L'altro ieri, al circolo Pd di Capannelle, in un'assemblea pubblica in piazza, ho con dolore lasciato il Pd.
L'ho fatto in un circolo della periferia romana, in un luogo difficile,
dove continua a vivere la buona politica perché lì sono i miei
referenti, i miei interlocutori, gli uomini e le donne che il 30
Dicembre del 2012 mi hanno dato la loro fiducia per entrare nel luogo
supremo della rappresentanza. È innanzitutto a loro, a ciascuno delle
elettrici e degli elettori del Pd che ha Roma mi hanno sostenuto, che
sento di dover rispondere.
La scelta del governo Renzi di
approvare al Senato il ddl Scuola attraverso il voto di fiducia è grave
sul piano del corretto funzionamento delle istituzioni della
rappresentanza democratica ed è insostenibile sul piano politico per il
Pd.
La scuola è il luogo dove ogni giorno vive, si insegna e si
impara, la Costituzione. La scuola è l'architrave delle istituzioni
della Repubblica. Il ponte per il futuro. La scala della mobilità
sociale.
Dopo mesi di mobilitazioni intense, diffuse,
appassionate di docenti, studenti e famiglie, dopo uno sciopero
attivamente partecipato da 618.000 insegnanti, tecnici e ausiliari della
scuola, dopo un voto amministrativo segnato dal distacco di una parte
significativa di popolo democratico dal Pd, il governo Renzi, invece di
aprire finalmente un confronto con i protagonisti della scuola, prima fa
slittare per settimane i lavori della Commissione Istruzione del
Senato, poi strumentalizza gli insegnanti precari da assumere a
Settembre e tenta di scaricare sulle opposizioni e su alcuni senatori
del Pd i ritardi accumulati, infine, impedisce al Senato la discussione
anche in aula.
È uno schiaffo al Parlamento. È uno schiaffo
all'universo della scuola. È la dimostrazione di una visione
autoreferenziale della politica indifferente al distacco, già a livelli
di allarme, tra cittadini e istituzioni.
Sento profondamente mia la tristezza espressa dal sen. Walter Tocci che,
insieme a altri colleghi, ha cercato fino all'ultimo di aprire il
dialogo con il governo: "Sono un vecchio parlamentare e ho combattuto
due leggi devastanti per la scuola, prima la Moratti e poi la Gelmini.
Però devo riconoscere che in entrambi i casi noi dell'opposizione
abbiamo potuto portare in votazione i nostri emendamenti dopo un
dibattito parlamentare di diverse settimane. Con il mio governo invece
non è stato possibile votare le proposte né in commissione né in aula.
Si approva una brutta legge senza che il Senato possa esaminare il
provvedimento."
Nel merito, il Ddl scuola, nonostante la
martellante propaganda, non è una buona riforma, anzi, non è una
riforma. È un intervento regressivo di riorganizzazione dei rapporti di
lavoro, all'insegna del Jobs Act, negativo per la qualità della
didattica, negativo per la libertà di insegnamento.
È un
intervento ispirato nel suo principio guida dal Ddl Aprea di epoca
berlusconiana. Sarebbero state necessarie correzioni profonde almeno su 4
punti per:
1. cancellare la chiamata e la revoca dei docenti da parte
dei presidi;
2. introdurre un piano pluriennale di assunzione degli
insegnanti precari, abilitati e di III fascia da abilitare, connesso ai
pensionamenti, quindi senza oneri aggiuntivi di finanza pubblica;
3.
rivedere l'iniquo finanziamento alle scuole private e il divaricante
meccanismo dello school bonus e, infine,
4. ridurre e ridefinire le
norme di delega.
Invece, il testo del maxi emendamento predisposto dal
governo si limita a qualche ritocco cosmetico per far finta di aver
ascoltato.
Come con la delega lavoro, anche con il Ddl scuola, il
governo Renzi contraddice radicalmente il programma sul quale ciascun
parlamentare del Pd e Sel è stato eletto. Sono, in entrambi i casi,
svolte liberiste e regressive, ingiuste per i diretti interessati e
dannose per la ripresa economica e morale dell'Italia.
Su punti
fondamentali sono ricalchi della piattaforma elettorale del PdL. Sono
scelte senza alcuna legittimazione democratica diretta o indiretta
perché il Segretario del Pd le ha omesse sia dalla campagna congressuale
del 2013, sia dal programma di governo sul quale ha ricevuto la fiducia
del Parlamento a Febbraio 2014, sia dalla campagna elettorale delle
elezioni europee.
Il cambiamento è necessario. Anzi urgente. Ma
il cambiamento non è neutro. Può essere progressivo o regressivo. In
questi mesi, insieme a altri colleghi e colleghe, abbiamo cercato di
dare il nostro apporto per un cambiamento progressivo. Invece, da
subito, dal Segretario del Pd è arrivata la delegittimazione morale,
oltre che politica, delle posizioni e delle proposte diverse. Tante
riunioni senza vera discussione. Soltanto monologhi in streaming.
Le
ultime elezioni amministrative, dopo il voto regionale del novembre
scorso in Emilia, evidenziano che una parte importante, qualificante,
decisiva, del popolo del Pd è stata abbandonata dal Pd di Matteo Renzi.
La discussione del Ddl scuola sarebbe potuta essere l'occasione per
riaprire un canale di comunicazione e incominciare a rammendare gli
strappi. Invece, con il voto di fiducia sul Ddl scuola, il Pd conferma
di riposizionarsi in termini di cultura politica, programma e di
interessi rappresentati.
Il Pd vuole essere il partito
dell'establishment, del big business, di Marchionne e dei banchieri
d'affari oramai ovunque nelle principali postazioni delle
amministrazioni economiche e, insieme, il partito garante dell'ordine
teutonico dell'euro-zona nel sacrificio dell'interesse nazionale.
Tra
il Pd e il popolo democratico abbandonato dal Pd scelgo il popolo
democratico. Insieme a Pippo Civati, Luca Pastorino, Sergio Cofferati,
Monica Gregori, Daniela Lastri e a tante donne e uomini che hanno
creduto e costruito il Pd e ora vivono l'abbandono da parte del Pd
smarriti ma ancora appassionati di bella politica, avviamo un cammino
sui territori della nostra Italia.
Vogliamo incontrare chi non si
è rassegnato all'esistente, chi non si arrende al dominio dei poteri
più forti. Vogliamo ascoltare chi domanda dignità della persona che
lavora, uguaglianza, giustizia sociale e nei diritti civili,
valorizzazione del nostro ambiente. Vogliamo lanciare una controffensiva
culturale e politica allo svuotamento delle democrazie nazionali e alla
subalternità della famiglia socialista europea. Vogliamo raccogliere la
sfida per un neo-umanesimo contenuta nei messaggi "radicali" della
dottrina sociale della Chiesa interpretata da Papà Francesco.
Ci vediamo sabato 4 luglio,
a Roma, al Palladium. Ricominciamo, insieme, da scuola, lavoro,
democrazia. Raccogliamo la sfida per una sinistra di governo per
un'agenda alternativa, in Italia e in Europa.
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