E’ sicuramente prematuro prevedere gli effetti concreti che
si avranno, sul piano culturale e politico. dall’impatto dell’enciclica
papale “Laudato sì” sul cui testo si stanno esercitando una moltitudine
di esegeti e opinionisti a tutti i livelli.
Una prima valutazione forse si può già comunque avanzare: si tratta
dell’enciclica papale più “secolare” dal tempo della “Rerum Novarum” di
Leone XIII sulla base della quale si sviluppò la dottrina sociale delle
Chiesa nel tempo della prima rivoluzione industriale.
Un’enciclica che fornì la base teorica per partiti e sindacati
d’ispirazione cattolica che poi animarono il dibattito politico e
culturale per l’intero ‘900, fronteggiando le dottrine socialiste e
comuniste sorte sulla base dell’analisi della contraddizione di classe e
sull’idea dell’eguaglianza sociale.
In “Laudato sì” si compie, prima
di tutto, un’operazione di recupero della storia, attribuendo
all’emergenza del sorgere della contraddizione ambientale (quale frutto
non univocamente attribuito all’industrialismo) l’origine del fenomeno
delle diseguaglianze
planetarie che molti economisti pongono alla base delle difficoltà
emergenti nell’affrontare la crisi “nello sviluppo” che si sta
affrontando ormai a dimensione globale.
Un messaggio che tiene in conto la complessità nell’origine e nel propagarsi delle diseguaglianze e, insieme, dell’evidenziarsi
del fenomeno del degrado dell’ambiente, degli errori enormi commessi
nel sostenere un processo di antropizzazione che si sta rivelando del
tutto distruttivo.
Le cause d’origine
di questi negativi fenomeni, giudicati esiziali per il prosieguo della
vita dell’umanità sul pianeta, così come sono individuati nel testo
dell’enciclica rappresentano davvero il segno dell’impostazione
“secolarizzante” che questo testo presenta; la finanziarizzazione
dell’economia, il predominio politico dei banchieri, il lascito
(pesantissimo) del colonialismo.
Giudizi che appaiono frutto
dell’elaborazione dei promotori dell’ecologia e degli economisti di
scuola anti-liberista e quindi (più o meno volontariamente) fautori di
un allineamento della Chiesa su posizioni più propriamente “politiche”,
senza alcuna concessione a un ruolo di “moral suasion” mondiale, come
molti stanno invece
interpretando questo passaggio: si sta scrivendo, infatti, come di un
testo “rivolto a tutti”, quasi di recupero e rilancio dell’ecumenismo in
tempi di fondamentalismi feroci.
Il punto sul quale soffermarsi,
almeno dal nostro punto di vista, è allora quello di una proposta che
possa essere ritenuta praticabile nell’intreccio tra le contraddizioni
evocate e quelle operanti nella realtà, laddove le
diseguaglianze si procurano e si esaltano nello sfruttamento del lavoro
umano, nella coercizione dei singoli e delle grandi masse,
dell’emarginazione materiale di popoli interi come verifichiamo oggi in
una molteplicità di fenomeni che tengono insieme, ad esempio di aspetti
emergenti nell’attualità, la tragedia dei migranti , quella del
soffocamento delle rivendicazioni d’eguaglianza economica e sociale,
dell’espropriazione delle fonti di vita per interi popoli.
Insomma: quali soggetti debbono costruire la loro sacrosanta ribellione verso questo stato di cose? Con quali obiettivi? Per costruire quale nuovo ordine politico e sociale?
E’ ovvio che il quesito rimane, all’interno del testo della “Laudato sì” del tutto inevaso.
Così come resta intatto il tema,
da non banalizzare nei singoli aspetti specifici, della “sacralità”
nell’origine della vita: una potente barriera che la Chiesa
ancora mantiene per fronteggiare la concretizzazione di una diversa
dimensione nelle relazioni umane a tutti i livelli, tra le classi, tra i
generi, tra le generazioni.
Non si possono banalizzare
momenti di questo genere: ma l’idea che ci si trovi di fronte, come in
altri momenti di vero e proprio “passaggio storico”, a un tentativo di
assimilazione della modernità non può essere abbandonata o rinchiusa
all’interno del
recinto di facili entusiasmi esternati da chi forse coltiva la
soddisfazione di verificare l’assunzione a così alto livello di
elaborati e lungo misconosciuti e relegati nella minorità.
Nel persistere (necessaria) di
una visione della materialità del processo storico la questione centrale
rimane quella del capitalismo, della sua natura, del suo perverso
sviluppo, dell’esigenza ineludibile del suo superamento e della nuova costruzione di una società superiore, non legata ad alcuna intrinseca “sacralità”.
Rimane questo il punto di
confronto vero a livello globale: nell’apprezzamento per accenti inediti
perché provenienti dal Magistero della
Chiesa e nell’ineluttabilità di un’esigenza di dialogo rimangono
intatte le grandi coordinate di trasformazione del mondo indicate dalla
filosofia politica dell’eguaglianza e del superamento del concetto e
della relativa pratica dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Soltanto
ripartendo da lì e rifiutando qualsiasi “conglobamento” della storia in
una visione escatologica potrà svilupparsi la capacità collettiva
dell’affrontamento delle contraddizioni della modernità.
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