Il governo greco rifiuta le imposizioni
della Troika. E rimette la decisione finale al popolo, chiamato a
decidere con un referendum già domenica prossima, 5 luglio.
Dopo mezzanotte, al termine dell'ennesima giornata di
negoziato tra un gruppo di sordi deciso a schiacciare la resistenza di
un governo non allineato alla mediocrità democristiana di tutta l'Unione
Europea, Alexis Tsipras ha fatto l'annuncio che apre davvero le porte a
qualsiasi soluzione. Ma riafferma nella pratica il principio
fondamentale che soltanto a parole la masnada di servi del capitale
multinazionale omaggia ogni giorno: in democrazia è il popolo che decide.
Il ministro delle finanze Yanis Varoufakis, in piena notte, ha
sfoderato tutta l'ironia di cui si può esser capaci in questa situazione e
davanti a certi personaggi: "Buffo quanto suoni radicale il concetto
che sia il popolo a decidere".
Tsipras è apparso alla televisione Ert (quella
pubblica, appena riaperta “disobbedendo” a un altro specifico diktat
della Troika, che ne aveva “consigliato” la chiusura al governo
precedente, guidato dal conservatore Samaras), per dire che si voterà la
prossima domenica in merito all'utlimatum posto dall'Eurogruppo. Un
insieme di indicazioni del tutto in linea con il vecchio “memorandum”,
definito dal giovane premier un ultimatum alla Grecia contro i valori
europei, cui «siamo obbligati a rispondere sentendo la volontà del
popolo sovrano».. Una decisione che accompagna un giudizio assolutamente
negativo sui cosiddetti partner continentali: "Ci hanno chiesto di
accettare pesi insopportabili che avrebbero aggravato la situazione del
mercato del lavoro e aumentato le tasse". Nelle parole di Tsipras,
"l'obiettivo di alcuni dei partner eruopei è l'umiliazione dell'intero
popolo greco. In realtà è la solita ricetta di austerità fatta di
aumento delle imposte dirette e indirette, tagli alle spese con effetti
ovviamente recessivi come è avvenuto negli ultimi cinque anni". L'esatto
opposto del programma elettorale di Syriza, peraltro già "purgato"
degli elementi più "rivoluzionari" agli occhi dei partner europei..
Il bello è che "il negoziato" ufficialmente continua. Oggi alle 14 si
terrà un'altra riunione dell'Eurogruppo. Anche se la riunione di ieri
sera si era conclusa senza che le parti si fossero avvicinate di un
passo.
Sembra più che evidente che i rappresentatnti della Troika non
abbiano mai, nemmeno per ipotesi, preso in considerazione altra
soluzione diversa dai propri diktat. Ciò è stato particolarmente chiaro
quando Tsipras, pur avendo accettato - in modo decisamente suicida -
l'entità del saldo attivo da riservare alla riduzione del debito (8
miliardi), si è visto respingere in blocco le singole soluzioni che
puntavano a far pagare un costo anche alle classi medio ate e alle
imprese che possono vantare profitti superiori al mezzo milione l'anno.
Un trattamento mai riservato a nessun governo alle prese con lo stesso
problema.
Ancor meno saranno piaciute, agli avvoltoi dellla Troika, il fatto
che proprio ieri mattina sono entrate in vigore alcune delle "misure
umanitarie" volute dal governo greco per alleviare le condizioni di vita
della parte più debole della popolazione. Il ministero del Lavoro ha
pubblicato l'elenco dei beneficiari: a 89.300 appartamenti che ospitano
212.216 persone indigenti sarà riattaccata gratuitamente l'energia
elettrica fino a 300kw in un anno. 66.422 famiglie riceveranno sussidi
per la casa, mmentre 90mila riceveranno un supporto finanziario compreso
tra i 70 e i 220 euro al mese per riuscire a pagare l'affitto (a seconda
del reddito). Infine, circa 349mila persone si vedranno
consegnare buoni pasto emessi dalla National Bank per 200 euro,
utilizzabili nei supermercati.
Angela Merkel è alla fine "scesa in campo", dopo aver per settimane
lasciato che fosse Schaeuble (e Weidmann, dentro la Bce) a tirare la
corda che doveva strozzare la Grecia. Era convinta che fosse giunto il
momento di poter chiudere e intestarsi il "successo" contro quel governo
riottoso, spurio, riformista sul serio e anche parecchio ingenuo. E'
intervenuta spiegando che non esistono "piani B" (per quanto assurdo
sia), che i ministri finanziari avrebbero potuto prolungare la
discussione anche tutto oggi e domani; ma che si sarebbe dovuto comunque
arrivare a una decisione entro la riapertura dei mercati, lunedì
mattina.
Anche
lei ha sbattuto contro il muro bizantino di un gruppo di governanti che
è costretto a comportarsi come una "delegazione", che dunque deve
rispettare un mandato e verificare se qualcosa si può fare oppure no.
Insomma un governo agli antipodi dal renziano "ascoltiamo tutti, ma
decidiamo noi". Il passaggio del referendum si spiega anche così, oltre
che - come è ovvio - come condivisione di ogni dura conseguenza che
deriverà dalla decisione finale: accettare i diktat significa aggravare
la recessione e non vedere mai luce, rompere e fare default comporta
invece una forte caduta nell'immmediato e una possibilità - non una
certezza - di ripresa nel medio periodo. Naturalmente cambiando anche
diversi partner commerciali e/o finanziari.
L'ultimatum della Troika - stando alle indiscrezioni - prevede il
prolungamento dell'attuale programma di "aiuti" per cinque mesi, per un
totale di 12 miliardi di euro di cui 1,8 miliardi subito - subordinato
ovviamente al via libera del parlamento ellenico - in cambio di una
lunghissima serie di impegni assolutamente intollerabili per un'economia
disastrata dai precedenti interventi di taglio della spesa.
Il tutto, solo per fare in tempo a restituire 1,6 miliardi al Fondo
Monetario Internazionale (entro martedì). Non c'è bisogno di essere
grandi economisti per capire che dal lato dei "creditori" si tratta solo
di una partita di giro (ti dò 1,8 miliardi così tu me restituisci 1,6),
mentre dal lato greco si tratta di interventi reali, a perdere.
Oltretutto non c'è neanche una garanzia che l'esborso avvenga
davvero, perché prima devono pronunciarsi quattro parlamenti nazionali
(Germania, Estonia, Olanda e Finlandia), che evidentemente hanno qualche
diritto in più di Francia, Italia, ecc.
I punti dolenti sono sempre gli stessi: la Troika vuole tagli alle
pensioni, aumento immediato dell'età pensionabile a 67 anni per tutti,
aumento dell'Iva (e quindi dei prezzi) anche sui generi di prima
necessità (come i farmaci, attualmente con Iva al 6,5%), abolizione
delle residue tutele contrattuali dei lavoratori (già pesantemente
smantellate da Samaras e Papandreou), privatizzazioni di tutto quel poco
che è rimasto in mano allo Stato.
A parte gli "aiuti finanziari" necessari a ripagare qualche rata di
debito, però, "i creditori" non offrono nulla. E non vogliono neppure
sentir parlare di "ristrutturazione" del debito - una sostanziale
riduzione - pur sapendo che Atene, con qualsiasi governo, foss'anche
fatto premier Schaeuble, non potrebbe mai ripagare quel mostruoso 180%
rispeto al Pil prodotto dai precedenti diktat (si era partiti dal 125%).
Persino
il segretario al Tesoro Usa, Jacob Lew, ha consigliato ai creditori di
mostrarsi flessibili e prendere in considerazione una ristrutturazione
del debito di Atene. Al di qua dell'Atlantico però sono restii sia i
crediotri veri (come la Germania), sia i governi di destra dei paesi
Piigs che hanno già massacrato i propri popoli e ora non vogliono "sconti
alla Grecia" per paura di perdere le prossime elezioni (Spagna,
Portogallo, Irlanda).
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