Dopo il discorso di Matteo Renzi al
Parlamento europeo, in occasione dell’inizio del semestre italiano di
presidenza dell’Unione, si è capito meglio perché è saltata la consueta
conferenza stampa.
I giornalisti – quelli che fanno il
proprio dovere almeno – pongono domande. E sarebbe stato complicato per
il premier rispondere. Il discorso di Renzi è apparso molto “alto” sì,
ma nel senso di evanescente come le nuvole, rarefatto come l’aria ad
alta quota, quella così povera di ossigeno che prima inebria e poi
conduce ad un dolce sonno. L’unica cosa che si può dire con certezza,
dopo l’intervento inaugurale del premier, è che l’Italia non chiederà di
rivedere alcuna regola e rispetterà il rigore impostole. Ma ci metterà
l’ “anima” e chiederà che anche l’Europa ce la metta. Chissà che vorrà
dire.
L’Europa attuale non è un sogno, men che
meno ha un’ “anima”. E’ un insieme di regole – quelle che Renzi non
vuole cambiare – basate su una teoria economica che si è dimostrata
palesemente incapace non solo di prevedere, ma anche di guarire la crisi
iniziata nel 2008. E, ad applicarle, vi è una serie a dir poco
bizantina di istituzioni, tra le quali l’unica che sia espressione dei
popoli europei è, non a caso, quella che pesa di meno. Il tutto – regole
ed istituzioni – è orientato a garantire i paesi creditori e bastonare
quelli debitori.
Solo un punto ci ha colpiti, davvero:
“Se l’Europa facesse un selfie – ha detto Renzi – mostrerebbe il volto
della noia”. No, il volto di paesi come la Grecia, il Portogallo, la
Spagna e la stessa Italia non è annoiato, è disperato. Non stiamo
camminando lentamente. Non siamo il Giappone degli ultimi 20 anni.
Stiamo tornando indietro. La “generazione Erasmus” (ora ribattezzata
“generazione Telemaco”) di cui Renzi si sente parte è la più colpita,
con tassi di disoccupazione oltre ogni soglia di tollerabilità. Stiamo
distruggendo capitale fisico ed umano, ponendo le basi perché la
crescita non ritorni in tempo utile affinché questa generazione possa
goderne.
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