Una battaglia rivoluzionaria, non perché usi la violenza, ma perché, le
ragioni dei No-Tav, se fossero accolte, implicherebbero una
‘rivoluzione’ nel sistema partitico-imprenditoriale-tangentizio
italiano. Tutto ciò è esaurientemente spiegato ne Il libro nero dell'alta velocità
di Ivan Cicconi. Il libro, documentato oltre possibile dubbio, spiega
non solo le vicende, ma le ragioni strutturali di un affare, l'Alta
Velocità, che è, dopo tangentopoli, il nuovo banco di finanziamento dei
partiti, della casta e, Fiat in testa, dei capitalisti nostrani. E' un
sistema che sfugge a ogni controllo tecnico, contabile e di legittimità e
si autoalimenta sestuplicando (come di fatto è accaduto) il costo delle
opere.
La chiave dell'architettura è il Project financing combinato alla Legge
Obiettivo. Lo stato avrebbe dovuto finanziare attraverso Tav (dal 2010
sciolta in Rete ferroviaria italiana) un quaranta per cento del costo
dell'opera, il sessanta i privati; i quali, però, di tasca propria hanno
messo gli spiccioli, il resto se lo sono fatto prestare dalle banche,
meglio se da loro partecipate. Ma non basta, perché per legge
(obiettivo) il General Contractor dell'opera, soggetto privato scelto da
Tav, affida direttamente progettazione e realizzazione delle opere a
imprese collegate e rappresentative di tutto il capitalismo immobiliare e
cementizio italiano: da Caltagirone a Lodigiani, da Todini a Ligresti
passando per la Lega delle cooperative, oltre, capofila, Impregilo della
Fiat; il tutto senza gare d'appalto e via 'per li rami', cioè per
sub-appalti e sub-sub-appalti, fino ad arrivare alle imprese della mafia
e della camorra.
Con una fondamentale clausola: che i privati sono concessionari
dell'opera per la 'realizzazione', ma non per la 'gestione'. Ciò
significa che più alti sono i costi di costruzione, più si guadagna,
mentre che l’opera fuzioni e faccia profitti non interessa. Come si è
puntualmente verificato, con i nostri 60 milioni di euro a km contro i
10 di Spagna e Francia: una differenza che include ben altro che le
gallerie e i viadotti. Un ultimo pregio: in quanto opera formalmente
privata i debiti non vengono contabilizzati nel bilancio dello stato, ma
di fatto le Ferrovie italiane e quindi lo stato ne garantiscono la
solvibilità. La grande truffa è quindi un capolavoro
politico-imprenditoriale per cui comandano i privati, pagano i
contribuenti e guadagnano, oltre che gli imprenditori, i partiti, la
casta, includendovi l'enorme numero di società di consulenza, advisors,
esperti, progetti, consigli di amministrazione di società operative
controllate, garanti, comitati, distribuiti in tutte le direzioni
politiche.
Il risvolto tragico della vicenda è che l'alta velocità in Italia non
serve, almeno non nel modello francese, ma piuttosto in quello tedesco o
austriaco: velocità più ridotte, stazioni più frequenti, adeguamento
del materiale rotabile esistente; con un unico difetto però: di costare
troppo poco rispetto a faraoniche progettazioni di linee ferroviarie
dedicate, sottoattraversamenti urbani – i cosiddetti ‘nodi’ - massicci
acquisti di nuovo materiale rotabile. E, peggio ancora, la nostra alta
velocità viene realizzata per tratte su cui è illusorio il pareggio di
bilancio (ma la gestione, si è visto, non spetta ai privati): pagherà lo
stato. Come a Val di Susa, dove, si sa, l'adeguamento del sistema
ferroviario attuale sarebbe già ampiamente sovrabbondante rispetto alla
domanda.
Insomma si distrugge il territorio, si inquina l'ambiente, si
prosciugano fiumi e sorgenti, si trivellano le montagne e mettono a nudo
rocce amiantifere, si mettono a rischio città e cittadini, tutto perché
il sistema macini ancora guadagni sicuri per una cupola
politico-affaristica e altrettanto sicuri debiti per le incolpevoli
'generazioni future'.
Qui si dovrebbe vedere alla prova un governo serio non solo
nell'immagine; che puntasse a uno sviluppo ben diverso da quello
millantato delle grandi opere, aumentando l'occupazione e tagliando i
costi; ma, anche se Monti avesse il coraggio di andare contro gli
interessi del suo establishment, una mossa decisa verso la
normalizzazione del sistema significherebbe, presumibilmente, il ritiro
dell'appoggio al governo da parte di Pdl e Pd. Tutto ciò per ricordare,
ancora una volta, che la battaglia dei no-Tav per la Val di Susa prima
ancora che per la difesa sacrosanta del proprio ambiente di vita, è una
battaglia ‘rivoluzionaria’ per una diversa democrazia. Ridurla a una
cronaca di incidenti, come fanno non solo le testate televisive, ma
anche gran parte della stampa, significa non avere compreso la vera
posta del gioco; o farne parte.
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