Intervista di Roberto Ciccarelli
Il premier allora torna da Bruxelles con un successo o con un’illusione?
Nel corso di questi anni abbiamo registrato una progressiva
divaricazione tra le narrazioni politiche e la realtà dei fatti.
Lo dimostrano gli errori sistematici commessi dalla stessa
Commissione Ue sulle previsioni dell’andamento del Pil
nell’Eurozona: nel caso dell’Italia sono stati anche superiori ai tre
punti percentuali. La mia sensazione è che Renzi stia addirittura
accentuando questo iato, anziché dare un contributo per rendere le
parole della politica un po’ piu in linea con i processi reali.
La crescita è una speranza fondata per il 2014?
Per dare un’idea di quanto sia improbabile, basta notare che gli
obiettivi di bilancio dell’esecutivo sono stati fissati sulla base di
una già modesta crescita dello 0,8% nel 2014. Ebbene, questa
previsione è già stata smentita dagli ultimi dati. Nel momento in cui
ci renderemo conto che l’andamento effettivo del Pil è peggiore del
previsto, anche quel po’ di margine sul deficit chiesto da Renzi
verrà bruciato.
A Bruxelles sembra essere
passata l’idea che l’ammorbidimento del rigore fiscale avverrà man mano
che la Commissione Ue riscontrerà il grado di avanzamento delle
«riforme». Di quali riforme si tratta e quale modello sociale ed
economico disegnano?
In realtà non è nemmeno detto che questa idea sia passata. Al momento
c’è solo una generica dichiarazione di apertura da parte della
Merkel. Ma nero su bianco abbiamo due documenti della Commissione Ue
e dell’Ecofin che si muovono in direzione opposta rispetto a quanto
auspicato da Renzi. Per quanto il premier chieda briciole, la
trattativa per ottenerle si annuncia comunque difficile. In
cambio, oltretutto, il governo farà riforme che rispondono a due
tipologie. La prima è relativa all’assetto istituzionale:
accrescimento ulteriore del potere dell’esecutivo in nome della
decantata governabilità. È un processo che implica un’erosione
ulteriore dei margini di esercizio della democrazia.
E la seconda riforma?
È una vecchia conoscenza: flessibilità del mercato del lavoro.
Dopo il fallimento della dottrina della “austerità espansiva”, cioè
della idea per cui l’austerità avrebbe garantito la ripresa
economica, ora si punta su altre dosi di precarizzazione dei
contratti di lavoro.
Nel “monito degli economisti” pubblicato
sul Financial Times nel 2013, promosso con Riccardo Realfonzo e
sottoscritto da Rodrik, Galbraith, Gallegati ed altri, annunciavate
che l’Europa sarebbe passata dall’austerità espansiva alla
precarietà espansiva. Di cosa si tratta?
La previsione è confermata. Ci dicono che la nuova onda di
precarizzazione del lavoro porterà crescita dell’occupazione. Ma
per capire davvero dove porterà la riforma Poletti basta guardare i
dati dell’Ocse e dell’Fmi: non vi è nessuna conferma della tesi per
cui più precarietà determina più occupazione. Se è vero che i
contratti flessibili inducono le imprese ad assumere un po’ di più
nelle fasi di espansione economica, è altrettanto vero che questi
contratti permettono alle imprese di distruggere quegli stessi
posti di lavoro nella recessione. L’effetto netto di queste
politiche è zero. Eppure il ministro Padoan, che viene dall’Ocse e
conosce questi risultati, insiste con la fantasia secondo cui la
precarizzazione accresce l’occupazione. Siamo di nuovo in presenza
di uno scarto tra narrazione e realtà.
Se la crescita non c’è che cosa accadrà nei prossimi mille giorni del governo?
Quello che si è già verificato negli ultimi anni. Ancora una volta,
rileveremo una distanza tra obiettivi e risultati, sia dal punto di
vista del deficit pubblico che da quello della crescita economica e
dell’occupazione. L’auspicio di Renzi, secondo il quale si può agire
nell’attuale quadro istituzionale europeo per uscire dalla crisi,
andrà a sbattere contro il muro dei fatti.
Sembra ormai escluso un
processo di riscrittura dei trattati europei, come anche una
revisione del ruolo della Bce. Quale sarà il futuro economico e
sociale dell’Europa meridionale nei prossimi cinque anni?
Dall’inizio della crisi i paesi del Sud Europa hanno perso oltre 6
milioni di posti di lavoro. In Germania c’è stato invece un aumento di
1,5 milioni di unità. Queste divaricazioni delineano un processo
di «mezzogiornificazione» europea, che riproduce su scala
continentale il tremendo dualismo economico che ha
condizionato i rapporti tra Nord e Sud Italia. In questo
scenario prevedo nuovi successi per i movimenti reazionari e
xenofobi. Temo che i risultati delle elezioni europee siano solo
l’inizio di un lungo ciclo politico, in cui ci troveremo nella
tenaglia di due tipologie di destre: una europeista e
tecnocratica nella quale si inserisce anche l’attuale compagine
che sostiene il governo italiano; l’altra ultranazionalista e
potenzialmente neo-fascista, come il Fronte nazionale in Francia.
Mentre il lavoro e le sue residue rappresentanze sembrano
paralizzate e silenti, in modo analogo a quanto già accaduto nei
momenti più cupi della storia europea.
Il 3 luglio parte la raccolta firme sul referendum contro il Fiscal Compact. Cosa ne pensa?
Sul piano tecnico-giuridico l’iniziativa si muove lungo un sentiero
impervio. Sul piano politico, se passa, potrebbe aiutare ad
accelerare le contraddizioni di un quadro europeo che in
prospettiva resta insostenibile. Le contraddizioni, tuttavia, potranno
risultare feconde solo se le singole iniziative di mobilitazione
saranno inserite in progetti politici più generali. Personalmente credo
che i tempi siano maturi per avviare una critica di quello che talvolta
ho definito “liberoscambismo di sinistra” e per promuovere un rilancio,
in chiave moderna, del tema del piano.
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