mercoledì 2 luglio 2014

Syriza italiana - Garanti e intellettuali, giù dal piedistallo di Guido Liguori, Il Manifesto


 
 L'articolo di Piero Bevi­lac­qua(il mani­fe­sto, 28 giu­gno), ha il merito di ricor­dare alcuni temi che sono di fronte all’insieme di forze che hanno dato vita alla bella espe­rienza della Lista Tsipras.
Alcune ipo­tesi che egli for­mula per con­ti­nuare que­sta espe­rienza mi sem­brano però lon­tane dalla realtà che abbiamo vis­suto negli ultimi mesi. Il prin­ci­pale punto che egli affronta riguarda il ruolo dei “garanti” e il suo futuro. Nes­suno nega che l’iniziativa “gia­co­bina” da essi assunta abbia avuto il merito di ren­dere pos­si­bile una coa­li­zione di forze altri­menti dif­fi­cile da rea­liz­zare (pur non dimen­ti­cando che sarebbe potuta essere più vasta, senza pre­clu­sioni ingiu­ste e che si è rischiato di pagare caro).
Piero Bevi­lac­qua però scrive che i “garanti” sono «un gruppo di per­so­na­lità intel­let­tual­mente auto­re­voli… al di sopra di ogni sospetto che può costi­tuire la garan­zia e il cen­tro di attra­zione, una sorta di ’nucleo nobile di rap­pre­sen­tanza’ di una nuova for­ma­zione poli­tica», sia pure rivi­sto e ampliato rispetto a quello ini­ziale. Si pro­pone in un sol colpo l’estensione senza limiti della “situa­zione emer­gen­ziale” in cui è nata la Lista e la tra­spo­si­zione a sini­stra della logica del “governo dei tec­nici”, qui ribat­tez­zati “per­so­na­lità intel­let­tual­mente auto­re­voli”. Senza dire di una rap­pre­sen­tanza che si pro­clama tale in quanto si auto­de­fi­ni­sce “nobile”.
Senza sco­mo­dare Ros­sana Ros­sanda, che ebbe a scri­vere giu­sta­mente (e lo ricordo anche tenendo conto della lezione di Gram­sci, tanto spesso frain­tesa) che gli intel­let­tuali non pos­sono pre­ten­dere uno sta­tus pri­vi­le­giato ma sono, sul piano della for­ma­zione della volontà poli­tica col­let­tiva, sem­plici com­pa­gni tra i com­pa­gni. Voglio par­tire dall’esperienza a cui ho par­te­ci­pato nell’Università della Cala­bria, dove inse­gno, nella con­vin­zione che essa sia tutt’altro che unica e iso­lata. Ebbene, il comi­tato di soste­gno alla Lista Tsi­pras che abbiamo for­mato alla Uni­cal ha visto par­te­ci­pare a pari titolo docenti, stu­denti, ricer­ca­tori pre­cari e altre com­pa­gne e altri com­pa­gni (a nes­suno, in ogni caso, è stato chie­sto il discu­ti­bile titolo di “intel­let­tuale auto­re­vole”). È stata una espe­rienza non set­ta­ria, mobi­li­tante, inclu­siva, coin­vol­gente, gene­rosa. Va aggiunto che parte fon­da­men­tale in essa hanno avuto i mili­tanti delle for­ma­zioni poli­ti­che esi­stenti (in primo del Prc, ma non solo), che si sono let­te­ral­mente messi al ser­vi­zio di can­di­dati anche non del loro par­tito, ospi­tan­doli, por­tan­doli in giro, orga­niz­zando per loro incon­tri e ini­zia­tive. Senza il Prc e senza Sel non si sareb­bero nean­che rac­colte le firme neces­sa­rie per pre­sen­tare le liste. E lo dice uno che dopo la morte del Pci, non è più stato iscritto a nes­sun partito.
Ora, il pro­blema è il seguente: le migliaia di com­pa­gne e com­pa­gni che, ovun­que in Ita­lia, hanno con la loro mobi­li­ta­zione reso pos­si­bile il risul­tato del 25 mag­gio devono essere posti sotto tutela, entrando a far parte di una nuova forza poli­tica in nuce (la cui strut­tura è tutta da discu­tere), che comun­que dovrà essere diretta da “intel­let­tuali auto­re­voli” auto­pro­cla­ma­tisi tali e pro­cla­mati “nucleo nobile di rap­pre­sen­tanza”? Se, come Bevi­lac­qua sostiene, essi sono da tutti rico­no­sciuti come punto di rife­ri­mento (gruppo diri­gente), si sot­to­pon­gano a una ovvia veri­fica demo­cra­tica della base. Per evi­tare le fal­li­men­tari espe­rienze del pas­sato, il prin­ci­pio è quello della nomina dal basso, secondo il prin­ci­pio “una testa un voto”. Altre strade non riu­sci­reb­bero a non essere o a non appa­rire auto­ri­ta­rie ed elitarie.
Anche sugli altri impor­tanti temi sol­le­vati da Bevi­lac­qua si dovrà tor­nare: dal pro­blema non banale della lea­der­ship nella poli­tica odierna (che per noi è, appunto, un pro­blema e non può non esserlo); al tema dei pro­grammi, e in primo luogo, io credo, di un “pro­gramma fon­da­men­tale” della nuova forza poli­tica che dica al paese non le dieci cose che faremmo subito se ne aves­simo la forza, ma quale tipo di società e di Stato pro­po­niamo e ci impe­gniamo a pro­pu­gnare non nel pros­simo anno o alle pros­sime ele­zioni, ma per i pros­simi due-tre decenni.
La discus­sione di massa che dovrebbe met­tere a punto que­sto pro­gramma fon­da­men­tale sarebbe forse anche la strada migliore per costi­tuire un gruppo diri­gente ten­den­zial­mente omo­ge­neo, che superi in modo nuovo la pre­va­lenza delle lea­der­ship per­so­nali e in genere il pro­cesso di per­so­na­liz­za­zione della poli­tica e pas­si­viz­za­zione di massa oggi pre­va­lenti.

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