Mentre
dalle nostre parti, cioè dalle parti dei nostri, dei proletari, si
cerca di tirare su due soldi per una vacanza, di mantenere il posto di
lavoro a rischio, o ci si affanna a capire in cosa ci si dovrà buttare a
settembre per non stare un altro anno con le mani in mano, i padroni
italiani e i loro intellettuali sono in piena fibrillazione. Ogni giorno
escono documenti di analisi di centri di ricerca, che vengono
puntualmente “tradotti” in articoli, interventi politici, agende etc. È
infatti appena iniziato il semestre di Presidenza italiana dell’Unione
Europea, e si tratta di un’occasione ghiottissima per la borghesia
italiana. Perché? Fondamentalmente, per due motivi.
Primo, verso l’esterno: questo semestre verrà utilizzato dal Governo per difendere con forza, attraverso la retorica della “crescita versus austerity”, gli interessi della borghesia italiana
che, lo diciamo semplificando, essendo impossibilitata in questo
momento a competere in termini di produttività, investimenti, etc. con
le altre borghesie, ad esempio quella tedesca, ha bisogno di maggiore
“flessibilità” sui patti europei, per poter far ripartire un po’ di
domanda interna e dunque di produzione, di occupazione e quant’altro.
Secondo, verso l’interno: il semestre è una bella occasione per la borghesia italiana (e per il Governo Renzi che in questo momento riesce a interpretare gli interessi della sua quasi totalità) perché
può essere usato come una leva, un ricatto, per paralizzare i possibili
“oppositori” e portare a casa in tempi rapidi riforme significative, ovvero attacchi ai lavoratori, alle classi subalterne, alla loro possibilità di farsi sentire.
Come scrive il Sole 24 Ore del 4 luglio,
«Roma non può incassare “flessibilità”, cioè margini di spesa pubblica,
senza essere molto credibile nelle promesse di riforme»: in altri
termini, dice il Sole, se volete avere un po’ di ciccia da spartirvi
bisogna fare presto e intervenire a 360°.
Insomma, il Governo Renzi continua sotto il segno del fare. Ma cosa bisogna fare?
L’elenco stilato dai padroni è ricchissimo, e vale la pena di
consultarlo, perché comprendere i cambiamenti della forma del sistema
capitalistico e il modello di sviluppo che i padroni hanno in mente non è
un esercizio puramente intellettuale, ma il punto di partenza per
impostare un nostro intervento politico.
Vi segnaliamo dunque due documenti pubblicati sul Sole 24 Ore qualche giorno fa. Ci sembra che entrambi confermino alcune tendenze e punti critici che abbiamo provato a mettere in evidenza già dal libro Dove sono i nostri, e che sono stati sottolineati in questi mesi dal mondo padronale, da Confindustria, da Intesa San Paolo etc.
Il primo documento, Meno Stato e meno tasse,
si concentra soprattutto sulle misure che deve prendere il Governo.
L’impostazione classicamente neoliberista espressa nel titolo viene
articolata in dieci punti, che segnano un vero e proprio programma per
uscire dalla crisi. Secondo una delle voci più influenti del padronato
bisogna:
1. Abbattere lo
stock del debito pubblico con privatizzazioni e dismissioni di immobili.
Estendendo dunque sia la portata delle cessioni degli immobili
della Difesa e degli enti locali, sia allungando la lista delle società
da privatizzare o continuare a privatizzare: Ferrovie dello Stato,
Poste, Cassa Depositi e Prestiti, Enav, Fincantieri, colossi come Eni ed
Enel. Infine, tagliando drasticamente le 8.000 partecipate pubbliche.
Tradotto: far cassa subito, regalando pezzi del
patrimonio statale, che formalmente resta di tutti, alla speculazione
privata, sia ai palazzinari (e in questo senso la proposta si configura come un ulteriore attacco ai movimenti di occupazione delle case),
sia a grandi multinazionali o a cordate di italianissimi “capitani
coraggiosi” che prenderebbero il controllo delle aziende, come già visto
negli ultimi trent’anni, per trarne profitti e aumentare lo
sfruttamento dei lavoratori: diminuendo gli organici e i salari,
instaurando nuovi tempi di lavoro, etc. Il taglio delle partecipate poi
metterebbe immediatamente sulla strada migliaia di lavoratori, privando
anche i cittadini dei servizi erogati da quelle partecipate.
2. Ridurre le tasse sull’impresa,
un operazione che sarebbe “coperta” dal potenziamento della spending
review (dunque da ulteriori tagli alle spese pubbliche) e da un po’ di
proventi sottratti all'evasione fiscale. In altri termini: attacco della
grande borghesia contro alcune porzioni della piccola borghesia
parassitaria del mondo della “circolazione”.
3. Rendere il lavoro più flessibile.
Il Sole sottolinea l’importanza di aver potenziato i contratti a
termine senza causale, e invita il Governo a continuare sulla linea di
flessibilizzazione dei contratti a tempo indeterminato: entro la fine
dell’anno bisogna completare la riforma degli ammortizzatori sociali e
rendere licenziabile qualsiasi lavoratore dietro “congruo” pagamento.
4. Pagare i debiti della Pubblica Amministrazione verso le imprese. Un altro regalo al mondo delle imprese: le somme che infatti molte aziende devono ricevere sono assolutamente gonfiate.
5. Avviare l’Industrial compact italiano.
Per il Sole “si deve mettere a punto una strategia di politica
industriale che rilanci l'innovazione e la manifattura”, quindi
facilitare gli investimenti in ricerca e concedere sconti per l'acquisto
di macchinari e attrezzature produttive. Rendere più facile l’accesso
al credito, potenziando i fondi di garanzia per le imprese. Inoltre
bisogna prevedere misure di sostegno all'internazionalizzazione e al
“Made in Italy” e di attrazione degli investimenti in Italia. Torneremo
fra pochissimo sul senso di queste manovre.
6-7. Utilizzare al meglio fondi Ue, investire in infrastrutture, riforma degli appalti, semplificazioni burocratiche.
In altri termini, il capitale italiano cerca di recuperare
competitività non solo sul terreno della produttività, del costo del
lavoro e del credito, ma anche sui due versanti che lo penalizzano: la
burocrazia e le infrastrutture, che velocizzano i tempi di circolazione
di merci e capitali. Peccato che dietro l’attacco alla burocrazia ci sia
la voglia di mettere fine a molti controlli (si parla addirittura di
eliminare vincoli paesaggistici, antisismici, etc.), e dietro le
infrastrutture si nasconda il desiderio di far ripartire i cantieri e di
dare stura a colate di cemento.
8. Riformare il Titolo V della costituzione.
Ovvero riportare allo Stato “competenze esclusive su grandi opere
strategiche nazionali infrastrutturali ed energetiche”, e altre
competenze che oggi soffrono degli incroci fra Stato e Regioni:
politiche attive del lavoro e competenze sul pubblico impiego. Questo
punto è interessante: dopo anni di federalismo si assiste a un piccolo
passo indietro. La borghesia italiana vuole mano libera sulle decisioni
nazionali, irrigidisce i meccanismi di comando, non vuole che siano
posti limiti da enti locali potenzialmente più vicini alle esigenze dei
cittadini o comunque di piccole frazioni di borghesia che possono far
perdere tempo e spendere soldi.
9-10. Riformare la giustizia civile e la pubblica amministrazione.
Come al punto 7, la parola d’ordine è la “semplificazione”, che poi
vuol dire meno controlli, alleggerimento dell’apparato pubblico,
“mobilità”, dunque licenziamenti del personale pubblico, nell’ottica di
“contribuire al recupero di produttività dell'intero settore”.
Come si vede, questo programma non è affatto
“innovativo”, anzi: siamo di fronte al solito vecchio gioco del
capitale di pretendere “meno Stato” mentre in realtà intende utilizzarlo
per potenziare al massimo le sue possibilità di accumulazione e per
dominare, frammentare e precarizzare la vita dei lavoratori. Quello che è
certo però è che, novità o no, il Governo Renzi cercherà di
implementare parecchi di questi suggerimenti. E, se una piccolissima
parte di queste misure va a colpire un ceto parassitario che vive di un
rapporto “malato” con lo stato, il complesso dei provvedimenti previsti
individua un enorme attacco contro il proletariato: alla fine di questa
cura i lavoratori italiani, precari o “garantiti”, donne o uomini,
immigrati o autoctoni, saranno più poveri, meno tutelati, più sfruttati.
La battaglia contro le
privatizzazioni delle imprese statali, contro il Jobs Act, per la difesa
dei posti di lavoro e contro le speculazioni immobiliari e territoriali
deve dunque essere al centro della risposta dei movimenti, come e più
di prima.
Ma non è tutto qui. Vediamo meglio, analizzando il secondo documento proposto dal Sole 24 ore, quale settore viene individuato come centrale per far ripartire l’economia italiana…
Quale settore economico viene individuato
come centrale per far ripartire l’economia? Su cosa vogliono puntare i
padroni per uscire dalla crisi? Di quali strumenti si devono dotare per
migliorare la profittabilità degli investimenti?
Sin dal titolo, Ripartiamo dall’industria, l’agenda del Sole 24 Ore è molto esplicita. Abbiamo visto come nel precedente documento il quotidiano della Confindustria consigliasse a Renzi di avviare l’Industrial compact italiano, ovvero di “mettere a punto una strategia di politica industriale che rilanci l'innovazione e la manifattura”,
quindi facilitare gli investimenti in ricerca, concedere sconti per
l'acquisto di macchinari e attrezzature produttive, rendere più facile
l’accesso al credito potenziando i fondi di garanzia per le imprese...
In questo documento il Sole ragiona invece sul piano europeo,
cercando di suggerire a Renzi i temi che vanno “imposti” in Europa
durante il suo semestre di Presidenza, cercando di inquadrare e
raccordare le necessità della borghesia italiana alle direttive espresse
da organismi sovranazionali come la Commissione Europea, che già nella Relazione 2013 sulla competitività diceva espressamente che “senza l’industria non ci saranno né crescita né ripresa dell’occupazione”.
Cosa bisogna fare per arrivare a questa vera e propria
reindustrializzazione che si sta verificando, in modi diversi, negli
USA, in Germania e che in Italia stenta ancora a partire? Come tutelare
gli interessi di quella che è ancora la seconda manifattura d’Europa?
Innanzitutto, secondo il Sole, si deve “aumentare l'integrazione del mercato interno e implementare l'idea dell'Industrial compact”, quindi: ragionare a livello europeo per avere un’unica politica (sul modello delle politiche agricole comunitarie), “stabilire un'agenda di priorità industriale e favorire la specializzazione dei territori”.
E già questo primo punto è interessante e meriterebbe un dibattito a
parte: il Sole pretende davvero che l’UE ragioni come se fosse uno stato
unitario, che organizza serenamente la sua produzione? O, molto più
probabilmente, consapevole che in Europa i capitali sia industriali che
bancari hanno ancora una base “nazionale” e sono in forte competizione
fra loro, la voce di Confindustria sta cercando di ricavare, attraverso
la richiesta di una “specializzazione” produttiva, uno spazio per la
borghesia italiana stritolata dalla competizione?
In questo caso l’Unione Europea, più che un sovrastato, si configurerebbe come camera di compensazione e luogo di accordo fra gli interessi delle diverse borghesie, sia per limitare la competizione “distruttiva” fra di loro, sia per rafforzarli contro i rispettivi proletariati.
In questo caso l’Unione Europea, più che un sovrastato, si configurerebbe come camera di compensazione e luogo di accordo fra gli interessi delle diverse borghesie, sia per limitare la competizione “distruttiva” fra di loro, sia per rafforzarli contro i rispettivi proletariati.
In secondo luogo, il Sole sostiene che “l’aumento dei fondi per i progetti legati al trasferimento tecnologico all'industria deve diventare una priorità strategica”. Anche questo punto è interessante, perché la
reindustrializzazione di cui si parla non è il semplice reimpianto
della “pesante” fabbrica novecentesca, ma la creazione di manifatture
ipermoderne, nodi di filiere produttive internazionali, che producono prodotti ad alto valore aggiunto.
È evidente quindi che questo modello deve
essere sostenuto da spese in ricerca e sviluppo e da una forte
integrazione fra università, centri di ricerca e aziende private. Una
questione particolarmente interessante per i collettivi studenteschi,
che dimostra come la contraddizione capitale/lavoro determini i più
diversi ambiti di esistenza, e soprattutto quello della formazione (cos’è infatti lo studente se non un futuro lavoratore più o meno qualificato?).
Anche il terzo punto che sottolinea il Sole meriterebbe una trattazione a parte: l’UE deve avere “una politica energetica comune”, perché la competizione internazionale si vince anche accedendo all’energia a poco prezzo. Solo che proprio
questo terreno dimostra che l’Unione Europea non è un sovrastato: ogni
potenza imperialista che lo compone procede secondo i suoi interessi,
privilegiando e supportando le proprie multinazionali. Non a
caso vengono evocate le tensioni in Ucraina, in Nord Africa o in Medio
Oriente, dove Italia, Francia, Inghilterra, Germania si sono fatte le
scarpe a vicenda, e dove si è palesata una complessiva subordinazione
dell’UE agli USA (ricordate il “Fuck EU!” del Segretario di Stato americano?)…
Il Sole, consapevole che la borghesia italiana sta perdendo anche
questa competizione, e che ha un disperato bisogno di energia, visto che
è priva di nucleare, di petrolio, di carbone, invoca “la definizione di un programma per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico per l'Europa”. Patetico, viene da pensare, ma almeno sull’accesso al gas russo il gioco potrebbe riuscire.
Il quotidiano di Confindustria va avanti suggerendo il potenziamento delle reti, sia di telecomunicazione che infrastrutturali
– e questo punto è di assoluto interesse se pensiamo non solo alla
costruzione del TAV, ma alla costruzione di una rete logistica europea
che consenta al capitale di ammazzare i tempi di circolazione delle
merci… Non è un caso che si parli anche della creazione di “distretti europei”:
il capitale ridisegna lo spazio facendosi beffe anche dei confini
nazionali, e procede alla creazione di aree con fisionomie particolari,
di zone economiche speciali, e in generale di dipartimenti produttivi
sempre più integrati, anche negli aspetti legislativi o “gestionali”.
Cos’è, qui, interessante per noi? Il fatto che, anche se i lavoratori dei vari paesi non ne hanno piena coscienza, il capitale unisce sempre più i loro destini, rende sempre di più interdipendenti le varie località, e dunque riempie di senso la nostra parola d’ordine dell’internazionalismo.
Cos’è, qui, interessante per noi? Il fatto che, anche se i lavoratori dei vari paesi non ne hanno piena coscienza, il capitale unisce sempre più i loro destini, rende sempre di più interdipendenti le varie località, e dunque riempie di senso la nostra parola d’ordine dell’internazionalismo.
La difficoltà del capitale italiano emerge poi chiaramente nel 6° e nel 7° punto dell’agenda. Nel sesto il Sole ricorda che “la
capacità europea di negoziare temi di economia globale è vicina allo
zero. Invece occorre aumentare la capacità di intervento commerciale
verso i nostri principali partner globali, a cominciare dagli Stati
Uniti e dal Ttip, il patto transatlantico sugli scambi e sugli
investimenti […] il negoziato risulta timido e imbelle perché la
definizione degli interessi retrostanti è ancora saldamente in mano ai
singoli Stati”.
Insomma, il capitale italiano
denuncia ancora una volta che le leve decisionali siano ancora statali e
niente affatto europee, e che dunque gli serve più Europa per essere
tutelato negli interessi che non riesce a difendere da sé – il
che la dice lunga su quanto sia falsa quella retorica populista e
intimamente reazionaria che ci rappresenta come un paese quasi coloniale
subordinato alla Germania (vista a sua volta come una totalità
compatta) …
Non a caso nel punto 7 si introducono gli eurobond, ovvero la “mutualizzazione del debito”:
questa condivisione a livello europeo darebbe respiro alla borghesia
italiana mentre sottrarrebbe risorse alla borghesia tedesca... a dimostrazione che non esiste un astratto conflitto fra “crescita” e “austerity”:
l’austerity imposta all’Italia (o meglio, al proletariato e alla
piccola borghesia italiana) è stata crescita per la borghesia tedesca,
così come la crescita che chiede la borghesia italiana non sarebbe altro
che ridimensionamento dei profitti della borghesia tedesca, che si
scaricherebbero indirettamente sui proletari di altri paesi.
Il Sole chiude poi in bellezza, ipotizzando una “forte cessione di sovranità nazionale”: in questo senso “il semestre italiano potrebbe dare il segno dell'avvio del cambiamento”.
Insomma, sembra proprio che la borghesia italiana intenda utilizzare al
meglio questi sei mesi per strappare dentro l’Unione Europea condizioni
a lei più favorevoli.
Ma tutto questo ha una contropartita che noi non dobbiamo assolutamente ignorare. Un’editoriale, ancora del Sole, pubblicato il 5 luglio, è molto esplicito: “L'Italia
intenzionata a far prevalere l'Europa dei cittadini e del lavoro versus
l'Europa degli egoismi rigoristi e burocratici non può permettersi di
fallire l'appuntamento del varo della delega sul lavoro.
La discussione in Senato entra nel vivo la prossima settimana: avrà […]
anche un'attenzione specificamente europea, con gli occhi degli altri
partner, primi quelli di Angela Merkel, pronti a cogliere da questa
prova parlamentare i segnali di vera svolta nel riformismo italiano.
Che, non va dimenticato, è l'unica moneta di scambio per un'Italia intenzionata a "comprare" la flessibilità di cui c'è gran bisogno
per evitare l'insostenibile maratona di riduzione del debito imposta
dal fiscal compact e ormai diventata proibitiva in tempi di deflazione e
di crescita prossima allo zero”.
Lo scambio è chiarissimo: la
borghesia italiana, per acquistare margini di manovra e di spesa, deve
vendere le condizioni di vita dei suoi proletari – alla faccia
del Matteo Renzi difensore degli interessi nazionali! La borghesia
italiana punta così a capitalizzare un doppio obbiettivo: rafforzarsi
contro le altre borghesie europee e avere in mano uno strumento di
ricatto per piegare ogni resistenza, che venga dai grillini, dai residui
della “sinistra” parlamentare, dai sindacati o – perché no? – dagli
stessi lavoratori …
Ma che cos’è la delega sul lavoro che si discute la prossima settimana? Il Sole lo dice chiaramente: “La
domanda nuova è: come si fa a rendere ancora più
competitivo-conveniente il contratto a tempo indeterminato? Sarà
decisivo che i senatori abbiano questo quesito come obiettivo
strategico. Per rendere, finalmente, semplice sia l'ingresso nel mondo del lavoro sia l'uscita dal mercato del lavoro. Senza guerre di religione sull'articolo 18”.
Insomma, come si sapeva dalla prima bozza del Jobs Act, ora
tocca ai “garantiti”, agli “strutturati”, ai “vecchi” lavoratori. Si
deve trovare il modo di sbarazzarsene senza troppi casini, perché “L'Europa ci guarda”.
Alla fine di questo viaggio nel pensiero padronale – ci siamo attenuti al Sole, ma abbiamo visto come quello che scrive in questa fase sia abbastanza condiviso da tutta la borghesia –, cerchiamo di ricapitolare e concludere.
Alla fine di questo viaggio nel pensiero padronale – ci siamo attenuti al Sole, ma abbiamo visto come quello che scrive in questa fase sia abbastanza condiviso da tutta la borghesia –, cerchiamo di ricapitolare e concludere.
1. Se la borghesia
individua come centrale per i suoi meccanismi di accumulazione
l’industria, noi dobbiamo cercare di essere lì, di dare una risposta
puntale su quel terreno, di presidiare quel luogo essenziale per la
ricchezza sociale, e che è un luogo in cui si esercita il potere;
2. Se la borghesia prevede
processi d’integrazione fra i distretti produttivi a livello europeo e
sviluppo delle reti di trasporto e comunicazione, noi dobbiamo portare
alla coscienza dei lavoratori questa integrazione, far vivere
l’internazionalismo dentro quei luoghi e presidiare quegli snodi
centrali per la circolazione del capitale;
3. Se l’alternativa fra
crescita e austerity è falsa, dobbiamo mostrare come la crescita
attraverso cui ci vogliono tenere buoni è solo crescita del nostro
sfruttamento e maggiore precarietà.
Da quest’analisi generale
traiamo poi queste indicazioni materiali, che si configurano già come un
programma di lavoro per il prossimo autunno:
- dobbiamo opporci in ogni modo alla riforma del mercato del lavoro (Jobs Act), che per il capitale è centrale, facendo agitazione fra i lavoratori e i giovani (anche universitari) che sono particolarmente esposti a certe retoriche, smascherando le menzogne di Renzi e Poletti; combattere in questo modo la madre di tutte le divisioni del proletariato: la concorrenza fra lavoratori “comandati” e lavoratori attualmente disoccupati;
- dobbiamo opporci in ogni modo alla riforma del mercato del lavoro (Jobs Act), che per il capitale è centrale, facendo agitazione fra i lavoratori e i giovani (anche universitari) che sono particolarmente esposti a certe retoriche, smascherando le menzogne di Renzi e Poletti; combattere in questo modo la madre di tutte le divisioni del proletariato: la concorrenza fra lavoratori “comandati” e lavoratori attualmente disoccupati;
- dobbiamo lottare contro l’Accordo sulla Rappresentanza
e la blindatura degli spazi di democrazia sui luoghi di lavoro, che
servono a evitare che si producano momenti di aggregazione antagonisti;
- dobbiamo lottare
contro i processi di privatizzazione delle grandi aziende pubbliche,
contro la chiusura delle aziende partecipate e la “mobilità” nella
pubblica amministrazione;
- dobbiamo opporci alle speculazioni immobiliari, sostenendo la lotta per la casa, e a quelle territoriali, sostenendo le reti ambientali: su queste terreni il capitale italiano punta a fare cassa subito.
Siamo consapevoli che in astratto questo
programma non vale niente: ma se viene fatto vivere dai proletari stessi
nelle loro lotte quotidiane, se queste lotte (sul posto di lavoro,
nelle scuole, nelle città e nei territori) si conoscono ed entrano in
collegamento stabile oltre le divisioni imposte dall’alto, può essere la
chiave per far saltare tutto. Come diceva qualcuno, il futuro non è scritto...
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