Stagnazione. La realtà è più forte della
fantasia e della finanza. Giovedì 10 luglio il Portogallo ha fatto
crollare le borse, l’Istat ha registrato il dato negativo della
produzione, il Pil ristagna in Germania. E Per Renzi si prepara una
manovra extra-strong tra i 7 e i 24 miliardi
Sull’Europa non spira più la bonanza finanziaria che aveva illuso
sul ritorno della crescita. Annullate le vacanze, riprendete in mano
gli scontrini e le agendine dei risparmi, a settembre ricominciano
gli esami. E partiranno i tagli. Il problema non è solo italiano,
anche se l’Italia ha un grosso problema al quale il governo non vuole
pensare: per fine anno una manovra finanzaria extra-strong che
oscilla dai 7 ai 24 miliardi di euro, a seconda delle stime piovute
negli ultimi mesi sul capo di Renzi. Il problema è europeo, e in primo
luogo tedesco.
Cronaca di una settimana turbolenta
Nel vecchio
continente giovedì scorso è stata una giornata in cui una farfalla
ha scatenato una tempesta. È successo in Portogallo dove il Banco
Espirito Santo, la prima banca per capitalizzazione nel paese,
è stata sospesa dalla Borsa di Lisbona per una perdita del 17%. Cosa
è successo? Ha ritardato il pagamento a pochi clienti degli
interessi sulle obbligazioni della controllante lussemburghese –
la Espirito Santo International. Si stima che siano in ballo 2,5
miliardi di euro in obbligazioni. Gli investitori temono di perdere
i bond, chiedono alla banca di essere tutelati. Nessuna risposta
dall’altro capo del telefono.
Allarme generale.
Arrivano i soccorsi. Il Fondo Monetario Internazionale arriva sul
luogo del delitto. E rassicura: tranquilli, il sistema bancario
portoghese è in grado di sostenere la crisi, aiutato come sempre
dai capitali messi a disposizione dallo Stato dietro il quale c’è la
contraerea di Mario Draghi in posizione di fuoco con la sua Bce.
Ma nessuno ci crede.
Giovedì la borsa di Lisbona è crollata del 4% e scatena il finimondo
in tutta Europa. L’indice italiano ha perso il 2,11%, Madrid il 2%,
tutta l’Europa del Sud si inabissa, terrorizzata. Anche perché non
si sa nulla di quello che sta accadendo a Lisbona e alla dinastia di
banchieri diretta da Santo Salgado, 70 anni. Il Banco Espirito Santo,
si apprende dal Financial Times , è un «ascesso» che
minaccia di contagiare la credibilità internazionale
portoghese e la sua «graduale ripresa da tre anni di depressione».
Ad avere messo in
ginocchio le borse dell’Europa meridionale, è un dubbio forse dovuto
ad una mera mancanza di informazioni, o forse dall’annuncio di un
fallimento da ripagare con i soldi dei contribuenti portoghesi.
Ma ciò umilia le speranze su uno dei campioncini del rigore
protetti dalla Commissione Ue e dalla Bce. Solo due mesi fa, infatti,
il Portogallo era stato portato in trinfo per avere applicato il
piano di salvataggio imposto dalla Troika in cambio di un prestito
da 78 miliardi di euro. Per il paese è stata una catastrofe. Per la
Troika un tripudio.
Al culmine dei
festeggiamenti a Lisbona è stato concesso di tornare sul mercato
del debito, dopo l’Irlanda. Gli alunni diligenti dell’austerità devono
essere premiati. Ventiquattro mesi dopo l’alunno ha messo una bomba
sotto gli indici di borsa reduci da rally favolosi. E che giovedì
hanno venduto tutto il vendibile. Guadagnando sulle scommesse di
fallimento in Portogallo.
Ritorno sulla terra
Giovedì è arrivata una
nuova mazzata sulla testa di Renzi e del suo ministro dell’Economia
Padoan. L’Istat ha comunicato che la produzione industriale
italiana a maggio è crollata dell’1,2% rispetto al mese precedente.
È il risultato peggiore dal novembre 2012 e una discesa dell’1,8%
rispetto al 2013. Sono le montagne russe della manifattura, esposta
ai tornadi finanziari che investono le esportazioni, sulla cui
vitalità il Pd e i lieti annunciatori della «crescita» hanno
scommesso nel circo mediatico.
La comunicazione
dell’Istat è la pietra tombale sulle residue speranze della
crescita nel secondo trimestre dell’anno. In queste condizioni
è ormai un sogno lontano quell’avventurosa scommessa fatta dal governo
ad aprile nel Documento di Economia e Finanza (dEF): nel 2014 il Pil
sarebbe cresciuto dello 0,8%. A fine anno sarà, probabilmente, allo
0,3%. Forse meno, se il secondo trimestre dell’anno si è chiuso a
–0,1%. Lo scenario per la fine dell’anno è problematico. Nel primo
trimestre del 2014 il tasso di disoccupazione ha toccato il 13,9%
(+ 0,8% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno), con quella
giovanile al 46%. Al Sud siamo più vicini alla Grecia che al resto
del paese: tasso generale al 21,7%, che sale fino al 60,9% tra
i giovani.
A questo punto quelli che Renzi chiama i «rosiconi» si sono dati da fare. E non sono «rosiconi» qualsiasi. Al Wall Street Journal
sembra chiaro che la Commissione Europea, alla cui composizione
Renzi sta alacremente lavorando proponendo la giovane Mogherini
nel ruolo inutile di capo della diplomazia, non concederà alcuna
apertura sul fronte dei regolamenti del bilancio. Un bel colpo per
l’inquilino di Palazzo Chigi, proprio dai cultori del neoliberismo
anglosassoni non certo simpatetici con l’ordoliberismo
protestante tedesco. In nome del rigore non si può chiedere la
flessibilità del patto di stabilità, anche quando tale
flessibilità si risolve in un rinvio al pareggio di bilancio al
2015 e allo scomputo dei soli cofinaziamenti nazionali ai fondi Ue
esclusi dal conteggio del deficit e poco altro.
Germania zoppicante
I problemi di Renzi
sono enormi e lo hanno portato in un vicolo cieco. Ma non sono solo
problemi italiani. Perchè la vera protagonista di questo
maledetto giovedì in cui le borse dell’Europa meridionali sono state
messe in ginocchio da una farfalla lusitana, è stata la
super-potenza tedesca. Il problema del paese della Merkel è che gli
ordini dell’industria sono stagnanti e in calo all’estero, in
particolare sui mercati emergenti. E questo preoccupa gli
osservatori visto che quell’affaticata «ripresina» di cui si parla in
Europa si regge esattamente sull’esportazioni manifatturiere
tedesche, vero polmone dell’economia europa in recessione. La crisi
è di domanda, nei paesi europei e in quelli extra-europei. Secondo gli
analisti nella seconda parte dell’anno l’economia tedesca dovrebbe
ripartire e piazzare un aumento poco sotto l’1% del Pil, per
continuare nel 2015 la sua ascesa.
Ma come fa notare l’ Economist
, il tallone d’Achille della Germania sono gli investimenti che
sono in calo da cinque trimestri consecutivi e stentano
a ripartire. Il problema è stato più volte analizzato sia dall’Ocse
che dal Fondo Monetario. A Berlino c’è carenza di capitali. Si
parla, per l’esattezza, di «capitale umano» e con questa nozione
neoliberista si intende «competenze». Ebbene, in molte industrie
c’è penuria di queste competenze. Non c’è solo carenza negli
investimenti nell’industria, ma anche nell’educazione. Gli
investimenti nell’educazione sono inferiori rispetto a quelli di
altri paesi avanzati.
Ad esempio, le persone
che hanno una formazione terziaria, in altre parole una laurea,
sono meno di un terzo, ben al di sotto delle nazioni avanzate sostiene
l’Ocse. L’ Economist si duole dello scarso «appetito» che
hanno i tedeschi per «nuove riforme». In un paese impoverito, con
salari sempre più bassi, dove l’agenda 2010 delle liberalizzazioni
e della precarizzazione ha scavato a fondo, è comprensibile. Per
Eurobarometro, l’84% dei tedeschi sarebbe «soddisfatto» per lo
stato della loro economia e c’è poca voglia di proseguire, aprendo
le porte ad una nuova ondata di incertezza e povertà.
C’è anzi voglia di
ottenere finalmente qualcosa indietro dallo Stato. E per questo si
sta discutendo della riforma delle pensioni che paermetterà ad
alcune categorie di andare in pensione a 63 e non a 65 anni.
Un continente in apnea
Il giovedì da incubo ha
rivelato che Italia, Spagna e Portogallo non sono gli unici paesi
a reggersi in equilibrio macroeconomico precario. Basta un
soffio per rovesciare le sorti anche di una corazzata come la
Germania, esposta all’intemperie del commercio globale. La Cina ha
registrato, sempre giovedì, una contrazione dell’interscambio
commerciale.
Dopo quattro anni di
aiuti di Stato, di politiche monetarie «accomodanti» che hanno
drogato i mercati con soldi creati dal nulla da parte delle banche
centrali, tutto sta rallentando. La stagnazione regna sovrana in
Europa e il rigore non farà sconti a nessuno. Nessuna fuga in avanti.
Sulla costa c’è chi aspetta la tempesta in arrivo.
di Roberto Ciccarelli, Il Manifesto
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