Eccoci all’atto finale. Dopo avere liquidato lo statuto dei lavoratori e
avere definitivamente compromesso la rappresentanza parlamentare a
favore delle leadership dei partiti, il Partito della Nazione
(a maggioranza PD, ma con una solida quota di minoranza berlusconiana)
si accinge a minare le fondamenta della scuola pubblica e a farle
saltare.
Dopo che per anni si è lasciata languire la scuola pubblica, con
tagli su tagli ai finanziamenti e costanti elargizioni alle scuole
paritarie private, in nome di una perversa concezione della
sussidiarietà, oggi si fa un balzo in avanti. Si snatura la scuola
pubblica com’è stata concepita in questo paese e si pretende di
traghettarla verso un modello “anglosassone”. I presidi avranno il
potere di assumere direttamente i docenti, di premiarli o declassarli, a
seconda del rendimento e del gradimento; potranno reperire fondi dai
privati, siano essi imprese con determinati interessi nell’orientamento
del piano di studi, oppure singoli, famiglie abbienti disposte a
lasciare una quota parte delle loro tasse all’istituto scolastico,
perché ne condividono le linee guida. E’ il disvelamento di ciò che si è
sempre voluto significare con il concetto di “autonomia”, vale a dire
“privatizzazione”.
Al netto di tutte le parole spese intorno a questa controriforma, bisogna ribadire che il suo impianto è essenzialmente ideologico.
Il problema è che la scuola pubblica è l’ultimo luogo della società
italiana ancora imperniato su un principio di eguaglianza. Un principio
che, nonostante sia controbilanciato dall’attrito di classe mano a mano
che si sale di grado, consente ancora che nella scuola pubblica alunni e
studenti siedano gli uni accanto agli altri al di là del reddito delle
famiglie, dell’orientamento ideologico o religioso delle famiglie, della
provenienza geografica delle famiglie, del livello di integrazione
sociale raggiunto dalle famiglie. E infatti è proprio sulla centralità e
predominanza della famiglia che si fa leva per argomentare a favore di
un modello “anglosassone”. A ciascuno la sua scuola su misura, dove la
famiglia potrà rispecchiarsi e vedere soddisfatte le proprie pretese
identitarie. E’ l’abbandono dell’idea illuminista che la scuola debba
fornire a tutti gli stessi strumenti di base per affrontare il mondo e
favorire poi lo sviluppo dei talenti personali; che la scuola debba
essere un luogo in cui si sperimenta la convivenza tra diversi
nell’eguaglianza di trattamento; che l’istruzione debba essere un
diritto universale e strumento di promozione sociale.
Al suo posto passa l’idea pre-moderna che l’istruzione non serve a tutti; che basta istruirne pochi, i migliori, futuri membri di un’élite, di un’oligarchia, mentre tutti gli altri saranno forza lavoro precaria (e debitamente desindacalizzata).
Dopo il Jobs Act e l’Italicum, è il terzo passo dentro la barbarie che questo governo sta facendo compiere al paese. E però è quello che gli ha dato più problemi e che lo ha visto bloccato in un pantano degno di Stalingrado, dal quale ora prova a uscire con un blitzkrieg, ovvero un atto d’imperio: il ricatto sull’assunzione dei precari e poi il voto di fiducia.
Non c’è ricatto che tenga. Votare la fiducia a questo governo sul
decreto sulla scuola è un atto di irresponsabilità politica che renderà
tutti i parlamentari che lo compiranno complici di una nefandezza.
L’unico gesto saggio e coerente sarebbe fare cadere questo governo
proprio quando se ne presenta l’occasione, prima che compia altri
misfatti.
Non abbiamo molte speranze che andrà così e gli appelli alla
“coscienza” dei parlamentari risulterebbero soltanto patetici. Tuttavia
questo è uno di quei momenti in cui sarebbe davvero importante fare
casino per strada, nelle piazze, davanti alle prefetture, dovunque e
compiere i gesti più creativi che vengano in mente. Qualcuno infatti lo
sta facendo. Il mondo della scuola lotta da mesi.
Il grande assente invece è il cosiddetto “mondo della cultura”,
che magari dovrebbe essere vagamente interessato alle sorti
dell’istruzione pubblica in questo paese di analfabeti di ritorno.
Invece il silenzio totale che viene da quel versante è a dir poco
osceno. Per carità, mai avute molte speranze nemmeno sui sussulti di
coscienza di scrittori, attori, registi, o baroni universitari, molto
spesso legati alle prebende dell’establishment. Però chissà mai che
qualcuno dei big della cultura – non i soliti poco noti Wu Ming, Raimo, De Michele,
ecc. – non scopra d’avere una dignità in fondo a qualche tasca. O
almeno abbia il coraggio di dire che è d’accordo con Renzi. Il silenzio è
codardo o paraculo.
Ma grossi sussulti non sembrano giungere nemmeno dalla cosiddetta
area “di movimento”, sempre più definibile come insieme di subculture
antagoniste, che troppo spesso faticano a vedere la scuola come uno
snodo strategico (mentre Renzi ce l’ha chiarissimo).
Per quanto riguarda il mondo accademico, in questi giorni nella
nostra città si è messo la toga e il tocco e ha utilizzato le piazze
urbane per dibattiti da salotto e ridicole kermesse che già alludono al modello anglosassone.
Special guests: Umberto Eco e Massimo Cacciari. Figuriamoci cosa può
fregare a questi di prendere la parola contro la riforma scolastica
renziana. Probabilmente sono più che d’accordo… God save the Queen and the United States of America.
Per tutti quelli ai quali invece frega ancora qualcosa: tengano conto
che in questi giorni cruciali la mobilitazione toccherà il suo apice.
Ecco un po’ di link dove si possono trovare materiali e appuntamenti
utili.
Il match non è finito finché non è finito. Seguimos en combate.
Il match non è finito finché non è finito. Seguimos en combate.
Scuola e costituzione Bologna
Docenti per la scuola pubblica
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