Cos’è il fùtbol, oggi? Un’enorme contraddizione piantata nel cuore degli appassionati
Cosa dici di un Mondiale che occulta massacri e conflitti sparsi
da un polo all’altro del globo? Cosa dici di un Mondiale che non esce
dalle prime news dei circuiti internazionali, nonostante nel
frattempo: in Iraq, verso cui partimmo più di 10 anni fa recando doni
e democrazia, venga proclamato il Califfato; al confine
russo-ucraino e nelle regioni sottostanti avvengano esecuzioni,
caccia etnica, pogrom e una guerra sponsorizzata Ue; in Medio
oriente un terribile massacro sia in corso a Gaza sotto
i bombardamenti dell’aviazione israeliana. Cosa dici di un Mondiale
così, che annega i conflitti e le domande del Paese che lo ospita
nella pace armata delle milizie coloniali Fifa?
Beh, intanto cominci con l’ammettere che l’hai seguito. Tutto.
Perché è questo il fùtbol ,
oggi. Un’enorme contraddizione piantata nel cuore degli
appassionati. Che ti fa guardare le poderose discese sulla fascia di
Serge Aurier della Costa d’Avorio senza pensare alle porcherie del
Colonnello dell’esercito del Profitto e dello Sfruttamento globale
dal nome Joseph Blatter. O sobbalzare alla scivolata del Capo
(Jefe) Mascherano che sventa un gol fatto e toglie la finale a Robben,
maglia olandese e nome che ci ricorda la prigionia di Mandela.
Che rende il «mozzicatore» Suarez noto all’universo intero.
Che ti fa notare, la sera del
massacro, l’occhio da omicida seriale di Toni Kroos, appena segnato
il tre a zero. Vede i «gialli» cotti e smarriti, e riparte sulla palla
al centro, va a strapparla dai piedi di Luiz Gustavo e fa il quarto
meno di 20 secondi dalla ripresa del gioco.
O ancora Pirlo, fine primo tempo con la
Costa Rica, che tira apposta una punizione alla cazzo perché
Balotelli gli ha rivolto una frase, e vale più di una conferenza
stampa farlocca del sopravvalutato ct.
Che ti fa alzare in piedi, a casa da
solo, al sublime stop di petto e sinistro all’incrocio del favoloso
James Rodriguez. E il palo carambolato di Dzemaili e la traversa
supersonica di Pinilla all’ultimo degli ultimi secondi e cambia il
destino e i forti, i potenti, ancora una volta vincono e — come ti
sbagli — «il cane mozzica lo stracciato». E lo stracciato in questo
caso è sempre Pinilla.
Oppure grondare ammirazione per la
spettacolare difesa della Costa Rica e del suo allenatore Pinto,
prof colombiano di educazione fisica, che mette in fuorigioco gli
avanti avversari più del doppio delle volte di qualsiasi altra
squadra. Una linea, dritta e armonica, che ha messo in crisi i due
continenti egemoni. E il mentalista Aloisius Van Gaal che per
venirne a capo s’inventa la mossa del portiere , riuscendo
a invertire una storica tradizione contraria nei rigori per poi
subirne il contrappasso in quella successiva.
Fremere per Halliche, tosto centrale
dell’Algeria che porta ai supplementari le schiere teutoniche.
Per le manovre sinuose del Messico, squadra elastico, palla avanti
palla indietro, piedi sapienti. Per gli inscalfibili «bassi» cileni
che andavano a cento all’ora non per ballare lo ye ye.
Cercare un modo (Twitter ?) per
spiegare a Neymàr e Balotelli che se ogni partita passi 40 minuti
per terra, poi quella finisce e tu perdi.
Rimanere sgomenti di fronte al
perfetto Neuer, miglior giocatore del torneo in due ruoli diversi:
portiere e centrale di difesa.
E poi stilare — San De André
proteggici — la formazione-molotov da eterni bambini ormai vecchi di
quelli che qualcuno lo vedresti volentieri nella tua squadra.
Sperare che stasera il miracolo lo faccia Angelo Di Maria, il prescelto, l’unico che può scalfire il cemento armato.
Constatare, attraverso il Mondiale, il definitivo dissolversi della Rai, azienda egemone come nessuna lo fu, ormai ridotta a circolo parrocchiale. Leggere, sui media che raccontano il Mondiale, la parabola italica di un tecnico mediocre prima incensato in coro unanime privo di senso e di meriti, grondante retorica d’accatto adesso figlia di nessuno, con i laudatores che ora ringhiano aggressivi.
Constatare, attraverso il Mondiale, il definitivo dissolversi della Rai, azienda egemone come nessuna lo fu, ormai ridotta a circolo parrocchiale. Leggere, sui media che raccontano il Mondiale, la parabola italica di un tecnico mediocre prima incensato in coro unanime privo di senso e di meriti, grondante retorica d’accatto adesso figlia di nessuno, con i laudatores che ora ringhiano aggressivi.
Il Mondiale è il Mondiale è il
Mondiale, ogni quattro anni, diventiamo più vecchi, e il prossimo
in Russia, e quello dopo in Qatar e poi ancora su Marte. E lo
guarderemo anche da lì, con le immagini sfocate e differite, per
non perderci l’esordio imperdibile di una frenetica, fantastica,
squadra di cui si parla molto, fatta tutta di super tecnici
omini verdi.
di Christiano Presutti e Wu Ming 3, Il Manifesto
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