A
reti unificate i “commentatori della nazione” accorrono al capezzale
del renzismo per tentare di dimostrare l’impossibile, ossia che la
sostanziale sconfitta alle comunali non è una bocciatura del premier o
della sua politica e nemmeno un rifiuto del sistema politico generale,
nonostante l’assenteismo ormai dilagante. Ma media e gente che ormai da
un decennio si fanno megafono della mitica ripresa e di qualsiasi palese
assurdità sia necessaria per smerciare questa merce ideologica
taroccata, non si fermano certo davanti a bagatelle come l’evidenza. Le
banderuole ben pagate subito si allineano dalla parte da cui soffiano i
twitter del potere e ripetono in maniera più articolata gli squittii del
premier: a uscire sconfitto non sarebbe il Pd del guappo, bensì una non
ben identificata e mitica “sinistra”.
La base per spacciare questa ennesima e grossolana cartapesta del
potere è proprio la città simbolo del reflusso renziano, ossia Venezia.
Casson si dice ora non era il candidato di Renzi, era troppo a sinistra e
via andare con balle di questo genere. Balle perché è evidente che la
sconfitta in laguna ha motivi diversi e contrari: l’incapacità del Pd
di creare una cesura col passato, una netta dissociazione col governo
ombra del Mose e l’equilibrismo di Casson stesso che non ha saputo e
voluto rappresentare fino in fondo una possibile svolta, rappresentando
un’idea di città e di economia, facendo subito un patto con il suo
rivale alle primarie Pellicani, non dando l’impressione di voler davvero
tagliare con le pratiche di governo politicanti e mostrandosi
possibilista persino con i canali cementizi nei quali si vuole soffocare
la laguna. Altro che politica del no come pretenderebbe Orsoni, il
commesso non viaggiatore del Mose. La prova del nove è che ad Arezzo,
città della Boschi, Matera e Nuoro, i candidati renziani che più non si
può sono stati egualmente battuti. Così come del resto è accaduto in
tutti i ballottaggi della Toscana.
Ma di certo la coerenza di ragionamento non si addice alle banderuole
che devono seguire il vento e non possono dire che i risultati
elettorali di queste amministrative derivano sostanzialmente da due
fattori uguali e contrari: da una parte il progressivo disgusto
dell’elettorato tradizionale del Pd nei confronti di una politica di
selvaggia regressione sociale attuata dal partito della nazione oltre
che dal suo essere impastoiato nella corruzione, dall’altro dalla
sostanziale e sempre più chiara convergenza ideologica con la destra che
porta più della metà degli elettori a disertare le urne e getta in
confusione chi vi reca.
Non potendo apertamente sostenere che la linea del premier ne esce
vincitrice si rispolvera sotto altro nome il nemico inesistente che fu
di Berlusconi, solo che allora si trattava di “comunisti” e adesso si
parla più vagamente di “sinistra”, il ballon d’essai che
dovrebbe dimostrare come il progetto renziano di convergenza a destra
trasformando il Pd in partito della nazione, sia comunque vincente.
Tesi priva di senso e di consistenza che tuttavia è sostenuta con
implacabile faccia tosta: ne va della tenuta di un variegato clan di
potere che su Renzi, in quanto faccia spendibile del berlusconismo, per
giunta mimetizzato da centrosinistra, ha puntato molto per non dire
tutto dopo il fallimento dei commissari Monti e Letta.
Ma anche fuori dai confini se si cominciasse a sentire odore di
bruciato, potrebbe venire la pressante sollecitazione a cambiare ancora
una volta cavallo per evitare che in prospettiva si finisca in una
situazione greca aggravata dal peso dell’Italia rispetto ad
Atene. Perciò la classe dirigente nazionale tenta di salvare ad ogni
costo Renzi dall’evidenza della sua prima sconfitta : dove lo vanno a
trovare un uomo di paglia così, formidabile politicante e nullità
politica buona per ogni avventura, diktat, emergenza, grassazione, bullo
da strapazzo quando viene spalleggiato dai suoi amici lontani e vicini,
ma codardo senza pari e complice d’elezione quando dovrebbe dire no?
Nonostante tutta la buona volontà di Silvio Berlusconi e Denis Verdini
nel conservare al guappo di Rignano una solida magggioranza
parlamentare, la paura di molti di perdere la cadrega potrebbe fare da
detonatore di una crisi per non parlare dei fermenti della piazza nei
confronti del Marchionne teller e della vicenda immigrazione che è come
una bomba atomica pronta a detonare mostrando per giunta l’inesistenza
totale dell’Europa.
Si, potrebbe convenire la quarta operazione gattopardesca in pochi
anni e non ci vorrebbe poi molto: un’alzatina allo spread con
conseguente situazione drammatica che non consente le elezioni e giù con
qualche nuovo simil tecnico, magari un passeriforme di passaggio a
mostrare le luci in fondo al tunnel. In fondo l’operazione Renzi si
basava proprio sulle attese fideistiche o ipocrite in una ripresa che
non c’è stata, da nessuna parte: il reuccio è spoglio delle illusioni e
comincia a fare freddo.
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