Il mondo cambia
rapidamente, ma non nei termini che ci va raccontando la stampa
mainstream... Non mi riferisco soltanto alle vicende di Gaza o
dell'Ucraina – dove pure la sfrontatezza del giornalismo embedded
raggiunge vertici poco invidiabili – quanto a quelle “volgarmente”
economiche.
Notiziola che in altri
tempi sarebbe stata dissezionata dai principali analisti dei più
importanti quotidiani specializzati: i paesi Brics (Brasile, Russia,
India, Cina, Sudafrica) si sono riuniti a Fortaleza, martedì scorso, e
hanno raggiunto l'accordo definitivo per la creazione di una banca di
sviluppo mondiale da loro controllata. Strano che delle decine di
migliaia di giornalisti ancora presenti in Brasile in quella data
nessuno o quasi se ne sia accorto; il pallone negli occhi può far molto
male...
La banca disporrà di un capitale iniziale di 50 miliardi di dollari e
un fondo di emergenza di 100 miliardi; la sede centrale sarà a Shangai.
Complessa, come si conviene, anche la struttura di gestione, con la
prima presidenza di turno affidata per cinque anni ad un indiano, mentre
la presidenza del consiglio di amministrazione va al Brasile.
L'istituto dovrebbe essere operativo già dal 2016.
A firmare il trattato istitutivo c'erano il presidente russo Vladimir
Putin, quello cinese Xi Jinping, il sudafricano Jacob Zuma e il primo
ministro indiano Narendra Modi. Il massimo livello possibile epr ogni
paese, insomma, tutti ospiti di Dilma Roussef.
Perché è tanto importante la creazione di questa banca? Non siamo già
fin troppo pieni di banche globali che dicono ai singoli paesi cosa
fare?
Partiamo dai soci fondatori. I Brics rappresentano il 40% della
popolazione mondiale, il 21% dell’economia globale e nell’ultimo
decennio hanno contribuito al 50% della crescita economica planetaria.
Quanto basta a far dire che qui c'è la “ricchezza reale” prodotta nel
pianeta, non solo la finanza speculativa.
Ma è l'obiettivo della
banca a sparigliare le carte globali: disegnare una “nuova Bretton
Woods”, ovvero un assetto capace finanziario e monetario capace di
regolare i rapporti economici interni a questi paesi (e agli altri che
eventualmente aderiranno), senza passare per il dollaro statunitense. E quindi anche senza passare sotto la spada di Damocle del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale.
La decisione arriva dopo
quasi due decenni di inutili pressioni esercitate sulle ultime due
istituzioni citate affinché ai paesi ormai “emersi” fosse riconosciuto
il peso che effettivamente avevano raggiunto, influenzando quindi molto
di più le decisioni, elaborate ancora e sempre a favore degli interessi
statunitensi o europei.
Qual'è il problema? Che in
questo modo vengono poste le basi du una nuova e diversa “governance”
globale, esterna e tendenzialmente sostitutiva di quella fondata sul
dollaro e quindi sulla “centralità” statunitense.
Non è ignoto a nessuno che
il dollaro costituisce da 70 anni la vera piattaforma girevole
dell'economia capitalistica, il tratto comune a tutte le transazioni. È
contemporaneamente moneta nazionale, moneta di conto globale, mezzo di
tesaurizzazione e moneta di riserva. Ma la sua quantità viene decisa
“sovranamente” dalla Federal Reserve, ossia dal governo degli Stati
Uniti (la storia della banca centrale “indipendente”, a Washington,
viene presa per una barzelletta da deficienti). In altri termini, le
oscillazioni del tasso di cambio del dollaro – frequenti, terrorizzanti,
violente – dipendono dai bisogni e dagli interessi, anche contingenti,
di un solo paese. Il contrario della “stabilità”, insomma,
dell'”equilibrio”, dell'”interesse globale”.
Nessuno, non per caso, era
fin qui riuscito a proporre una piattaforma alternativa (moneta, banca,
istituzioni di governance) a qeella dominante, “anglosassone”.
Ora c'è. Almeno
potenzialmente. La leadership statunitense è certamente declinante, ma
non segnata dalla volontà di passare il testimone. Il che è un problema
di pericolosità devastante. Nei quasi quattro secoli di sviluppo
capitalistico, lo scettro dell'egemonia sistemica è più volte passato di
mano (dall'Olanda all'Inghilterra, agli Stati Uniti), ma mai in modo
pacifico. Mai attraverso un processo “concordato” in cui la superpotenza
declinante veniva gradualmente supportata e sostituita da un'altra o da
un pool di
medie potenze. Ogni volta è la stata la guerra – un addirittura due
guerre, come nel caso del Novecento e del passaggio dall'Inghilterra
agli Stati Uniti – a spegnere le residue velleità di resistenza
dell'imperialismo ormai “vecchio”. Gli Stati Uniti di Obama, proprio
come quelli di Bush, sono pericolosamente inclini a voler mantenere una
leadership ormai ingiustificabile. A qualsiasi costo.
Non si spiega altrimenti la sordità ormai ventennale davanti a
richieste “logiche” di paesi che non si presentano come “alternative di
sistema” (nessuno dei Brics a molto a che fare con il “socialismo”), ma
semplicemente come nuovi soggetti dello sviluppo capitalistico. Più
freschi, energici, “non saturi”.
A livello della moneta, per esempio, poteva essere uno slogan
arrogante ma vincente, trent'anni fa, quello per cui “Il dollaro è la
nostra moneta, ma un vostro problema”. Oggi è un problema anche per gli
Stati Uniti, ma fanno finta di non essersene accorti. Perché non sanno
che altro fare se non ripetere ossessivamente il vecchio gioco
(distribuire al mondo le proprie crisi attraverso l'uso del dollaro come
moneta globale).
Ma non è più ammissibile, per esempio, che la Cina abbia una quota di
voto del 4,86% nel Fmi mentre quella Usa è del 16,77% o addirittura di
quella tedesca (5,88) e quasi come l'Italia (3,66). Le due economie,
come Pil in termini assoluti, sono ormai equivalenti (rimane una enorme
distanza, ovviamente, nel Pil pro capte; ma questo non conta quando si
“pesa” la forza di un paese-continente). Gli altri paesi Brics hano un
peso ancora minore: la Russia ha il 3,16%, il Brasile il 2,34%, l'India
l'1,88%, il Sudafrica lo 0,54%. In totale il 13%; meno dei soli Usa,
lontanissimo dal peso reale globale.
Il dollaro, che per ora rimane come moneta principale anche della
nuova Banca Brics, sarà sostituito gradualmente con altre valute, man
mano che si renderà necessario aiutare i paesi con problemi di
liquidità. Un'alternativa esplicita al Fmi, probabilmente con condizioni
meno soffocanti e omicide per le economie da “soccorrere”. Pensate
all'Argentina dei "tango bond", se avesse potuto ricorrere a quest'altra
fonte di salvataggio, invece che farsi impiccare dalle decisioni del
Fmi...
Come ha spiegato subito Vladimir Putin: “L'istituzione della Banca
per lo sviluppo dei Paesi Brics permette ai suoi soci di essere più
indipendenti dalla politica finanziaria dei Paesi occidentali. E fa
parte di un sistema di misure che potrebbe aiutare a prevenire le
pressioni sui Paesi che non sono d'accordo con alcune decisioni di
politica estera degli Stati Uniti e dei loro alleati”.
Certo, con questa decisione ci si poteva anche attendere prima o poi
sarebbe arrivata una risposta violenta da parte statunitense. Ma che un
aereo malese cadesse vicino al confine russo, e così presto (Putin stava
rientrando proprio su quella rotta, appena mezz'ora prima
dell'abbattimento), forse non era prevedibile. Ma la rapidità delle
reazioni è già un annuncio di guerra...
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