La crisi ucraina rischia di
precipitare da un momento all’altro, ma nessun parlamento nazionale
della Ue ha fatto un’ampia discussione assembleare sul tema, i mass
media europei non dedicano alla questione alcuno spazio straordinario
(come l’eccezionalità del momento vorrebbe) e l’opinione pubblica
europea considera la crisi ucraina come “altro da sé”, una guerra che
riguarda altri e che non c’è pericolo che coinvolga anche l’Europa. C’è
bisogno di reagire a questo assurdo torpore e di richiamare l’opinione
pubblica europea alla consapevolezza della gravità del momento. Anche
per questo ho firmato l’appello No Guerra No Nato.
Già dai primissimi dell’anno sono
circolate voci per le quali, fra giugno e luglio, la crisi ucraina
dovrebbe avere un brusco peggioramento. Le accuse di preparare
un’offensiva devastante sono rimbalzate dai due lati della barricata e
non sono mancati segnali come l’omicidio Nemtsov o la momentanea
scomparsa di scena di Putin, subito riemerso per dire, con aria
normalissima, che un anno prima aveva meditato di usare l’atomica in
caso di attacco alla Crimea.
Poi le cose sono andate di male in
peggio, salvo la visita a Mosca di Kerry l’11 maggio, che ha dischiuso
per un attimo l’uscio alla speranza di un accordo.
Due giorni prima, iI 9 maggio, una
grandiosa parata si è svolta sotto le mura rosse del Cremlino, per
celebrare la vittoria sul nazismo, ma anche per lanciare un avviso
all’occidente. Sul palco, a fianco di Putin c’era Xi Jinping ed altri
importanti esponenti di paesi asiatici e latino americani; insieme ai
russi, hanno sfilato reparti cinesi, indiani, venezuelani, cubani in
pieno assetto di combattimento. Un segnale che va molto oltre la
celebrazione dell’anniversario e che lascia intendere che Mosca non è
isolata.
Nella stessa parata, sono sfilati i
nuovi gioielli dell’arsenale moscovita, soprattutto i nuovi carri da
combattimento della classe “Armata” (soprattutto il T-14 che è stato
orgogliosamente presentato al pubblico internazionale in questa
occasione). Carri a sagoma bassa (per ridurne la visibilità ed
occultarli nei dislivelli di terreno a chi guardi dal terreno e non
dall’alto) con particolari protezioni anti-mine di nuova concezione, che
ne fanno dei mezzi ottimali nelle grandi pianure dell’Europa centro
orientale, dall’Ucraina sino all’Ungheria e Polonia.
La sfilata ci dice che la Russia è
tecnologicamente ben più avanti delle previsioni e che è tornata ad
essere il più grande esercito di terra del continente. Il suo punto
debole resta la posizione di svantaggio aerea e missilistica. Per cui ha
limitato potenziale in attacco, ma è difficilmente battibile in difesa o
su terreni immediatamente a ridosso dei propri confini.
In teoria, l’insieme degli eserciti
dell’Europa occidentale (inglesi, tedeschi, francesi, spagnoli ed
italiani, ma con l’aggiunta di polacchi, cechi, ungheresi, per non dire
dei minori) sarebbe abbastanza di grado di reggere l’urto di una
eventuale aggressione russa, ma l’Europa, come unità di insieme esiste
solo quando è sotto il comando americano e neanche sempre. Presa a sé è
solo uno spezzatino incapace di qualsiasi unità di azione: non basta una
moneta per essere soggetto politico. E proprio nei confronti della
Russia si manifesta con più chiarezza questa differenziazione che
riflette il maggior o minore grado di interessi comuni con l’orso russo,
che è massimo per gli italiani (come Putin ricorda nella sua
intervista al Corriere) e tedeschi, abbastanza consistente per
francesi, austriaci , baltici (ad eccezione degli svedesi) ed, invece è
minimo per Inglesi, svedesi, olandesi.
A ben vedere è la fotografia della
situazione di favorevoli e contrari ai gasdotti alternativi a quello che
passa per l’Ucraina. Per il resto, la classe dirigente politica europea
è solo un ammasso di invertebrati e servi vocazionali, pronti a fare la
voce grossa solo quando lo comanda la “Voce del Padrone”.
Ed, in questo contesto, il Premio Nobel
per la Pace, Barak Obama, riscopre le teorie politiche di Mackinder,
per il quale il pericolo costante è che il gigante a cavallo fra Europa
ed Asia arrivi ad esser dominante dall’Atlantico al mar del Giappone,
diventando il controllore della massima porzione di risorse naturali,
popolazione e territorio del Mondo, dopo di che non ci sarebbe modo di
fermarne l’espansionismo. Per cui spetta al Giappone, da un lato, ed
all’Inghilterra (oggi alla Ue) dall’altro, fare barriera
all’espansionismo dell’orso russo, prima che sia troppo tardi. In questo
schema c’è una variante, la presenza della Cina diventata potenza
mondiale, ma due costanti: il tentativo di ridurre il policentrismo
mondiale ad un formato sostanzialmente monopolare –più o meno
imperfetto- e la concezione dell’Europa (e similmente del Giappone) come
proprio semplice antemurale nella politica di contenimento.
In realtà, non pare che i russi abbiano
voglia, forza e interesse di aggredire l’Europa. Anzi, l’interesse è
quello di porsi al centro fra un’area di interscambio europea ed
un’altra asiatica. Un quadro strategico che esige grande stabilità
politico-militare e non certo avventure militari, per le quali la Russia
non avrebbe la forza. E Putin, nell’ intervista concessa al Corriere
della sera ( 6 Giugno 2015), lo dice senza troppi giri di parole: la
Russia vuole creare una condizione di parità strategica con gli Usa
(colmando il gap aero-missilistico) per creare un equilibro durevole,
ma, nel frattempo, fa capire di essere perfettamente in grado di reggere
lo scontro nella sua area di influenza ed, a maggior ragione, sul suo
territorio. Fu più saggio il “destro” Bush in occasione della crisi
georgiana di quanto non lo sia il “sinistro” Obama oggi. Certe sinistre
riescono a far rimpiangere le destre.
Il punto è per gli americani è
inaccettabile proprio l’idea di due aree di interscambio europea ed
asiatica che tendano a diventare un unico bacino, che renderebbe
marginale la rotta atlantica (a quel punto, a cosa servirebbe quel
trattato di libero scambio Usa-Ue che stanno cercando di concludere?).
Così come è insopportabile l’idea che si stabilisca un ordine mondiale
che superi quello sostanzialmente monopolare attuale (Usa o al massimo
Usa-Ue) e crei un equilibrio multipolare sul quale, insieme agli Usa,
spiccherebbero Russia e Cina: diverrebbe praticamente impossibile
difendere il dollaro come unica moneta di riferimento mondiale.
Questo è il quadro strategico, ma
siccome non si può dire apertis verbis che le cose stanno così, occorre
cercare di fare una vernice di rispettabilità ideologica, di qui la
battaglia in difesa del diritto alla sicurezza ed all’indipendenza
dell’Ucraina. Anche se poi non si capisce perché lo stesso diritto
all’autodeterminazione non è riconosciuto ai russofoni del Donbass.
E così, in parallelo all’inasprirsi dei
rapporti russo-americani, si è intensificata la campagna degli ucraini
contro i piani di aggressione di Mosca (veri o più probabilmente
presunti).
Subito dopo la lunga intervista concessa
in esclusiva da Putin, è apparso sullo stesso Corriere della Sera un
lungo servizio dalla Germania titolato “L’ipotesi Usa: missili in Europa
per contrastare la minaccia russa” sottotitolo “La risposta al test del
Cremlino con vettori a medio raggio.”
E’ possibile, auspicabile e ci sono
buone speranze che anche questa volta eviteremo lo scontro frontale
soprattutto perché non lo vogliono né i russi né gli americani, anche se
è vero che i libri di storia sono pieni di guerre che non voleva
nessuno e che sono scoppiate lo stesso.
E’ probabile che lo scontro non ci sarà,
ma noi sembra che ce ne sia abbastanza per preoccuparsi. E la cosa più
preoccupante è l’inconsapevolezza degli europei della gravità della
situazione.
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