domenica 13 luglio 2014

Gaza, l’Europa prova la sua inesistenza By Alberto Capece Minutolo


gaza-airstrike-smoke-fistLa tragedia della striscia di Gaza, abbandonata a se stessa proprio da quelli che hanno creato l’esplosione del Medio Oriente, forse nella speranza che il caos favorisca la potenza egemone, ci parla anche e questa volta in maniera pesante e palese dell’inesistenza dell’Ue. A cercare una qualche soluzione negoziale o a far finta di impegnarsi in quest’opera, non c’è più l’Onu e men che meno Bruxelles, ma quattro Paesi, ossia Usa, Gran Bretagna, Francia e Germania, non si sa bene a che titolo. L’Italia che pure dirige in qualche modo le operazioni di interposizione nel Libano meridionale, che capeggia il suo semestre europeo, è come fosse è completamente sparita quale interlocutore e così pure altri Paesi.
E’ del tutto evidente che ormai la Germania produce e sviluppa una propria politica estera che si sovrappone anzi surroga quella europea, tirandosi dietro il fantasma della Francia, ponendosi in posizione di protagonismo e di autonomia rispetto alla dottrina Usa sul dominio strategico della fascia che va dal Marocco all’Asia centrale sviluppatasi negli anni ’90, al tempo dell’America unipolare. Ora la situazione è profondamente mutata e ci si aspetterebbe un maggiore protagonismo europeo nelle acque più complesse e agitate che si sono create, ma in realtà non si vede nulla di tutto questo: si va in ordine sparso, anzi ormai vanno solo alcuni: la Gran Bretagna a seguito degli Usa come sempre, la Francia nell’eterna ricerca di un ruolo di rilievo e la Germania che ormai ha acquisito un ruolo di comando economico nel continente.
E forse sarebbe anche un ruolo positivo se attraverso Berlino passasse anche il resto dell’Europa, ma non è così: la Germania sta sviluppando una propria area d’influenza in totale autarchia rispetto alla Ue. Lo dimostra l’espulsione del capo della Cia che non è avvenuto a caso, ma solo dopo che la confindustria tedesca si è opposta con molta decisione alle sanzioni contro la Russia dopo la vicenda Ucraina. Dapprima la Germania ha tenuto bordone alla delirante iniziativa Usa del golpe, trascinandosi dietro gli altri, poi accorgendosi che la disgraziata mossa ha accelerato e di molto il multipolarismo, si sta sfilando lanciando chiari segnali a Mosca di non voler rimanere fuori  dal nuovo superpolo Russia – Cina  dal quale dipende gran parte del suo rifornimento energetico nonché una fetta sempre più importante dell’export presente e ancor più di quello futuro.
Non è certo l’espulsione del capo spione che brucia a Washington, ma il fatto che il tutto sia avvenuto con la massima pubblicità possibile con un escalation che va avanti dal 3 luglio quando è stato arrestato un funzionario infedele del ministero dell’interno: il capo della Cia John Brennan è stato chiarissimo su questo punto, lamentandosi che la questione non sia stata risolta attraverso canali “più prudenti”, senza risonanza sui media. Ma era appunto questo che si voleva: lanciare un  segnale. E’ quello che dovrebbe fare l’Europa, liberandosi della tutela americana per giocare in maniera più libera nel mondo tornato multipolare, ma invece tutto questo avviene al di sotto, al di sopra e persino contro l’Europa. Così ai trattati capestro che spesso, come il fiscal compact, sono al di fuori del sistema regolamentare Ue e vi si sovrappongono, fa da contraltare una geopolitica totalmente affidata alle singole nazioni tanto che uno potrebbe sospettare che l’Europa sia un carcere per le speranze e al contempo un non luogo per il futuro.
Il risultato è che il Paese del continente che si trova in prima linea ad affrontare le conseguenze nefande del caos mediorientale, dalla guerra siriana, alla creazione di califfati, all’arroganza di Israele con le sue immaginabili ripercussioni, che si trova preso d’assalto dai profughi in un mediterraneo divenuto un canto di morte, non è nemmeno consultato. Certo è anche il Paese governato da un personaggio “inesperto, improvvisatore e vacuo”, come scrive l’Economist, prima citato come un salmo quando dava a Berlusconi dell’unfit, ma adesso rigorosamente taciuto dai giornaloni.  Non ci può aspettare che Renzi e la sua corte di miracolati e ministri della mutua possa dare qualche contributo sensato, se non quello di spassare le parti con il suo inglese -pay money, see the camel – ma il fatto è che anche avessimo Salomone a Palazzo Chigi, sarebbe comunque un uomo di paglia che agisce in nome di qualcosa che esiste ormai solo in negativo. Un calco di sogni irrealizzati e di incubi imposti.

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