La menano con lo 0,2% (e con ulteriori rischi al ribasso..), come se questo fosse il problema. Leggono le intro del Bollettino Economico e
nessuno che si degni di leggerlo interamente. Il giorno dopo,
editoriali di un’ovvietà disarmante e tutti a parlare di “riforme” per
uscire dalla “crisi”. Ma non è una crisi, è un vero crollo
capitalistico, quello certificato dai tecnici di Palazzo Koch.
Dopo tante pagine in cui si articolano le misure
messe in campo da governi e banche centrali di tutto il mondo, ecco
arrivare il paragrafo riguardante l’economia italiana. Potrà crescere
solo se ritornano gli investimenti. Sta qui il problema, non ritornano
da decenni, figurarsi oggi. Ma perché puntare sugli investimenti e non
magari su altre voci? La risposta è insita in una riga della pagina 36
del Bollettino economico: il tasso di accumulazione nel biennio
2012-2013 è crollato del 13%. Non si è arrestato, il tasso,
semplicemente è crollato a livelli mai visti dalla storia dell’unità
d’Italia. Ma non è finita qui: gli investimenti potrebbero ulteriormente
decelerare a causa della persistente sovracapacità produttiva.
Insomma si è perso il 25% della produzione
industriale, ma potrebbe non bastare, un nuovo ciclo di investimenti si
avrebbe, a questo punto, con la perdita di almeno il 40% della capacità
produttiva e a quel punto addio prodotto potenziale, ci vorrebbe un’arma
atomica economica per ripartire.
Di chi è la colpa di questo disastro? Il Bollettino
informa che l’arco temporale è il 2012-2013, ma nemmeno in questo
semestre le cose sono migliorate. Chi c’è stato al governo? Sono gli
anni delle larghe intese, di Monti, Letta e Renzi con i mass media che
bombardavano gli italiani sulla necessità delle riforme. Chi li ferma
più questi autori del disastro più epocale che l’Italia abbia mai avuto?
Guardando poi ai prezzi, il Bollettino Economico informa
che la deflazione in atto (non utilizzano questo termine per non
allarmare ulteriormente) deriva in gran parte dell’enorme capacità
produttiva inutilizzata e solo in parte dall’euro forte. Si dimenticano
però di aggiungere che la strategia di asset inflation della Bce
implica la deflazione salariale e la svalutazione interna per
fronteggiare i mercati internazionali. Dunque, sovrapproduzione e
svalutazione salariale, una tenaglia micidiale che ha affogato
l’economia italiana, perseguita dai fautori dell’austerità espansiva.
Poi vai a guardare altri grafici e scopri che nel
giro di un anno e mezzo il tasso di risparmio è schizzato di 5 punti e
mezzo percentuali, arrivando ai livelli del 2004. Nessuno consuma perché
ha salari da fame e chi ha i soldi risparmia e non investe, un
cortocircuito che ha mandato in tilt l’economia italiana. Se non fosse
per le esportazioni, ritornate ai livelli del 2007, la depressione
economica sarebbe ancora più profonda. E dire che pochi mesi fa si era
avvertito che un’ulteriore svalutazione interna avrebbe provocato un
boomerang costituito dalla perdita di capacità produttiva. E’ vero, ci
sono fattori interni, i piccoli, marxianamente, vengono decimati, ma le
medie grandi imprese, quando non vengono acquistate da colossi esteri,
semplicemente sono incapaci di trascinare il Paese e comunque avrebbero
bisogno di un forte mercato interno per ripartire.
Politici e mezzi di comunicazione, tutti,
incessantemente parlano di “riforme”, ma il quadro è che semplicemente
devono gestire a livello sociale, con repressione delle forme di
protesta e dei livelli di democrazia, l’enorme bacino di disoccupati,
precari e sottoccupati che arriva a superare le 10 milioni di unità.
Non che la situazione nei paesi atlantici sia
diversa, così come nell’eurozona: qualche mese fa l’economista Marcello
De Cecco si chiedeva come avrebbe fatto l’enorme apparato produttivo
occidentale a trovare sbocchi di mercati quando ormai la liquidità è in
mano ad un solo 1% della popolazione.
Il capitalismo occidentale non regge più, qualsiasi
ipotesi riformistica è utopica, occorre prendere spunto dalle strategie
economiche di paesi come la Cina che, in un quadro internazionale
fortemente deteriorato, riesce ancora a garantire posti di lavoro e
crescita economica apprezzabile. Deve tornare la bestemmia
dell’intervento pubblico nell’economia, i mille miliardi di Draghi che
verranno immessi a settembre non finanzieranno nuovi investimenti (in un
quadro del genere, chi investe?), ma serviranno per ristrutturazioni di
debito con minor oneri finanziari, che assorbono gran parte del
pluslavoro prodotto nelle fabbriche.
L’Ue, ma è meglio dire il suo vero padrone, la
Germania, ha imposto questa politica per un semplice motivo: doveva
distruggere un concorrente, e ci è riuscito, l’aveva in mente sin dal
1972 con il Piano Werner, un primo attacco ci fu nel 1992, la dirigenza
italiana non ha fatto altro da allora che seguirla fino alla completa
distruzione dell’economia del Paese. Se non si cambia presto rotta, la
depressione ammorbirà il Paese per decenni.
Per uscirne anche questa volta occorre bestemmiare:
fuoriuscita dall’euro e ancoraggio ad un paniere di valute,
possibilmente dollaro (semplicemente perché è con questa valuta che si
prezzano le materie prime, altrimenti anch’essa sarebbe carta straccia),
yuan e sterlina e ripristino della sovranità monetaria. E’ l’epoca del
disastro, dunque è l’ora della bestemmia, occorre dire le cose come
stanno, la deflazione salariale tedesca non si fermerà e l’austerity
continuerà il suo corso, nonostante gli strali di Renzi. O si andrà allo
scontro totale, come delle volte sembra presagire l’azione del
fiorentino, o sarà la capitolazione finale.
Un mese fa il premier è andato in Cina, tra gli altri
ha incontrato il governatore della Banca Centrale Zhou Xiachouan,
l’unica notizia che è trapelata è che sembra che sia andata bene. Cosa
si siano detti è pero un mistero, sta di fatto che il Bollettino economico informa
che negli ultimi 6 mesi ci sono stati acquisti esteri per titoli di
stato a lungo termine per 75 miliardi di euro e che grazie a questo
Target2, il sistema di pagamenti infraeurozona, principalmente con la
Bundesbank, presenta un deficit dimezzato, da 280 miliardi a 150
miliardi di euro. Occorre una partnership con la Cina e con i Brics per
azzerarlo, altrimenti non se ne esce dacché la deflazione europea
diminuirà ancor di più il tasso di accumulazione.
Certo, in Italia è in corso una lotta tra capitale
commerciale e capitale industriale, tipico delle crisi, ma non sembra
che nessuno dei due se la passi poi tanto bene; e questo perché il
capitale industriale ha attuato come unica controtendenza la
svalutazione salariale, in giro processi di concentrazione o di
quotazioni azionarie non se ne vedono, logico che poi arriva il capitale
estero e si mangia tutto. Ma poi, nelle Considerazioni Finali,
Visco non faceva proprio cenno al capitale estero come protagonista del
processo di ri-accumulazione? Evidentemente, quello nostrano, lamentoso,
tirchio e che deborda ogni giorno in ambito politico con la
“convegnite”, non è capace di avviare processi di crescita, si tiene la
roba e campa di rendita, salvo poi rivendicare soldi, favori e
distruzione sociale al loro “Stato”.
Com’erano entusiasti di Monti e Fornero, quanti elogi
sui loro giornali ai protagonisti della debacle economica italiana!
Tutti entusiasti delle larghe intese e dei governi “comunitari”: la
storia ha presentato il conto, in un freddo paragrafo dell’ultimo Bollettino economico della Banca d’Italia. Ma nessun media ne ha fatto cenno.
Questa sarebbe la “libertà di espressione” della
“democrazia” italiana che difende i principi contro l’autoritarismo
cinese. Lì sono capaci, a livello economico, di correggere il tiro nel
caso le cose non funzionassero, qui si continua imperterriti sulla via
del disastro, con le tv ad intervistare la pon pon Boschi che parla di
“riforme”. Le larghe intese hanno distrutto il Paese, sarebbe ora che si
costruisce una forza di opposizione, innanzitutto sul piano delle idee.
Sarebbe già qualcosa rispetto ai disastri attuali.
di Pasquale Cicalese, Marx XXI
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