Quello
che dovrebbe essere lo scenario normale dopo che la maggioranza
assoluta dei cittadini italiani si è espressa in modo preciso, in realtà
è un sogno ad occhi aperti. Il governo Renzi ha deciso di aprire un
nuovo grande ciclo di privatizzazione e finanziarizzazione del servizio
idrico e di tutti i servizi pubblici locali. Il manifesto, 13 giugno 2015 (m.p.r.)
Sono
passati 4 anni dalla straordinaria vittoria referendaria del giugno
2011 sull’acqua pubblica. In tutto il Paese si è proceduto a
ripubblicizzare il servizio idrico, mediante l’uscita dei privati dalle
aziende che gestiscono il servizio stesso che sono state trasformate in
aziende speciali, soggetti di diritto pubblico, le tariffe sono
diminuite, gli investimenti, a partire da quelli finalizzati ad
abbattere le perdite d’acqua, sono stati incrementati, l’occupazione nel
settore si è accresciuta per effetto degli investimenti aggiuntivi, la
qualità dell’acqua è migliorata grazie a nuovi controlli. Tutto ciò
grazie ad una legislazione nazionale che ha recepito l’esito del
pronunciamento referendario, sostanzialmente mutuata da quella di
iniziativa popolare promossa ancora nel 2007 dal Forum Italiano dei
Movimenti per l’Acqua e sostenuta all’epoca da più di 400.000 firme.
Questo,
che dovrebbe essere lo scenario normale dopo che la maggioranza
assoluta dei cittadini italiani si è espressa in modo preciso, in realtà
è un sogno ad occhi aperti. Anzi, contraddetto da una sorta di incubo,
che è ciò che sta concretamente avvenendo. Il governo Renzi ha
deciso di aprire un nuovo grande ciclo di privatizzazione e
finanziarizzazione del servizio idrico e di tutti i servizi pubblici
locali: la cornice legislativa per realizzarlo è rappresentata dallo
SbloccaItalia, dall’ultima legge di stabilità e dal disegno di legge
delega Madia sulla Pubblica Amministrazione, il «braccio
armato» dalla 4 grandi multiutilities quotate in Borsa (A2A, Iren, Hera e
Acea). A queste ultime è affidato il compito, grazie agli incentivi
definiti nelle suddette leggi, di ridurre ulteriormente il ruolo della
proprietà pubblica ed espandersi assorbendo le aziende di dimensioni
medio-piccole che gestiscono i servizi pubblici locali, con l’idea che,
alla fine, le stesse formeranno definitivamente l’oligopolio del
«mercato» dei servizi pubblici, peraltro orientato dal primato della
finanza e della quotazione in Borsa.
I
fatti di questi ultimi mesi sono, a proposito, eclatanti e inquietanti e
tutti in una direzione contraria a quanto realizzato a Napoli, che
continua a rimanere l’unico esempio positivo di effettiva
ripubblicizzazione. Acea annuncia l’intenzione di accaparrarsi le
aziende del servizio idrico in Toscana e Umbria, Hera ha deciso, alla
fine di aprile, che la proprietà pubblica scenderà dall’attuale 57% al
37%, sancendo per la prima volta che essa diventerà minoritaria. Ancor
più grave è la vicenda in corso a Reggio Emilia. Lì, a fine 2011, è
scaduta la concessione del servizio idrico affidata a Irea. Si è
iniziato, dopo la vittoria referendaria, in una città che ha visto una
partecipazione molto alta a quel voto, un percorso importante che, su
spinta del Comitato dell’acqua pubblica di Reggio Emilia, ha visto dar
vita al Forum provinciale per l’acqua, promossa dall’allora Provincia,
con il concorso dei Comuni, dei movimenti, delle associazioni economiche
e sociali.
Il Forum ha lavorato per
più di tre anni e, dopo un approfondita discussione e dopo aver
esaminato anche le condizioni di sostenibilità economica e finanziaria, è
arrivato alla conclusione di poter costruire a Reggio Emilia una
società a totale capitale pubblico per la gestione del servizio idrico,
scelta che a noi non soddisfa pienamente, perché ancora troppo poco
coraggiosa rispetto ad una compiuta ripubblicizzazione, ma che ha il
grande pregio di sancire una soluzione per cui si sottrae la gestione ad
Iren e alla sua logica assolutamente privatistica. Ebbene, a pochi
giorni dal voto con cui il Consiglio comunale dovrebbe definitivamente
sancire con il voto tale scelta, arriva il vergognoso voltafaccia del
Pd, che in una riunione della sua direzione provinciale «decide», con
assoluto spregio delle procedure istituzionali, che costituire una SpA
pubblica è troppo oneroso e insostenibile per le casse dei Comuni del
territorio. Si accampano ragionamenti forzati e pretestuosi per non
dichiarare esplicitamente che ci si è piegati agli interessi dei poteri
forti, in questo caso di Iren.
Il
Pd, con questa vicenda, scioglie ogni sua residua ambiguità e diventa a
tutti gli effetti il partito della privatizzazione dell’acqua,
dopo che, nei mesi scorsi, lo abbiamo visto, con la scelta del
contratto a «finte tutele crescenti», e ultimamente con il provvedimento
contro la scuola pubblica, iscriversi compiutamente al campo dell’abbattimento dei diritti del lavoro e del Welfare.
Il movimento per l’acqua pubblica continua la sua battaglia per opporsi
a queste scelte e affermare la prospettiva del rispetto coerente
dell’esito referendario: lo faremo domani in molte piazze del Paese, lo
faremo anche a Reggio Emilia con una manifestazione forte e colorata e
con un «acampada» che durerà fino a lunedì, giorno in cui è prevista la
riunione del Consiglio Comunale per discutere di questi temi.
Diremo
con chiarezza al Pd e anche ai soggetti politici suoi alleati che non
intendano dissociarsi dalla sua «decisione», con le necessarie
conseguenze, che il negare il risultato referendario costituisce
non solo un profondo «vulnus» democratico, ma alimenterà ulteriormente
il solco con il popolo democratico e di sinistra che il renzismo ha già
provocato e che è destinato ad approfondirsi sempre più.
Soprattutto ci sentiremo impegnati per rilanciare le nostre ragioni, per
far vivere l’idea che i beni comuni non possono essere consegnati alla finanza e al mercato.
Con una nuova consapevolezza, e cioè che difendere i beni comuni,
tutelare e dare diritti alle varie forme del lavoro, rilanciare il ruolo
dello Stato sociale e dell’intervento pubblico, a partire dalla scuola e
dalla sanità, sono ormai facce della stessa medaglia e fanno parte di
un medesimo obiettivo. Quello di battere il renzismo, fedele interprete nazionale della linea neoliberista dominante in Europa,
e di costruire un processo di unificazione sociale e di relazione con i
tanti soggetti che pensano che sia il tempo di un nuovo modello
produttivo e sociale.
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