Gaza sotto attacco. L'ipocrisia dei governi europei e dell'amministrazione americana
La striscia di Gaza è martirizzata da tredici anni,
dall’inizio della seconda Intifada. Periodicamente Israele, in
risposta ai lanci di razzi, al rapimento di un soldato
o all’uccisione di giovani coloni, scatena offensive (dai nomi
fantasiosi o truci, come “arcobaleno” o “piombo fuso” ecc.) dal
cielo, dal mare e a terra.
Dall’inizio del millennio, sono morti circa 6.400 palestinesi
e poco più di 1000 israeliani, senza dimenticare le centinaia di
palestinesi vittime della guerra civile tra Hamas e Anp. Ogni volta,
gli strateghi israeliani giurano che il conflitto in corso sarà
l’ultimo, ma chiunque nel mondo sa che si tratta di una favola. Anche
se la striscia di Gaza – una fascia costiera abitata da una
popolazione pari a quella della Liguria, ma con una superficie
quindici volte più piccola – fosse completamente ridotta in
macerie, qualche razzo potrebbe essere ancora sparato e quindi il
conflitto riprenderebbe…
Per comprendere il senso di una guerra apparentemente infinita,
basta confrontare le carte della Palestina nel 1946 e oggi. Se
allora gli insediamenti dei coloni ebrei erano una manciata,
soprattutto nel nord, oggi è esattamente il contrario: una
spruzzata di insediamenti palestinesi circondati da Israele e dai
suoi coloni, con la striscia di Gaza isolata a sud-ovest. Non ci
vuole molta fantasia per comprendere che la strategia di Israele,
in nome di una sicurezza assoluta di cui non potrà mai godere,
è quella di cacciare più palestinesi possibile, con le
infiltrazioni dei coloni in Cisgiordania e con le azioni militari
a Gaza.
Rapporti pubblicati da Human Rights Watch, agenzie Onu e Amnesty International
mostrano ormai, senza possibilità di dubbio, che lo sradicamento
dei palestinesi è perseguito con l’espulsione dalla terre
coltivabili, l’interruzione periodica dell’energia elettrica e il
blocco delle risorse idriche. D’altronde che l’esercito considerato
il più “professionale” al mondo rada al suolo scuole gestite dall’Onu
e uccida soprattutto civili la dice lunga sulla vera strategia di
Israele verso i palestinesi.
Mai come oggi, i palestinesi di Gaza sono stati così soli. Hamas
non gode della protezione dell’Egitto, come ai tempi di Morsi, né
della simpatia dei sauditi e di quasi tutti gli stati arabi. Né
riceve vera solidarietà da parte di Abu Mazen. E, ovviamente, in
quanto organizzazione ufficialmente definita “terrorista”,
è avversata da Stati Uniti ed Europa. Ma tutto questo non spiega, né
tanto meno giustifica, il silenzio ipocrita dei governi
occidentali e tanto meno della cosiddetta opinione pubblica
indipendente sulle stragi di Gaza.
Lasciamo stare il nostro Presidente del consiglio e l’ineffabile
ministro Mogherini, la cui ascesa spiega perfettamente il ruolo
trascurabile della politica estera nella cultura governativa
italiana. Ma che dire dell’incredibile squilibrio politico e morale
nella valutazione ufficiale del conflitto?
Basti pensare che un B.-H. Lévy, l’eroe della fasulla rivoluzione
libica e il mestatore di Siria, da noi passa come un profeta della
pace e della giustizia. Che centinaia o migliaia di imbecilli, in
Europa o altrove, trasformino il conflitto tra palestinesi e stato
d’Israele in una crociata antisemita non può essere usato come un
alibi per chiudere gli occhi davanti alle stragi di bambini e di
civili. In questo quadro, la palma dell’ipocrisia va al governo
americano, e in particolare a Obama, che pure aveva illuso il mondo
all’inizio del suo primo mandato.
La banale verità è che la differenza tra democratici
e repubblicani in materia di Palestina è semplicemente di stile.
Brutalmente filo-israeliani quelli della banda Bush, preoccupati un
po’ più delle forme della repressione gli obamiani, come dimostrano
i famosi fuori-onda di Kerry.
Ma nessuno ha veramente intenzione di fermare Israele, oggi
o mai. La solitudine dei palestinesi è la vergogna del mondo,
dell’occidente come dei padroni del petrolio. Per non parlare di
un’Europa inetta e imbelle.
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