La
tragedia della striscia di Gaza, abbandonata a se stessa proprio da
quelli che hanno creato l’esplosione del Medio Oriente, forse nella
speranza che il caos favorisca la potenza egemone, ci parla anche e
questa volta in maniera pesante e palese dell’inesistenza dell’Ue. A
cercare una qualche soluzione negoziale o a far finta di impegnarsi in
quest’opera, non c’è più l’Onu e men che meno Bruxelles, ma quattro
Paesi, ossia Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania, non si sa bene a
che titolo. L’Italia che pure dirige in qualche modo le operazioni di
interposizione nel Libano meridionale, che capeggia il suo semestre
europeo, è come fosse è completamente sparita quale interlocutore e così
pure altri Paesi.
E’ del tutto evidente che ormai la Germania produce e sviluppa una
propria politica estera che si sovrappone anzi surroga quella europea,
tirandosi dietro il fantasma della Francia, ponendosi in posizione di
protagonismo e di autonomia rispetto alla dottrina Usa sul dominio
strategico della fascia che va dal Marocco all’Asia centrale
sviluppatasi negli anni ’90, al tempo dell’America unipolare. Ora la
situazione è profondamente mutata e ci si aspetterebbe un maggiore
protagonismo europeo nelle acque più complesse e agitate che si sono
create, ma in realtà non si vede nulla di tutto questo: si va in ordine
sparso, anzi ormai vanno solo alcuni: la Gran Bretagna a seguito degli
Usa come sempre, la Francia nell’eterna ricerca di un ruolo di rilievo e
la Germania che ormai ha acquisito un ruolo di comando economico nel
continente.
E forse sarebbe anche un ruolo positivo se attraverso Berlino
passasse anche il resto dell’Europa, ma non è così: la Germania sta
sviluppando una propria area d’influenza in totale autarchia rispetto
alla Ue. Lo dimostra l’espulsione del capo della Cia che non è avvenuto a
caso, ma solo dopo che la confindustria tedesca si è opposta con molta
decisione alle sanzioni contro la Russia dopo la vicenda Ucraina.
Dapprima la Germania ha tenuto bordone alla delirante iniziativa Usa del
golpe, trascinandosi dietro gli altri, poi accorgendosi che la
disgraziata mossa ha accelerato e di molto il multipolarismo, si sta
sfilando lanciando chiari segnali a Mosca di non voler rimanere fuori
dal nuovo superpolo Russia – Cina dal quale dipende gran parte del suo
rifornimento energetico nonché una fetta sempre più importante
dell’export presente e ancor più di quello futuro.
Non è certo l’espulsione del capo spione che brucia a Washington, ma
il fatto che il tutto sia avvenuto con la massima pubblicità possibile
con un escalation che va avanti dal 3 luglio quando è stato arrestato un
funzionario infedele del ministero dell’interno: il capo della Cia John
Brennan è stato chiarissimo su questo punto, lamentandosi che la
questione non sia stata risolta attraverso canali “più prudenti”, senza
risonanza sui media. Ma era appunto questo che si voleva: lanciare un
segnale. E’ quello che dovrebbe fare l’Europa, liberandosi della tutela
americana per giocare in maniera più libera nel mondo tornato
multipolare, ma invece tutto questo avviene al di sotto, al di sopra e
persino contro l’Europa. Così ai trattati capestro che spesso, come il
fiscal compact, sono al di fuori del sistema regolamentare Ue e vi si
sovrappongono, fa da contraltare una geopolitica totalmente affidata
alle singole nazioni tanto che uno potrebbe sospettare che l’Europa sia
un carcere per le speranze e al contempo un non luogo per il futuro.
Il risultato è che il Paese del continente che si trova in prima
linea ad affrontare le conseguenze nefande del caos mediorientale, dalla
guerra siriana, alla creazione di califfati, all’arroganza di Israele
con le sue immaginabili ripercussioni, che si trova preso d’assalto dai
profughi in un mediterraneo divenuto un canto di morte, non è nemmeno
consultato. Certo è anche il Paese governato da un personaggio
“inesperto, improvvisatore e vacuo”, come scrive l’Economist, prima
citato come un salmo quando dava a Berlusconi dell’unfit, ma adesso
rigorosamente taciuto dai giornaloni. Non ci può aspettare che Renzi e
la sua corte di miracolati e ministri della mutua possa dare qualche
contributo sensato, se non quello di spassare le parti con il suo
inglese -pay money, see the camel – ma il fatto è che anche avessimo
Salomone a Palazzo Chigi, sarebbe comunque un uomo di paglia che agisce
in nome di qualcosa che esiste ormai solo in negativo. Un calco di sogni
irrealizzati e di incubi imposti.
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