di Marco Palombi
Destra
e sinistra (si fa per dire) unite nella lotta per spolpare lo Stato,
accrescere i guadagni dei “capitani coraggiosi” e far pagare di più i
posteri. Un’analisi che non rivela tutti i malefici della “finanza di
progetto, ma quanto basta per capire la truffa. Il Fatto quotidiano, 10 giugno 2015.
Un
benedetto emendamento arrivato in Senato. Benedetto almeno per quei
privati che con questo sistema si arricchiscono senza alcun rischio
d’impresa. Il nuovo codice degli appalti, una delega al
governo che Palazzo Madama sta per approvare, doveva essere il segno
tangibile che il clima era cambiato: pubblicità, trasparenza, gare
pubbliche, più poteri all’Autorità Anti-corruzione. In
parte, va detto, la legge rispetta le premesse, ma crea uno strano
binario parallelo in cui la trasparenza serve un po’ meno: l’obbligo di
affidare i contratti di lavoro, servizi e forniture “mediante procedura
ad evidenza pubblica” non vale infatti per le concessioni “affidate con
la formula della finanza di progetto”. L’emendamento lo firmano i
due relatori Stefano Esposito (Pd) e Lionello Marco Pagnoncelli
(fittiano, ex FI) il che significa che è frutto di un accordo
che comprende maggioranza e governo. La “finanza di progetto”, meglio
nota come project financing, funziona così: lo Stato decide di aver
bisogno di un’opera, un privato la costruisce in cambio della
concessione di utilizzo (o di un canone d’affitto) per un numero di anni
sufficienti a ripagare la spesa e guadagnarci il giusto.
Fin
qui, tutto bene, il problema è che le cose vanno così solo in teoria:
intanto spesso i soldi con cui i privati fanno l’investimento sono
garantiti dal pubblico (è il caso dell’autostrada Brebemi, costruita dai
privati coi fondi di Cassa depositi e Banca europea degli investimenti)
e poi la remunerazione della spesa iniziale è sempre scandalosamente
alta. Tradotto: zero rischi, molto guadagno.
Contrariamente a quanto si pensa, però, il project financing non viene
usato solo dallo Stato per opere enormi tipo le autostrade, ma è il mezzo con cui Regioni, Comuni e Asl in questi anni hanno aggirato gli (stupidi) vincoli di bilancio
che gli impediscono di fare investimenti. Per un ente locale o
un’azienda sanitaria è oggi quasi impossibile costruire una scuola o un
ospedale chiedendo un mutuo: sforerebbe i parametri sia sul deficit che
sul debito. E qui arriva la finanza di progetto: il privato chiede il
mutuo e costruisce l’opera, il sindaco firma un contratto d’affitto
ventennale con annesso servizio di pulizia, manutenzione e chi più ne ha
più ne metta. Quando questo accade e accade sempre senza gara il costo
occulto viene scaricato sulla spesa corrente degli anni successivi con
risultati bizzarri in termini di rapporto costi/benefici.
Qualche
esempio aiuterà a capire di che buco nero stiamo parlando. Giorgio
Meletti ne ha raccolti alcuni gustosi sul Fatto economico dell’8 aprile:
l’ospedale di Nuoro doveva costare 45 milioni, ma l’affitto più
contratti per vari servizi non sanitari per la bellezza di 28 anni
porteranno ai privati circa 800 milioni; la centrale tecnologica del
Sant’Orsola di Bologna costava 30 milioni, ma il contratto con forniture
varie per 25 anni porterà a Manutencoop circa 400 milioni; la nuova
sede del Comune di Bologna era un appalto da 70 milioni che porta ai
costruttori un affitto da circa 9,5 milioni l’anno per 28 anni
(all’ingrosso 250 milioni in tutto); l’ospedale di Mestre è costato al
privato che l’ha costruito 140 milioni, ma la regione gliene sta ridando
indietro 400 più contratti di forniture per 1,2 miliardi in 24 anni.
Tradotto: con la “finanza di progetto” un’opera può essere pagata dieci o venti volte più di quel che costa.
In totale, secondo gli addetti ai lavori, una stima prudente
dell’indebitamento implicito, sotterraneo o nascosto spalmato sui
prossimi due decenni ammonta a 200 miliardi di euro.
Anche
i numeri totali confermano che si tratta di cifre molto rilevanti.
Secondo l’ultimo report annuale di Palazzo Chigi disponibile, nel 2013
in Italia sono stati chiusi contratti di partenariato pubblico/privato
per 19,5 miliardi (peraltro picco negativo causa spending review), in
tutto il resto d’Europa per soli 16,2 miliardi. Magari l’idea di non fare le gare pubbliche non è proprio una furbata. O sì?
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