Altro che miracoli. Estremismo
cattolico guerresco e un giro d’affari da 3 miliardi di euro. Il ruolo
dei «francescani con il Rolex» e lo spettro delle pulizie
etnico-religiose dietro il business delle apparizioni in Erzegovina. Che
ora papa Bergoglio si prepara a smontare
Alla fine della guerra, nel dicembre del 1995, la Bosnia era
completamente distrutta, senza più attività produttive, con strade
e infrastrutture in rovina e gran parte della popolazione senza
lavoro. Una sola attività aveva ripreso a macinare utili a ritmi
vertiginosi, la fabbrica di miracoli e apparizioni della Madonna
di Medjugorje, che in breve tempo era tornata a essere una miniera
d’oro.
Dopo il sanguinoso conflitto che aveva provocato 100 mila morti, fatto tremare i governi europei e aperto una ferita nel mondo tra i credenti di diverse religioni, migliaia di cattolici, soprattutto stranieri, si accalcavano a Medjugorje per incontrare i veggenti e attendere l’apparizione della Gospa (la Madonna) che, in quei luoghi dilaniati dal feroce nazionalismo croato cattolico, veniva incredibilmente chiamata «la Regina della pace».
Dopo il sanguinoso conflitto che aveva provocato 100 mila morti, fatto tremare i governi europei e aperto una ferita nel mondo tra i credenti di diverse religioni, migliaia di cattolici, soprattutto stranieri, si accalcavano a Medjugorje per incontrare i veggenti e attendere l’apparizione della Gospa (la Madonna) che, in quei luoghi dilaniati dal feroce nazionalismo croato cattolico, veniva incredibilmente chiamata «la Regina della pace».
Alla fine della guerra erano anche resuscitati i fantasmi di un
angoscioso passato, che aveva visto protagonisti proprio
i francescani di Bosnia e Croazia, l’Ordine che gestiva il tempio di
Medjugorje. Temprati e induriti da una guerra religiosa che
durava da centinaia di anni, prima contro l’avanzare della chiesa
ortodossa e poi contro l’impero ottomano e il diffondersi della
religione musulmana, con il dittatore ustascia Ante Pavelic,
alleato di fascisti e nazisti, avevano partecipato alla pulizia
etnico-religiosa, alle conversioni forzate, alle deportazioni, alle
stragi e perfino al genocidio nel campo di sterminio di
Jasenovac dove furono eliminati almeno 600 mila jugoslavi, serbi,
ebrei, rom e dissidenti di altre etnie.
Era proprio un frate francescano, Miroslav Filipovic, detto «il
satana nero», il comandante delle squadre della morte del campo.
Condannato a morte nel 1946 per i crimini commessi, chiese di
vestire per l’ultima volta il saio prima di essere fucilato. Con
l’inanità complice del Vaticano che riceveva addirittura
delegazioni di ustascia e criminali di guerra, «tutte le strutture
del cattolicesimo croato (sostennero) un genocidio dalle
esclusive connotazioni religiose, e i più colpiti furono gli
scismatici serbo-ortodossi», ha scritto lo storico Marco Aurelio
Rivelli.
Proprio in Vaticano inventarono la “grisella”, più nota come
“rat line”, la corda che, collegata alle sartie, permette ai topi la
salita fino alla cima degli alberi dei velieri, l’ultimo rifugio
durante un naufragio. Il centro operativo della “rat line” era un
monastero croato, San Girolamo degli Illiri, a poca distanza dai
palazzi vaticani. Attraverso quella via sfuggirono alla giustizia,
nascondendosi in Sud America, Stati Uniti e Medio Oriente,
criminali nazisti e fascisti con in testa Ante Pavelic. Anche il
massimo esponente del clero cattolico croato, Alojzije Stefinac,
restò in silenzio davanti all’orrore e anzi assicurò ad Ante Pavelic
«sincera e leale collaborazione», tanto da meritare l’appellativo
di «arcivescovo del genocidio».
Considerato una vittima del governo comunista jugoslavo,
anziché un sostenitore dei fascisti ustascia, fu beatificato da
Papa Wojtyla. Ma lo sguardo obliquo del papa aveva un’altra
possibile spiegazione. La beatificazione dell’«arcivescovo del
genocidio» aveva permesso al Vaticano di rientrare in possesso
delle proprietà immobiliari che nel dopoguerra il regime comunista
aveva sequestrato alla chiesa.
Il governo jugoslavo aveva chiuso e sequestrato anche il monastero francescano di Siroki Brijeg, roccaforte ideologico-religiosa del movimento ustascia e fulcro spirituale dei cattolici d’Erzegovina durante la seconda guerra mondiale. Ma non aveva potuto impedire che intorno a quel luogo continuasse a ruotare l’estremismo secessionista-nazionalista francescano.
Il governo jugoslavo aveva chiuso e sequestrato anche il monastero francescano di Siroki Brijeg, roccaforte ideologico-religiosa del movimento ustascia e fulcro spirituale dei cattolici d’Erzegovina durante la seconda guerra mondiale. Ma non aveva potuto impedire che intorno a quel luogo continuasse a ruotare l’estremismo secessionista-nazionalista francescano.
Senza conoscere la contorta e impressionante storia dei
francescani di Croazia, è difficile discernere, anche solo nei
contorni, un fenomeno religioso-politico-economico come la fabbrica
delle apparizioni di Medjugorje. Proprio in Erzegovina la
comunità cattolica era la più compatta e numerosa dell’interna
nazione e devotissima ai francescani. Costoro a metà degli anni ’70
erano entrati in conflitto con i vertici della Chiesa per delle
proprietà immobiliari delle parrocchie nella loro giurisdizione,
provocando un contrasto insanabile con la diocesi di Mostar (che
ha la giurisdizione su Medjugorje). A quel momento risalgono
i primi segni del più ampio progetto delle apparizioni. Vennero
trovati rosari di fabbricazione sconosciuta in vari luoghi
intorno a Medjugorje, che i francescani definirono segni
premonitori o miracolosi.
Si arrivò così al 24 giugno 1981. Sei giovani e adolescenti del posto, accomunati da vincoli di parentela, dissero di aver visto «una figura femminile luminosa sul sentiero che costeggia il Podbrdo». E la decrissero così: «Tra i 18 e i 20 anni, snella, alta circa 165 cm. Il suo viso è lungo e ovale con capelli neri. (…) Ha una semplice veste azzurro-grigia che scende liberamente verso il basso mescolandosi con la piccola nuvola biancastra su cui sta in piedi. Il suo velo è bianco (…) Ha una corona con 12 stelle dorate sulla testa». La descrizione è uguale a quella dell’iconografia classica tramandata da quadri e santini, ma l’eco fu mondiale.
Si arrivò così al 24 giugno 1981. Sei giovani e adolescenti del posto, accomunati da vincoli di parentela, dissero di aver visto «una figura femminile luminosa sul sentiero che costeggia il Podbrdo». E la decrissero così: «Tra i 18 e i 20 anni, snella, alta circa 165 cm. Il suo viso è lungo e ovale con capelli neri. (…) Ha una semplice veste azzurro-grigia che scende liberamente verso il basso mescolandosi con la piccola nuvola biancastra su cui sta in piedi. Il suo velo è bianco (…) Ha una corona con 12 stelle dorate sulla testa». La descrizione è uguale a quella dell’iconografia classica tramandata da quadri e santini, ma l’eco fu mondiale.
Già alla metà degli anni ’80, dopo che alcuni medici e studiosi
cattolici si dedicarono in sommarie e modeste indagini nel
tentativo di avvalorare l’intensa attività mariana di
Medjugorje, pressato da alcuni colleghi, iniziò a studiare
i veggenti anche il professor Marco Margnelli, neurofisiologo,
ricercatore del Cnr di Milano, dell’Università di Lipsia e del North
Carolina, uno dei massimi esperti mondiali di stati della coscienza
e di estasi, che indagava con particolare profondità anche le
relazione tra i fenomeni mistico-religiosi connessi alle droghe
naturali e sintetiche.
Dopo la sua prima visita, Margnelli tornò in Italia con molti dubbi
sui «francescani con il Rolex» che gestivano la proficua attività
dei veggenti.
Jozo Zovko, parroco francescano di Medjugorje, era già stato
arrestato più di una volta per «attentato alla sicurezza e all’unità
dello Stato jugoslavo». E anche il «direttore spirituale» dei
veggenti, il frate Tomislav Vlašic, l’estensore materiale di una
lettera della Madonna al Papa (poi smentita dagli stessi veggenti)
era stato accusato dal vescovo di Mostar Zanic di essere l’ideatore
delle apparizioni e dalla Chiesa di «divulgazione di dubbie
dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo,
disobbedienza ad ordini legittimamente impartiti ed addebiti
contra sextum» (ossia per i peccati di natura sessuale, per aver
messo incinta una suora). Per questo era stato ridotto allo stato
laicale con l’interdizione perpetua ad essere anche solo ospitato in
un convento francescano.
Il contorno era ambiguo e opaco, però Marco Margnelli era
incuriosito dai veggenti. «Mi irritava l’atteggiamento degli esperti
dai quali i teologi orecchiavano le loro trattazioni, degli
psichiatri o degli psicoanalisti che pontificavano paragoni
e confronti tra deliri patologici ed esperienze estatiche, tra
menti sane e menti malate senza mai avere visto un estatico da vicino
o aver studiato una vera estasi». Infatti secondo lo scienziato
«l’estasi era uno stato di coscienza» e non un evento legato al
sovrannaturale. Era questo che cercava di dimostrare
scientificamente.
Ritornò a Medjugorje nella seconda metà degli anni ‘80, insieme
a una numerosa equipe. Vennero svolte diverse ricerche e apparve
chiaro che i veggenti erano in uno stato alterato di coscienza. «Era
una condizione che si può ottenere anche attraverso tecniche di
meditazione, come l’auto-training, ma non in modo così profondo»,
dichiarò Margnelli, che voleva forse lasciare aperta la porta a future
indagini. Invece il suo pensiero venne distorto per consolidare la
veridicità delle apparizioni e venne diffusa la notizia che «il
noto scienziato ateo Marco Margnelli si era convertito al
cattolicesimo dopo aver conosciuto i veggenti». Lo scienziato ci
rise sopra: «Questi sono matti» disse riguardo alla falsa notizia di
una sua conversione.
La questione di Medjugorje si era trasformata ormai in una
guerra a sfondo politico oltre che religioso tra istituzioni
cattoliche. Più aumentava il numero di pellegrini cattolici
a Medjugorje (nove milioni registrati solo nel 1987), più si
acuivano i contrasti tra la Chiesa e l’Ordine francescano. Per non
consegnare alla Chiesa le parrocchie contese fin dagli anni ‘70,
i francescani arrivarono perfino a murare l’ingresso delle chiese
e addirittura sequestrarono per 15 giorni il loro più strenuo
oppositore, il vescovo di Mostar.
Poco prima del definitivo disfacimento della Repubblica jugoslava, il 10 aprile 1991, i vescovi del paese, riuniti a Zara, emisero una dichiarazione congiunta su Medjugorje: «Sulla base di quanto finora si è potuto investigare, non si può affermare che abbiamo a che fare con apparizioni e rivelazioni soprannaturali».
Poco prima del definitivo disfacimento della Repubblica jugoslava, il 10 aprile 1991, i vescovi del paese, riuniti a Zara, emisero una dichiarazione congiunta su Medjugorje: «Sulla base di quanto finora si è potuto investigare, non si può affermare che abbiamo a che fare con apparizioni e rivelazioni soprannaturali».
E anche frate Jozo Zovko, l’altra anima nera dei veggenti, nel frattempo venne sospeso dalle funzioni pastorali.
Nel 1992, allo scoppio della guerra di Bosnia, i francescani, come
già era accaduto durante la guerra di Bosnia, divennero la punta di
diamante dell’estremismo cattolico guerresco. Con la copertura di
alcune associazioni umanitarie, come Il Pane di Sant’Antonio e la
Caritas di Ghedi, (da non confondere con la Caritas italiana) si
misero ad aiutare con ogni mezzo la fazione secessionista
cattolica.
Alla fine della guerra vennero ignorate dai tribunali locali, ma anche da quelli internazionali, le numerose attività segrete e delittuose dei francescani, che ripresero ad occuparsi del grande business Medjugorje.
Alla fine della guerra vennero ignorate dai tribunali locali, ma anche da quelli internazionali, le numerose attività segrete e delittuose dei francescani, che ripresero ad occuparsi del grande business Medjugorje.
Qualcuno ha stimato che dal 1981 al 2013 «l’ammontare totale delle
spese turistiche prodotte a Medjugorje si sia aggirato intorno ai
2,85 miliardi di euro. Inoltre, valutando in circa 23 milioni
i pellegrini arrivati nel paesino dell’Erzegovina negli anni presi
in considerazione, le spese di viaggio ammonterebbero a quasi
8,5 miliardi di euro, per un giro d’affari mondiale di circa 11
miliardi di euro». Non sappiamo se queste cifre siano esatte al
centesimo, ma sono molto verosimili.
Alla fine degli anni ‘90, chi scrive incontrò il professor Marco
Margnelli con l’idea di fare un documentario su Medjugorje. Nel
corso degli anni, lo scienziato aveva approfondito gli studi
sull’ipnosi e sugli stati coscienza e aveva molto da dire sui veggenti
di Medjugorje. Ma il progetto documentaristico venne rimandato
a causa dello scoppiò del conflitto in Kosovo e qualche tempo dopo il
professor Margnelli si ammalò gravemente. L’idea
documentaristica venne abbandonata definitivamente, ma ho
ancora il nastro con quello che mi disse e ricordo la risposta che lo
scienziato diede alla mia domanda se quello che i veggenti vedevano
fosse un fatto sovrannaturale. «Nessun miracolo… Si tratta di
autosuggestione», rispose Margnelli in modo netto.
A distanza di quindici anni dalle ultime ricerche del prof. Marco
Margnelli, tra poco la parola su Medjugorje passerà a Papa
Bergoglio. Anche se in questi giorni è stata diffusa ad arte la
notizia che «si rischia lo scisma (tra i croati) se sconfesserà le
apparizioni della Madonna», dopo aver fatto pulizia dei preti
pedofili, dei monsignori affaristi, dello Ior e della finanza
vaticana, quale sarà l’orientamento del Papa, che ha preso il nome di
Francesco, con i francescani di Bosnia e la loro fabbrica delle
apparizioni?
«La Madonna è madre! E ama tutti noi. Ma non è un capufficio della
posta, per inviare messaggi tutti i giorni», ha detto qualche
settimana fa riguardo le visioni quotidiane dei veggenti di
Medjugorje.
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