Dalla parte di chi stavamo a Via Rasella, il 23 marzo 1944,
quando i partigiani dei Gap uccidevano in un agguato trentatré soldati
tedeschi?
Dalla parte dei partigiani, soprattutto dopo che i nazisti per
rappresaglia massacrarono 335 civili italiani innocenti alle Fosse
Ardeatine. Qualsiasi tentativo di addebitare ai partigiani la
responsabilità morale di quell'eccidio trova da parte nostra un muro,
quello del diritto inalienabile di ogni popolo alla resistenza contro un
invasore.
Ogni popolo ha il diritto di difendersi, e perciò ogni buonismo equidistante di fronte a bombardamenti indiscriminati e quasi duecento morti palestinesi è pura ipocrisia. Anzi: è complicità. Anche quando veste i panni della pace e usa toni che vorrebbero commuovere perché hanno la velleità di essere accorati.
Tifare per la pace, non per la politica, soprattutto quando la si desidera stabile e duratura, vuol dire tifare per l'oppresso. Costringe a fare i conti con i motivi storici che stanno alla base di una "guerra". Anche quando di guerra non si tratta, ma di puro arbitrio come in questo caso. Volere la pace obbliga a considerare la sproporzione delle forze in campo, a non fare finta che duecento morti pesino come tre, il cui omicidio tra l'altro non è stato rivendicato da nessuno. Soprattutto quando quei duecento morti non erano in alcun modo responsabili, quando la loro unica colpa era quella di essere palestinesi, nati sulla terra che un tempo era casa loro e oggi il teatro di un infame apartheid fatto di mille piccoli e grandi soprusi, che nessuno di noi vorrebbe per se stesso o per i suoi figli.
Non vorremmo abbracciare il cadavere di un bambino con il cranio asportato di netto, che fino a un istante prima sorrideva e ci chiamava fratello, sorella, madre, padre, zio, zia, amico. Voi lo vorreste? Perciò, i toni sdegnati di chi dice di stare dalla parte della pace, accusando chi si schiera al fianco di un popolo oppresso e sottomesso, altro non sono che la faccia presentabile di un sionismo appena un po' più umano. Ammesso che privare un popolo della sua terra e ridurlo in miseria e disperazione possa anche solo vagamente essere associato con la parola "umano".
Noi, come Vittorio Arrigoni, abbiamo deciso da che parte stare, perché senza giustizia non c'è nessuna pace.
Ogni popolo ha il diritto di difendersi, e perciò ogni buonismo equidistante di fronte a bombardamenti indiscriminati e quasi duecento morti palestinesi è pura ipocrisia. Anzi: è complicità. Anche quando veste i panni della pace e usa toni che vorrebbero commuovere perché hanno la velleità di essere accorati.
Tifare per la pace, non per la politica, soprattutto quando la si desidera stabile e duratura, vuol dire tifare per l'oppresso. Costringe a fare i conti con i motivi storici che stanno alla base di una "guerra". Anche quando di guerra non si tratta, ma di puro arbitrio come in questo caso. Volere la pace obbliga a considerare la sproporzione delle forze in campo, a non fare finta che duecento morti pesino come tre, il cui omicidio tra l'altro non è stato rivendicato da nessuno. Soprattutto quando quei duecento morti non erano in alcun modo responsabili, quando la loro unica colpa era quella di essere palestinesi, nati sulla terra che un tempo era casa loro e oggi il teatro di un infame apartheid fatto di mille piccoli e grandi soprusi, che nessuno di noi vorrebbe per se stesso o per i suoi figli.
Non vorremmo abbracciare il cadavere di un bambino con il cranio asportato di netto, che fino a un istante prima sorrideva e ci chiamava fratello, sorella, madre, padre, zio, zia, amico. Voi lo vorreste? Perciò, i toni sdegnati di chi dice di stare dalla parte della pace, accusando chi si schiera al fianco di un popolo oppresso e sottomesso, altro non sono che la faccia presentabile di un sionismo appena un po' più umano. Ammesso che privare un popolo della sua terra e ridurlo in miseria e disperazione possa anche solo vagamente essere associato con la parola "umano".
Noi, come Vittorio Arrigoni, abbiamo deciso da che parte stare, perché senza giustizia non c'è nessuna pace.
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