Quattro Regioni, quattro Governatori, quattro rogne. E
un'unica radice: la lotta interna al Partito Democratico. Non si è
ancora sbiadito il ricordo delle sconfitte cocenti in Veneto e Liguria, e
il Pd deve riaprire il capitolo Regioni. Da Nord a Sud passando per il
centro, sono quattro le Regioni in bilico per motivi politici,
amministrativi, giudiziari. In Piemonte, Lazio, Campania e Sicilia il
segretario Matteo Renzi rischia di andare a sbattere contro un muro
alzato dal suo stesso partito.
In Piemonte Chiamparino è alle
prese con l'inchiesta della magistratura sulle firme false, in Sicilia
il Pd ha presentato una mozione di sfiducia nei confronti di Crocetta,
in Campania Vincenzo De Luca è un presidente sospeso e lotta contro il
tempo per nominare la sua giunta, in Lazio l'amministrazione Zingaretti è
finita di striscio nel pentolone di Mafia Capitale. Si tratta di casi
in cui a giocare un ruolo predominante è il Partito democratico a
livello regionale.
Emblematico è il caso siciliano.
I renziani, che hanno nel sottosegretario Davide Faraone il loro
colonnello in Sicilia, non hanno mai nascosto i loro mal di pancia nei
confronti dell'outsider Rosario Crocetta. La mozione di sfiducia
presentata dal deputato Pd all'Ars Fabrizio Ferrandelli nei confronti
del presidente della Regione è solo l'ultimo atto di una lotta intestina
iniziata il giorno successivo all'ingresso di Crocetta a Palazzo
d'Orleans. Lotta che si ripercuote sul governo regionale: l'assessore
all'Economia Baccei mandato in Sicilia per volontà di Renzi è stato
duramente criticato dal Presidente della Regione per le sue idee in
campo economico. Soprattutto per la decisione di Baccei, di concerto con
Palazzo Chigi, di rimettere mano alla legge finanziaria approvata dal
governo Crocetta.
Dissidi legati ai tagli di spesa, ma non solo. A Palermo il clima è rovente: i renziani hanno coniato l'hashtag "#SaroStaiSereno" che è tutti gli effetti una dichiarazione di guerra, visti i precedenti usi dell'invito alla calma. Da parte sua Crocetta non evita la sfida, digrigna i denti e replica: "Io penso a Governare". "Sono molto preoccupato sulla situazione politica regionale in Sicilia. La classe politica sembra la casa del Grande fratello. Liti, beghe, riti tribali da Prima repubblica, mentre tutto crolla", ha attaccato il sottosegretario Faraone. Nello scontro aperto, però, Crocetta si trova in una posizione di debolezza, perché il suo Governo ha bisogno dell'aiuto di Roma: "Dobbiamo trovare 3 miliardi di euro", ha detto il sottosegretario. Il messaggio che arriva a Crocetta è che "se non si allinea non avrà alcun aiuto da Roma. Questo ragionamento lo facevano in passato i Lima e i Ciancimino. Se il messaggio di Faraone è un messaggio ufficiale del Governo io sono costretto ad andare in Procura".
In
Campania il caso (e il caos) ormai è noto. Renzi ha firmato la
sospensione del neo governatore De Luca per effetto della Legge
Severino. Il consiglio regionale, previsto per oggi, è stato rinviato a
data da destinarsi. E l'ex sindaco di Salerno corre contro il tempo: ha
depositato, come previsto, il ricorso presso il Tribunale di Napoli per
l'annullamento del decreto di sospensione. Il risultato? Giornalisti in
attesa per ore prima di poter partecipare a una conferenza stampa già
convocata, neo consiglieri costretti a "trattare" con le guardie giurate
per poter accedere al palazzo del consiglio regionale, polizia e
carabinieri in assetto antisommossa, un'ambulanza e centinaia di
manifestanti con striscioni, cartelli, fischietti e bandiere. Questa, in
sintesi, la "prima" giornata della X legislatura del Consiglio
regionale campano.
"De Luca comincerà il suo iter per il ricorso
ma le due cose non coincidono", ha detto il presidente del Consiglio
regionale D'Amelio. "Io convocherò il Consiglio prima della scadenza del
12 luglio, non so quando il tribunale si pronuncerà sul ricorso di De
Luca, le due cose non coincidono. Si tratta di capir se posso convocare
il Consiglio senza discutere come prevede lo statuto, del programma del
Presidente. Perché statuto e regolamento del Consiglio regionale dicono
che ci deve essere questo punto all'ordine del giorno del primo
Consiglio".
C'è poi la rogna piemontese. Il governatore Sergio Chiamparino è pronto a dimettersi dalla sua carica per l'inchiesta sulle firme false raccolte per la presentazione delle liste alle elezioni regionali. Tutto resta sospeso in attesa della pronuncia del Tar il prossimo 9 luglio. Di certo il "Chiampa", come lo chiamano i suoi fedeli, non resterà a guardare, né seguirà le orme del suo predecessore leghista Roberto Cota, la cui poltrona è stata in bilico in attesa delle decisioni dei giudici per un caso simile. Si inizia a parlare di elezioni anticipate, non subito ma gennaio-febbraio.
Nel
partito l'aria è pesante: le accuse si rimbalzano tra Pd regionale e
provinciale, investendo uomini di assoluta fede renziana come il
segretario regionale Davide Gariglio al quale viene rivolta, in maniera
velata, l'accusa di superficialità per aver creato il caos nelle liste.
"Via le ombre o si va a votare", ha detto Chiamparino. L'attesa durerà
almeno fino al 9 luglio, se non oltre.
Nel Lazio, la situazione è meno drammatica che altrove, ma solo perché le attenzioni sono ora tutte rivolte non al Governatore Zingaretti quanto al sindaco di Roma Ignazio Marino. Sempre uomo Pd non renziano. Eppure Zingaretti poche settimane fa ha dovuto fare i conti, senza troppi problemi in verità, con una mozione di sfiducia nei suoi confronti, bocciata dal Consiglio regionale. Da Roma viene confermata assoluta fiducia nel sindaco e nel Presidente. "Marino e Zingaretti non si toccano", ripetono al Nazareno.
Ma tra le dichiarazioni ufficiali e i sentimenti che agitano il Pd romano c'è di mezzo un baratro. Perché le dimissioni del capo di gabinetto della Regione Lazio Maurizio Venafro, rassegnate tre mesi fa in seguito all'indagine a suo carico in un'inchiesta su alcuni appalti legati a loro volta a Mafia Capitale, hanno gettato qualche ombra sull'amministrazione regionale. Tutto è legato alla piega che prenderà nelle prossime settimane l'inchiesta sulla corruzione a Roma.
Quello
che va in scena a livello regionale è un logorio lento, e inesorabile,
che rischia di minare la fiducia già in calo nel partito, come
testimoniano i risultati delle ultime elezioni amministrative. Ma
soprattutto che ripropone la questione irrisolta dello scollamento tra
il Nazareno e le segreterie locali del Pd.
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