martedì 15 luglio 2014

Il pensiero unico e la morte della politica di Carlo Formenti

Qualche giorno fa mi è capitato di leggere un interessatissimo articolo che Peter Kellner, commentatore e opinionista del “Guardian”, ha dedicato a una dichiarazione del segretario del Partito Laburista, Ed Miliband: se dovessi diventare primo ministro, ha detto Miliband, prenderei seriamente in considerazione l’opportunità di ripubblicizzare parte della rete ferroviaria britannica.
Dopo avere spiegato che l’ala sinistra del Partito preferirebbe che l’intera rete tornasse in mano pubblica, l’autore dell’articolo rivela che, secondo un sondaggio condotto da YouGov nel novembre 2013, due elettori inglesi su tre sarebbero favorevoli a una scelta che andasse in tale direzione.
Tutto bene allora? Congratulazioni per l’intuito politico di Miliband? Niente affatto, perché subito dopo Kellner aggiunge che non basta appurare se gli elettori condividono una determinata decisione politica: occorre anche valutare le conseguenze di tale decisione sull’immagine complessiva del partito che la compie. E qui le cose si fanno divertenti, per non dire paradossali. Nessun problema, scrive Kellner, se a guidare il Labour fosse oggi l’ala sinistra che è sempre stata, tuttora è e probabilmente sarà in futuro incline a scelte politiche anti mercato, ma Miliband non è un leader veterosocialista e, pur collocandosi a sinistra di Tony Blair, ha sempre dichiarato di appartenere a una cultura politica “pro-business”, per cui la sua dichiarazione appare contraddittoria e, soprattutto, rischia di “rovinare” ulteriormente la reputazione di una forza politica che (e qui cita un altro sondaggio) viene percepita dai cittadini britannici come “ambigua” (il 27% la considerano pro business, il 21% anti business e il 30% si dicono incerti).
E ora arriva il bello: Kellner, dopo avere ammesso che la ri nazionalizzazione sarebbe probabilmente la decisione giusta dal punto di vista dell’interesse generale, invita Miliband a fare marcia indietro perché questa scelta potrebbe favorire la propaganda dei Conservatori che lo dipingono come un anticapitalista, rischiando quindi di fargli perdere le elezioni. Se a decidere la ri nazionalizzazione fossero i Conservatori (che ovviamente non lo faranno mai!) riceverebbero il plauso generale, ma se fossero i Laburisti si esporrebbero a dure critiche ideologiche. Non potrebbe essere detto meglio: nell’era della mediatizzazione della politica, dei sondaggi e della manipolazione dell’opinione pubblica, il compito della politica non è quello di fare le scelte giuste per promuovere l’interesse dei cittadini, bensì di fare scelte che consentano di ottenere più voti, allo scopo di occupare una stanza dei bottoni da considerarsi fine a se stessa e non strumento per realizzare determinati valori, progetti, ecc.
Niente di nuovo si dirà. Vero, ma sentirlo dire in questa forma diretta e cinica (che rispecchia, rovesciandone il segno ideologico, le affermazioni secondo cui le “riforme” – leggi le scelte politiche contro gli interessi delle classi subordinate – possono essere fatte solo dai partiti “di sinistra”), fa comunque un certo effetto. E soprattutto suona a conferma  del fatto che viviamo ormai in un sistema postdemocratico, nel quale contano ormai solo gli interessi delle lobby finanziarie, legittimati dal “pensiero unico” veicolato dai media, nonché da partiti sempre più intercambiabili (e alleati nel fare “riforme” costituzionali che non consentano a nessun’altra forza politica di insidiarne l’egemonia).

Nessun commento: