Decine
gli articoli e i servizi televisivi che tra ieri e oggi hanno montato il caso
del povero Carabiniere offeso dal manifestante. Il Corriere della Sera ha
addirittura rispolverato Pasolini per contrapporre il figlio di papà al
proletario in divisa. Peccato che il manifestante sia un operaio e non il
figlio di un magnate della finanza. Ma cosa ha detto di preciso il giovane
manifestante al suo coetaneo dell'Arma.
«Ehi tu che pecorella sei? Hai un numero, un nome un cognome, sai che sei un illegale?».
«Ehi tu che pecorella sei? Hai un numero, un nome un cognome, sai che sei un illegale?».
«Dovresti avere un numero di riconoscimento, io così non so chi sei
e tu sai chi sono io. È vero pecorelle?». «Sei forte, ma sai anche sparare?
Vorrei vederti sparare, mi piacerebbe. Comunque sei una bella pecorella. Sei
carino, dai anche i bacini alla tua ragazza con quella mascherina? così non gli
attacchi le malattie. Bravo bravo».
«Comunque, per quello che guadagni, non
vale la pena stare qui. Vi siete divertiti? Quindi fra sei ore ci vediamo
qua...il cantiere dovrebbe durare vent'anni e ci vai in pensione vestito così
come uno stronzo. Noi ci divertiamo un sacco a guardare questi stronzi». «Tu
non ti puoi camuffare lo sai, dovresti farti riconoscere...Parla invece di fare
i gesti che sei sordomuto?»
"Hic sunt leones" di Sergio Cararo
L'Italia è decisamente un paese alla rovescia. In Val di Susa i fatti vengono trasformati nel loro contrario.
Un
manifestante disarmato, a volto scoperto, declina il proprio nome e
cognome ed affronta a parole un uomo armato di casco, scudo, manganello,
pistola, travisato dall'equipaggiamento. Il primo parla, magari sfotte
dandogli della “pecorella”, ma chiede all'altro se valga la pena di fare
quello che è chiamato a fare. Il secondo tace. Lo fa per ottemperare
agli ordini ma forse – e nessuno se l'è chiesto – è combattuto tra il
replicare o l'interrogarsi se quanto gli dice l'altro abbia un fondo di
verità.
C'è anche
un altro video in circolazione, forse lo vedremo nella trasmissione di
Santoro. Un giovane manifestante No Tav parla ai poliziotti nei minuti
successivi alla caduta di Luca Abbà dal traliccio sul quale si era
arrampicato ed era stato inseguito da un agente di polizia. Il suo tono è
caratterizzato dalla disperazione e dalla incredulità su quanto è
accaduto poco prima. Cerca di interloquire con i poliziotti, di creare
un minimo di empatia, di farli sentire parte del problema e delle
contraddizioni che vive il paese. Anche in questo caso la risposta è il
silenzio. Lo stesso silenzio che sta nelle regole di ingaggio dei
contingenti militari che vengono spediti in giro per il mondo ad
occupare territori con residenti ritenuti “potenzialmente ostili”. "Hic
sunt leones" dicevano gli antichi romani per indicare le province più
remote dell'impero.
Due casi
di incontri ravvicinati tra chi si oppone alla Tav, un'opera
costosissima, inutile, devastante, che tutti i poteri forti (mafia,
ndrangheta e camorra inclusi) vogliono imporre con tutti i mezzi ad una
popolazione che ne ha documentato ampiamente tutti gli aspetti negativi,
e chi – uomini in divisa – è stato chiamato a imporre con la forza
della “legalità” e delle armi una abnorme forzatura della giustizia.
Ma sul
primo incontro il sistema dei media mainstream ha cominciato a giocare
sporco. Il confronto faccia a faccia tra l'operaio No Tav e il liceale
il divisa (dato di fatto che manda letteralmente a ramengo qualsiasi
richiamo al commento di Pasolini sugli scontri di Valle Giulia) viene
utilizzato per nascondere l'altra immagine, quella di Luca Abbà che
stramazza al suolo e quella del manifestante No Tav che cerca di
convincere i poliziotti a non sentirsi “l'altra parte della barricata”.
I
giornalisti e le redazioni si prestano all'operazione
politico-mediatico-militare dei poteri forti in Val di Susa. In alcuni
casi si beccano gli insulti (perfettamente condivisibili quelli di
Alberto Perino ai colleghi della Zanzara su Radio 24), in altri casi
qualche spintone. Qui e là vengono prese di mira le redazioni dei
giornali con i titoli e gli editoriali più indigeribili anche per il
buonsenso. Deprecabile? In parte. Inevitabile? In parte. La
documentazione della realtà e la certificazione della verità sono la
“mission” di chi vuole fare questo mestiere con dignità. La sua
manipolazione e i commenti conseguenti sono tutt'altra cosa.
Alcuni
giornalisti stanno contribuendo insieme a banchieri, ministri,
costruttori, cosche mafiose, a costruire in Italia un paese alla
rovescia. Un paese in cui sta diventando ormai più facile diventare
“eroi” che bere a una fontanella. Basta stare dalla parte dei forti con i
deboli. Una retorica che nasconde tanta robaccia.
Infine, ma
non per importanza. C'è il maggior partito di governo e di opposizione a
se stesso – il Pd – che sta ancora una volta cercando di superare in
zelanteria filo Tav e filo-governo, la “fascisteria” ripulita che ha
governato questo paese con Berlusconi. A Genova nella cabina di regia
della macelleria messicana c'erano gli ex fascisti di An e gli uomini
neri della Nato. Nella cabina di regia della repressione dei No Tav
rischiamo di trovarci quelli che intendono rappresentare l'opzione
progressista nel futuro del paese. Un paese alla rovescia, appunto.
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