Alla fine la verità viene fuori.
Sì, certo, c'è l'Unione
Europea e la Bce che vorrebbero che le “regole dei trattati” fossero
rispettate alla lettera da Atene, dissanguandola, anche per non trovarsi
tra qualche mese a dover fare lo stesso per la Spagna e magari
l'Irlanda
Sì, va bene, c'è il Fmi che deve riavere 1,6 miliardi la prossima
settimana e altri nei prossimi mesi, ma se benissimo che per averli
dovrebbe prima prestarli al governo Tsipras, che li userebbe altrimenti
(ha già riassunto le donne delle pulizie nei ministeri, riaperto la tv
pubblica, non vuole tagliare di nuovo le pensioni...).
Però. Però c'è un rischio geostrategico che sta montando dietro
questo tira-e-molla infinito. E sono soprattutto gli Stati Uniti di
Obama a rendersene conto. Ovvio, è da lì che si sta cercando di
“ridisegnare il futuro dell'economia globale” intorno alla centralità
Usa (da un lato il Ttip con l'Unione Europea, dall'altra il Ttp quasi
solo con il Giappone). La globalizzazione è finita, bisogna aggregare
aree continentali o sovracontinentali in grado di reggere la concorrenza
degli “emergenti”, Cina in testa.
Vi sembra il caso mandare tutto all'aria mettendo la Grecia
all'angolo e/o costringendola a mettersi d'accordo con Putin, i cinesi,
l'Iran o qualche sceicco arabo? Certo, anche Atene deve mettere la testa
a posto, fare i compiti a casa che le vengono indicati e far fare ai
propri cittadini qualche altro “sacrificio”. Ma se farete i bravi, ce ne
ricorderemo, prima o poi...
Dobbiamo dare atto a Carlo Bastasin di aver messo in grande evidenza, per di più su IlSole24Ore,
una parte consistente della posta in gioco, lunedì mattina, sul tavolo
del vertice dei capi di stato e di governo dell'Unone Europea convocato
come ultimo tentativo di trovare una soluzione alla crisi greca. Se
qualcuno la chiama la «più grande partita strategica giocata in Europa dopo la caduta del Muro di Berlino» un perché ci deve essere... E
basta pensare alla guerra in Ucraina o al dispiegamento di uomini e
mezzi statunitensi nei paesi baltici confinanti con la Russia per averne
una minima idea.
Una Grecia che non dovesse firmare il Ttip (magari insieme a Cipro e
Ungheria), o addirittura avviata a stringere rapporti economici e
politici con “i nemici” di Washington (della futura alleanza
economica-geostrategica disegnata da quei due trattati in discussione)
aprirebbe un varco sul fronte meridionale, quello considerato acquisito
per sempre.
Percepibile, nell'articolo di Bastasin, la pressione che gli Usa
stanno esercitando in queste ore su entrambi i lati del tavolo di
lunedì. Così com'è percebile quella andatura da “sonnambuli” con cui
buona parte dell'establishment di Bruxelles e Berlino si stanno
avvicinando all'appuntamento. Un esempio per tutti l'ultima
dichiarazione del ministro dell'economia tedesco, il solitamente
luciferino Worfgang Schaeuble: "Sono scettico. Non sono sicuro che lunedì sarò in grado di annunciare qualcosa di sensazionale". Non proprio una tensione da “momento storico decisivo”...
I dubbi su come l'Unione Europea – i suoi vertici decisionali più
importanti – hanno gestito tutta la vicenda greca negli ultimi sei anni
ormai sono espliciti. Ancora da IlSole24Ore di oggi, Ugo Tramballi chiude la sua analisi con parole dense di timori: “a Ovest qualcosa non ha funzionato se la
Grecia democratica ma affamata, ottenuto un gasdotto, è tentata di
uscire dall'euro e dalla Ue per abbracciare Putin e la sua prodigalità
orientale non disinteressata. Il solo fatto che il modelo putiniano
possa in qualche modo attrarre, richiede l'ammissione di un nostro
fallimento e la necessità di un esame di coscienza”.
Non è complicato vedere dove “si è sbagliato” come Unione Europea:
una politica predatoria sui paesi più deboli unita a un dispresso
sistematico – anzi, addirittra “istituzionalizzato” - per la democrazia;
ovvero per gli interessi e le opinioni popolari in contrasto con
l'”austerità”. Dov'è ormai la differenza tra l'autoritarismo “orientale”
e quello – ben più famelico e affamatorio - “occidentale”?
Su questo meccanismo di sottrazione del governo alla “volontà
popolare” - la fonte della “sovranità” democratica – si stende ora
l'ombra di un possibile, e più potente, meccanismo intercontinentale strutturato i altri “trattati”, ovviamente inviolabili e sottratti programmaticamente al giudizio di chi vi sarà sottoposto.
La posizione della Grecia nello scacchiere, dunque, presenta tutti i
rischi di un effetto domino incontrollabile. Fosse per Washington,
concedete qualcosa al governo Syriza, ma non buttateli in braccio a
Putin e ai cinesi.
Se questa pressione avrà avuto effetto, lo sapremo entro 48 ore. Non fate scommesse...
*****
Se la Grecia diventa l’inciampo tra Ue e Usa
di Carlo Bastasin
Chi osserva la vicenda greca
da Washington e da Berlino con le lenti della politica globale
definisce con enfasi la trattativa con Atene un passaggio critico nella
«più grande partita strategica giocata in Europa dopo la caduta del Muro
di Berlino». Dal punto di vista geopolitico, gli interessi che si
muovono attorno alla crisi greca sembrano davvero troppo grandi per
pensare che un accordo possa essere gettato via per insofferenza o
trascuratezza.
Bisogna osservare la vicenda da Washington per cogliere le
dimensioni di quello che sta succedendo e comprendere le ragioni che in
questi giorni hanno spinto la Casa Bianca e il dipartimento al Tesoro a
chiamare Atene e sollecitare Alexis Tsipras a raggiungere rapidamente
un accordo con i partner europei. Per il presidente Barack Obama è
vitale che entro la prossima primavera americani ed europei
sottoscrivano il Ttip, il partenariato transatlantico per il commercio e
gli investimenti. Insieme all’accordo parallelo con il Giappone (Ttp),
inciampato al Congresso proprio nei giorni scorsi, il trattato
transatlantico deve porre le basi giuridiche della prossima fase della
globalizzazione. I contenuti del Ttip sono oggetto di vivace
controversia nelle nostre democrazie, ma i negoziatori ritengono che se
Stati Uniti ed Europa non approvassero gli accordi, o se passasse troppo
tempo prima della loro entrata in vigore, l’Occidente potrebbe non
essere più in grado di dare forma - attraverso i propri principi di
tutela dei diritti individuali e collettivi, i propri interessi e le
proprie regole di disciplina economica - al futuro dell’economia
globale. Già oggi il peso negoziale delle potenze asiatiche - Cina in
testa - è troppo grande per accettare i criteri americani di
funzionamento dell’economia planetaria. Per prima fu Hillary Clinton,
ora candidata alla presidenza, a riconoscere che Europa e Stati Uniti
devono agire insieme perché tra pochi anni potrebbero non essere più in
grado di dare forma ai rapporti economici con il resto del mondo
fondandoli sulle regole che caratterizzano le democrazie occidentali.
Gli
Usa hanno quindi bisogno di una rapida intesa con l’Europa per
controbilanciare il peso della Cina, che nel frattempo sta concludendo
accordi commerciali proprio
con la Russia colpita dalle sanzioni europee. Ma in questo grande
disegno, Atene rischia di essere la pietra di inciampo. Appena vinte le
elezioni, i ministri di Atene hanno dichiarato candidamente le
intenzioni del nuovo governo greco: «Syriza non consentirà mai che nel
Parlamento greco si crei una maggioranza a favore del Ttip». Nelle
settimane successive, il governo greco ha cercato sostegno finanziario
da Cina, Russia, Abu Dhabi e perfino Iran. Un accordo con Mosca sul gas è
stato finalizzato giovedì scorso, poche ore prima della riunione
dell'Eurogruppo. Senza la firma di tutti i Paesi, tuttavia, non è
sufficiente l'accordo al Consiglio Ue e al Parlamento di Strasburgo per
approvare nella sua interezza il Trattato. Quindi, senza Atene, Europa e
Stati Uniti rischiano di non poter sottoscrivere il Trattato
transatlantico. In base al Trattato di Lisbona, la Commissione europea
ha competenza esclusiva sul negoziati commerciali dell’Unione europea,
ma il Ttip copre così tanti aspetti della vita economica da richiedere,
almeno in parte, l’approvazione anche dei parlamenti nazionali. Una
richiesta in tal senso è stata formalizzata da una maggioranza di
parlamenti nazionali dell’Unione europea, compresi quello tedesco e
francese.
L’amministrazione
americana ha fatto presente ripetutamente alla Germania il pericolo di
una mancata ratifica in Grecia e questo spiega per quale ragione
la cancelliera Merkel, che fino al 2012 non era contraria all’uscita di
Atene dall’euro, insista per evitare una soluzione traumatica della
crisi. Alcuni dei protagonisti dei negoziati tra Washington, Bruxelles e
Berlino hanno già molta esperienza di crisi europee. In alcuni casi
sono le stesse persone che si erano attivate nel 2011 per facilitare una
soluzione della crisi italiana in occasione della caduta del governo
Berlusconi con l’obiettivo di contenere il rischio di enorme instabilità
politica e finanziaria che stava maturando nel cuore dell'Europa.
Dopo il 2013, Berlino e Washington hanno superato
le gravi incomprensioni seguite alla scoperta dell’attività spionistica
della Nsa, giunta a intercettare il telefono della cancelliera. I due
governi hanno poi trovato un terreno comune in materia di
telecomunicazioni e privacy economica delle imprese di cui si terrà
conto anche nel Ttip. Ma la condizione chiesta dagli Stati Uniti è stata
che la Germania si impegnasse ad assicurare la firma del Trattato
transatlantico da parte di tutti i Paesi e quindi anche da parte di
Atene a costo di rinunciare a un’applicazione troppo rigorosa delle
regole europee. Secondo gli interlocutori tedeschi, gli Stati Uniti
hanno anche posto in termini energici la richiesta che la Germania torni
a promuovere nei prossimi anni, dopo troppe esitazioni, il processo di
integrazione politica europea.
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