Se dopo le elezioni regionali erano suonati i campanelli d’allarme,
dopo il voto comunale si sono messe all’opera proprio tutte le
campane. Innanzitutto per Renzi e per il suo partito, che adesso non
prova neppure a minimizzare e parla apertamente di «una
sconfitta».
La doppia batosta di Venezia e Arezzo, ventennali roccaforti
del centrosinistra, colpisce il premier-segretario sia come
presidente del consiglio che come leader di partito. Né Casson,
un candidato che avrebbe dovuto fare il pieno dei voti di sinistra,
né il renzianissimo Braccialli che avrebbe dovuto sfondare nel
campo avverso, hanno avuto il consenso degli elettori. Al contrario,
in Laguna come nella provincia toscana, sono stati premiati un
imprenditore e un ingegnere, due portabandiera delle forze di
centrodestra, esponenti della società utili a nascondere i partiti
sotto il tappeto. Ha poco di che rallegrarsi il vivace Brunetta con
Forza Italia che a Venezia non arriva nemmeno al 4%, e hanno poco da
recriminare sulle divisioni quelli del Pd se proprio il partito
è stato abbondantemente superato dalla lista di Casson.
L’altro elemento rilevante del voto è l’errore di sottovalutare
l’avversario dandolo per sconfitto in partenza o considerandolo
facilmente battibile. Come sempre, come fin dall’esordio del
berlusconismo, a destra non trova casa il virus del tafazzismo,
tipica patologia della sinistra, e quando è il momento le divisioni
si annullano e il cartello si mostra compatto.
Il tafazzismo, invece, ha contagiato il Movimento dei 5Stelle,
conquistato dal tanto peggio tanto meglio. Nella speranza di
raccogliere i frutti che gli avversari (tutto il Parlamento) non
sono in grado di riprendere. Ma questo riguarda il futuro. Qui e ora
va detto che se il M5S strappa qualche importante comune segnando
un’altra tappa del suo radicamento, resta che il Movimento
soprattutto si distingue per fare da spalla al centro-destra. Come
dimostra in pieno il caso Venezia.
Non votare Casson significa non sostenere un personaggio — un
magistrato — e una politica — onestà e mani pulite — che rientra
perfettamente nella cultura pentastellata. Se le scelte avvenute
alle regionali erano oltremodo legittime — un’organizzazione che
raccoglie un consenso ampio, deve essere ambiziosa — quella di non
partecipare al ballottaggio veneziano è distruttiva
e autodistruttiva.
Ma chi deve preoccuparsi più di tutti è il premier/segretario.
Dopo questo importante voto amministrativo Renzi dovrebbe prestare
meno attenzione alla grancassa mediatica che gli suona la serenata
e avere maggior cura alla realtà del paese per quella che è. Se il Pd
perde sia con un candidato di sinistra che con uno di destra, vuol
dire che lo sfondamento al centro è una chimera e la riconquista
di un consenso a sinistra un’illusione. Anche perché l’unico dato
nazionale incontrovertibile, indiscutibile e apparentemente
anche invincibile resta l’astensionismo. Che colpisce tutti,
politica e antipolitica, destra e sinistra.
La fuga dalle urne e l’emorragia di voti del Pd smentiscono le
magnifiche sorti delle furbizie costituzionali (l’Italicum)
e delle scorciatoie liberiste (jobs act). Del resto la tragedia
delle migrazioni, che attraversa i nostri territori mettendo in
forse persino la frontiera dell’umana solidarietà, è testimonianza
sufficiente per consigliare di tornare con i piedi per terra.
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