Comincia la settimana della verità. Per la Grecia, per l'Unione Europea, per la prospettiva di rottura di questa gabbia e di creazione di un altro “ambiente” dentro questo continente.
Il governo di Atene ha preso la decisione più logica, sul piano finanziario, di fronte alla rottura del negoziato con la Ue: blocco dei movimenti di capitale, banche e borsa chiuse per tutta la settimana, limite di 60 euro al giorno ai prelievi bancomat )ma non per i turisti, per non tagliare una fonte importante di entrate). Il referendum di domenica prossima dovrà decidere il futurod del paese; quindi vanno ridotti al minimo gli shock, dunque i danni, perché qualunque sia la decisione si possa ripartire in condizioni di farlo.
Prevedibile il crollo del prezzo dei titoli di stato ellenici, ma solo il 20% dell'ammontare circola sui mercati. Il resto è detenuto dalle banche di Atene, che non hanno ovviamente alcun interesse a vendere ora, depauperando il proprio patrimonio, oppure dai paesi “creditori” dell'eurozona.
Diverso il discorso per le società greche quotate in borsa, che avrebbero dovuto affrontare una tempesta rovinosa, e quindi ha un senso cautelare la chiusura della borsa fino a referendum effettuato.
L'anticipo si è visto sulle borse asiatiche, con Tokyo che perde il 2,9%, Sydney il 2,24%, Seul l'1,56%, Taipei il 2,40%, Singapore l'1,35%. Peggio ancora a Shanghai, già in pesante caduta nelle ultime due settimane: lo Shanghai Composite Index cede il 7,35%. Presto per dire se la drammatizzazione della crisi greca possa avere effetti paragonabili al fallimento di Lehmann Brothers nel 2008, ma di certo ci sarà da ballare nell'immediato e fin quando non sarà sciolto il nodo del referendum e dunque del “mandato” conferito dal popolo al suo governo.
La Bce, dal canto suo, ha preso una decisione di “compromesso”, lasciando invariata la liquidità d'emergenza a favore delle banche elleniche. Non l'ha aumentata, perché sarebbe stato un finanziamento (proibito dale regole della Ue) all'economia di Atene, non l'ha ridotta perché sarebbe stata una dichiarazione di Grexit immediata.
Una nota della Bce afferma che «il consiglio direttivo sta monitorando strettamente la situazione sui mercati finanziari e le potenziali implicazioni per la politica monetaria e per l'equilibrio dei rischi alla stabilità dei prezzi nell'area euro. Il consiglio è determinato a usare tutti gli strumenti disponibili all'interno del suo mandato».
Tra poche decine di minuti, però, ci sarà un'altra riunione del comitato diretivo di Francoforte, che potrebbe decider anche altrimenti alla luce delle decisioni di Atene.
Ma la Bce deve preoccuparsi non solo di liquidità greca. La tempesta che si sta già scatenando sui mercati coinvolge direttamente tutti i paesi dell'Unionee e dell'eurozona. È chiaro infatti che l'aver messo Atene in questa siotuazione disperata è visto dai “mercati” non solo come una conseguenza di un “governo marxista” che tutti vorrebbero veder morto, ma anche dell'incapacità totale dei burocrati (e dei leader politici degli stati più forti) di gestire una crisi che, all'inizio, nel 2009, sarebbe costata poche decine di miliardi (forse addirittura solo 10-12) ed ora rischia invece di travolgere la moneta unica.
Probabile che il quantitative easing della Bce assuma oggi dimensioni eccezionali, concentrandosi sull'acquisto di titoli di stato italiani, spagnoli, portoghesi e irlandesi, in primo luogo. Anche perché in soli dieci minuti lo spreda tra i titoli italiani e quelli tedeschi è salito di 40 punti. Ed è bene ricordare che finora i titoli ellenici sono rimasti esclusi da questo tipo di operazione, non a caso presentata dallo stesso Mario Draghi come “non convenzionale”.
I trattati dell'Unione sono in effetti così stupidi, per esempio, da non prevedere una procedura d'uscita da una comunità davvero complessa e disomogenea. Una fiducia cieca nella capacità “tecnica” di tenere sotto controllo tutte le variabili – anche quelle politiche e sociali, altamente volatili e mai quantificabili con precisione – che ha lasciato inebetiti, di frone all'imrpevisto, i presuntuosi criminali che pensavano di poter schiacciare come una pulce un paese economicamente molto debole. “Loro” avrebbero firmato qualsiasi accordo, anche massacrante per il proprio paese; quindi non potevano assolutamente pensare che qualcun altro avrebbe potuto non farlo.
Idioti di genio che hanno dimenticato il più antico comandamento che regola l'agire di qualsiasi politico: “non si governa contro il popolo”. Valeva quando si governava su un popolo solo, figuriamoci in una comunità a 28 stati e un numero ancora più alto di popoli...
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