come ci ricorda l’etimologia della parola - e di parole analoghe come “commissariato” - indica qualcosa di ben poco democratico: un ristretto numero di persone specializzate in una data materia, deputate a speciali operazioni, che agevolano le procedure decisionali.
Difatti la Commissione è quell’organismo che prepara le proposte per le normative europee, gestisce il bilancio dell’UE e l’assegnazione dei fondi, applica il diritto dell’UE, rappresenta l’Unione sulla scena internazionale, negli organismi sovranazionali o nella negoziazione gli accordi internazionali etc. Con la Commissione siamo di fronte, in altri termini, a un perfezionamento del potere esecutivo – perfezionamento che a ben vedere è la ragione stessa dell’Unione Europea, che nasce proprio per accordare le diverse borghesie e i diversi paesi imperialisti del continente contro i rispettivi proletari.
Il Presidente della Commissione viene nominato dal Consiglio europeo, che poi, d’accordo con il Presidente eletto, designa anche gli altri Commissari. L’elezione del Presidente è dunque frutto di un accordo fra i diversi stati membri, ovvero fra i diversi Governi, che come sappiamo non esprimono gli interessi della maggioranza della popolazione, ma delle rispettive classi dominanti. La nomina del Presidente è dunque sempre il frutto dell’equilibrio raggiunto tra le diverse borghesie nazionali: ”Chi è” l’equilibrio in questo caso, in questa situazione particolarmente delicata, di gestione della crisi o della stagnazione economica?

2. Jean Claude Junker
Lo possiamo facilmente capire guardando la biografia di Junker. Se facciamo una piccola ricerca e analizziamo la sua carriera salta immediatamente all’occhio come egli incarni perfettamente l’uomo adatto sia alla destra che alla “sinistra” europea, sia ai fautori dell’austerity che a quelli della crescita… Definito non a caso il democristiano più socialista che ci sia, Junker rappresenta una nomina di “scambio” tra i due partiti, l'uno, quello popolare, vincitore di misura delle ultime elezioni europee, l'altro, quello “socialista”, che ha ottenuto un risultato molto più vario (pessimo in Francia, sorprendente in Italia), ma che rappresenta uno dei perni della governabilità europea in un momento di grande crescita dei partiti “antieuropeisti”.
Junker impersona alla grande il ruolo di mediatore per la classe borghese a livello internazionale. Ha iniziato la sua carriera politica come membro del Partito popolare cristiano sociale, dove ha carriera bruciato rapidamente le tappe diventando nel 1984 Ministro del Lavoro e delle Finanze del Lussemburgo e anche Primo ministro dal 1995 al 2013. Ha inoltre ricoperto notevoli ruoli anche a livello internazionale, assumendo dal 1995 la responsabilità di governatore del Fondo Monetario Internazionale e di Governatore della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo prima di presiedere l’Eurogruppo dal 2005 al 2013. C’è infine spazio per una nota di colore: Junker ha dato le dimissioni dal governo del Lussemburgo l’11 luglio 2013 a seguito di uno scandalo attinente ai servizi di intelligence,. Il nostro è stato infatti accusato di aver costituito una vera e propria polizia politica segreta e di aver schedato illegalmente centinaia di migliaia di cittadini…
Insomma, una bella carriera! Se si scende nello specifico di quello che ha fatto, si vede che Junker di ricette contro i proletari ne conosce eccome. È quindi perfettamente credibile dal punto di vista del “rigore”: le politiche per cui si è sempre battuto, per quanto sia un personaggio che ama più lavorare nell’ombra che battersi sulle piazze, sono tutte politiche neoliberiste, di tagli alla spesa sociale, di riduzione dei salari, di maggiore sfruttamento complessivo della forza-lavoro. Ma attenzione! Junker è credibile anche da un punto di vista “socialista”: è infatti attento alla costruzione del consenso (le sue ultime dichiarazioni al Parlamento UE parlano di “dare più legittimità democratica alla Troika”), e già dal suo primo discorso ha mostrato sensibilità verso il partito della “crescita”, tanto che Martin Schulz, il noto socialdemocratico tedesco Presidente del Parlamento, ha addirittura dichiarato: “E’ un giorno storico per l’UE e per la democrazia europea”.

3. Il discorso di Junker: un programma per i prossimi mesi?
Nel suo primo discorso Junker ha quindi dato un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Da un lato ha ribadito più volte che il Patto di stabilità non si tocca, che dunque non si toccherà l’austerity, il “mettere i conti in ordine”, il fiscal compact, e tutte queste simpatiche politiche che stanno gravando sui popoli europei e in particolare sui proletari, che fra spending reviw e ridimensionamenti del pubblico si vedono con meno lavoro, meno salario e meno servizi.
È stato però anche attento a quelli che sono gli interessi di un’altra fetta della borghesia continentale, quella che chiede maggiore “flessibilità”, ovvero la possibilità di ottenere margini di manovra e di spesa per far ripartire un ciclo di accumulazione. Junker promette di mobilitare “fino a 300 miliardi in tre anni”, da impiegare in un “ambizioso pacchetto per lavoro, crescita e investimenti”. Al di là dell’astrattezza propagandistica di queste dichiarazioni – tanto che Draghi e la BCE hanno subito dichiarato che, se questi restano i Patti, i 300 miliardi non ci sono – la cosa più interessante è vedere come Junker parla di noi, dei nostri, ossiavedere come lui e le classi dominanti sappiano che – anche se non siamo organizzati, se siamo in difficoltà etc – siamo pur sempre una minaccia.
Cerchiamo di rinunciare al nazionalismo e di giocare come squadra, bisogna riabilitare il metodo comunitario. La distanza tra livello europeo e cittadini aumenta, l'Europa ha bisogno di spiegarsi e noi abbiamo l'obbligo di spiegare meglio l'Europa. Abbiamo bisogno di un profondo piano di riforme. La gente ne ha paura, le sente minacciose, ma chi non le vuole affronta rischi più grandi. Abbiamo perso concorrenzialità perché abbiamo segnato il passo. L'Europa va resa un luogo attivo per cittadini e investitori. E l'economia deve servire i cittadini, le regole del mercato interno non devono valere più delle regole sociali, il mercato non deve prevalere. Sono un entusiasta dell'economia sociale di mercato. Benessere per tutti deve essere la nostra massima. Con la crisi non ha fallito l'economia sociale di mercato, ma quelli che hanno fatto politica badando solo ai profitti. Vorrei essere un presidente del dialogo sociale.
Serve la crescita, non finanziata da debiti che sono solo un fuoco di paglia. Abbiamo bisogno di investimenti, di un pacchetto di investimenti e un programma con un obiettivo: mettere le persone al centro della società. Al nostro interno sorge un 29mo stato, quello dei senza lavoro. Vorrei che questo diventasse un 'normale' Stato membro. Entro il febbraio 2015 vorrei che fosse pronto questo programma. E che nei prossimi 3 anni siano dedicati 300 miliardi di euro per questo programma. Da finanziare con i fondi strutturali a disposizione e misure mirate. Investimenti coordinati nella banda larga, reti energetiche, infrastrutture e trasporti. Investimenti nel settore industriale, ricerca e sviluppo. Ed energie rinnovabili, che sono la premessa per l'Europa del domani, un luogo che sappia svilupparsi in modo sostenibile anche in riferimento agli altri attori globali.
La crisi non è finita. Ci sono milioni di disoccupati. Dobbiamo creare una sorta di governance economica e proseguire con le riforme strutturali”.

4. Perché questo discorso ci deve interessare?
Quando i padroni parlano dei proletari, i proletari si dovrebbero sempre preoccupare. Dietro queste belle parole di Junker ci sta un piano ben preciso. Non dobbiamo illuderci, Junker e l’UE non hanno alcuna sensibilità sociale: l’Unione, nata come arma dei padroni, non è riformabile. Quello che a loro interessa è da un lato governare la crisi e le possibili risposte dal basso, dall’altro lato “rafforzare competitività e stimolare gli investimenti”. Ma avremmo ormai dovuto imparare che competitività in regime di capitale vuol dire lavorare di più, essere pagato di meno, e che gli investimenti si attraggono se si hanno maggiori margini di profittabilità rispetto agli altri paesi del mondo. Da qui le più volte evocate riforme strutturali. Quello che insomma Junker e la classe politica europea ci preparano è un nuovo giro di vite sui nostri diritti e sulle nostre condizioni di vita e di lavoro.   
In questo discorso, nella scelta di Junker come figura di mediazione, appare dunque chiara una cosa che diciamo da tempo: in Europa i due orientamenti della “crescita” e dell’”austerity” sono solo apparentemente contrapposti! E questo innanzitutto perché i due termini, presi così, non hanno alcun senso: in regime di capitale, quello che è crescita per uno è austerity per l’altro. Il rapporto fra i due poli è dialettico. La “crisi” dell’Eurozona è stato uno scontro determinato da precisi interessi correlati alla diversa strutturazione produttiva e finanziaria degli Stati membri. L’austerity imposta in questi anni all’Italia (o meglio, al proletariato e alla piccola borghesia italiana), così come agli altri PIGS, è stata crescita di profitti per la borghesia tedesca, così come la crescita che oggi chiede la borghesia italiana non sarebbe altro che ridimensionamento dei profitti della borghesia tedesca, che si scaricherebbero indirettamente sui proletari di altri paesi…
Non solo quindi, non esiste un’astratta austerità (il modo di produzione capitalistico si basa appunto sul fatto di fare profitti, e gli alfieri dell’asuterity hanno ben riempito le casse negli ultimi anni), ma non esiste nemmeno un’astratta crescita, se la intendiamo,  riprendendo la propaganda di Junker, come “benessere collettivo”. La crescita del PIL e dunque dei profitti, che è l’unica crescita che il capitale conosce, la si produce, gira e rigira, solo spremendo i lavoratori!
Si capisce dunque perché oggi erano tutti d’accordo. Tutti i padroni d’Europa vogliono le riforme strutturali, che siano tedeschi, olandesi, italiani o persino greci: perché questo aumenta i loro margini di profitto… Ma se questo è vero, allora vuol dire che l’alternativa che dobbiamo seguire, sia nell’analisi, che nel pensare alle nostre pratiche, non è quella fra UE vs Italia, fra popolari vs socialisti, fra crescita vs austerity, ma fra borghesia vs proletariato.
Bisogna tenere fisso questo punto, perché siamo nell’Italia di Renzi, che di Junker è stato uno dei maggiori sponsor e che gli ha “aperto la strada” nel discorso di insediamento al semestre di presidenza italiana del Consiglio Europeo. Nel suo discorso inaugurale Renzi aveva messo l’accento proprio sull'importanza della crescita che d'ora in poi l'Unione devefavorire affinché non si rinvigoriscano sentimenti nazionali e di diffidenza. Nei prossimi mesi il ritornello del “produrre crescita” ci assillerà, e sembrerà una cosa tanto di sinistra e tanto vicina ai cittadini. Non dovremo ascoltare le sirene, ma far valere – sempre e in qualsiasi momento – i nostri interessi di classe, proprio come dall’altra parte della barricata la borghesia fa valere i suoi.

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