venerdì 11 luglio 2014

Tramonto del Csm di Livio Pepino, Il Manifesto

 
Giu­dici e pub­blici mini­steri hanno votato per il rin­novo del Con­si­glio supe­riore della magi­stra­tura. La cosa è avve­nuta nel pres­so­ché totale disin­te­resse dei media e della poli­tica; scarsa atten­zione sta riscuo­tendo anche l’esito del voto. Non a caso. Il pen­siero unico che per­vade da qual­che tempo tutte le com­po­nenti giu­di­zia­rie rende assai poco signi­fi­ca­tivo l’esito delle ele­zioni, i cui soli dati certi (con­fer­mati dai primi risul­tati, in par­ti­co­lare nella cate­go­ria dei pm) sono il trionfo del cor­po­ra­ti­vi­smo e il dra­stico ridi­men­sio­na­mento di Md.
Se non la vera e pro­pria scom­parsa di Magi­stra­tura demo­cra­tica (fatto, peral­tro, acqui­sito già prima del voto ché in alcune cate­go­rie, come i giu­dici di legit­ti­mità e i pub­blici mini­steri, non c’erano nep­pure can­di­dati ad essa rife­ri­bili, coe­ren­te­mente con il cupio dis­solvi che ne carat­te­rizza il gruppo diri­gente). Non è un buon segnale ché, di que­sti tempi, se la poli­tica ha perso ogni auto­re­vo­lezza e cre­di­bi­lità, anche la giu­ri­sdi­zione non gode di buona salute. Certo, c’è una parte della magi­stra­tura che con­ti­nua, sep­pur iso­lata, a man­te­nere schiena dritta e barra ferma in set­tori impor­tanti, dal per­se­gui­mento della cor­ru­zione e della cri­mi­na­lità orga­niz­zata alla tutela di diritti fon­da­men­tali (talora per­sino in tema di lavoro o di libertà per­so­nale).
Ma, da qual­che tempo, gli scric­chio­lii sono nume­rosi e gravi: la cre­scita del car­cere (con­te­nuta solo da inter­venti legi­sla­tivi tam­pone) evi­den­zia come la cul­tura delle garan­zie sia esi­bita a parole ma assai spesso disat­tesa, almeno nei con­fronti degli ultimi; il sur­plus di repres­sione nei con­fronti di ogni forma di oppo­si­zione sociale dà la misura dell’assunzione, da parte della magi­stra­tura, di una fun­zione di tutela acri­tica dello sta­tus quo, attenta al Testo unico di pub­blica sicu­rezza più che alle norme costi­tu­zio­nali; lo scon­tro in atto alla pro­cura di Milano (l’ufficio, da almeno vent’anni, più impor­tante del paese) non è solo un con­flitto carat­te­riale tra prime donne o una poco com­men­de­vole imbo­scata ma è, anche, il por­tato della ristrut­tu­ra­zione gerar­chica del pub­blico mini­stero rea­liz­zata con la «riforma Mastella» e di un evi­dente defi­cit di tra­spa­renza e pub­bli­cità; il fasti­dio, anche interno alla cor­po­ra­zione, per inda­gini e pro­cessi aventi ad oggetto il con­trollo delle (pos­si­bili) ille­ga­lità del potere si tocca con mano; l’insofferenza a ogni cri­tica — con­si­de­rata «dele­git­ti­ma­zione» tout court — segnala una pre­oc­cu­pante auto­re­fe­ren­zia­lità; l’incapacità del Con­si­glio supe­riore di inter­ve­nire in modo auto­re­vole ed espli­cito nelle situa­zioni di sof­fe­renza degli uffici va di pari passo con l’accettazione acri­tica della pro­pria ridu­zione a con­si­glio di ammi­ni­stra­zione ete­ro­di­retto finan­che con mis­sive del capo dello Stato desti­nate ad essere cono­sciute solo dal vice­pre­si­dente (sic!); il pas­sag­gio di magi­strati a fun­zioni di potere e di diretta atti­vità poli­tica (talora senza nep­pure abban­do­nare, almeno di fatto, i pro­pri ruoli asso­cia­tivi) diventa corsa, a dimo­stra­zione, insieme, di una pro­gres­siva e non disin­te­res­sata coop­ta­zione da parte della poli­tica e di una cre­scente disaf­fe­zione di pub­blici mini­steri e giu­dici rispetto al pro­prio ruolo isti­tu­zio­nale.
I segnali nega­tivi vanno indi­vi­duati per tempo, anche per dare spa­zio e forza alla parte migliore della magi­stra­tura. Que­sto ha fatto, nei suoi periodi migliori, il Con­si­glio supe­riore in attua­zione del suo ruolo costi­tu­zio­nale: pre­ci­sando e garan­tendo l’indipendenza e la libertà di tutti i sin­goli giu­dici e i pub­blici mini­steri e, con­tem­po­ra­nea­mente, inter­ve­nendo per rimuo­vere e san­zio­nare le aree di opa­cità e di col­lu­sione pre­senti in alcuni uffici. È stato anche gra­zie a que­sta atti­vità alta del Con­si­glio che la magi­stra­tura ita­liana ha acqui­sito con­sa­pe­vo­lezza del pro­prio ruolo e, negli ultimi decenni, ha sostan­zial­mente tenuto, dando un con­tri­buto impor­tante — nel rispetto del pro­prio ruolo — alla cre­scita demo­cra­tica del Paese. Ma la situa­zione non è, evi­den­te­mente, irre­ver­si­bile.
Da tempo è in corso nel paese — nella prassi e in sede di modi­fi­che isti­tu­zio­nali — un rias­setto del sistema di potere in ter­mini genui­na­mente anti­de­mo­cra­tici. Lo ha scritto recen­te­mente, in ter­mini espli­citi, Gustavo Zagre­bel­sky: «Se solo per un momento potes­simo sol­le­vare il velo e avere una veduta di insieme reste­remmo sba­lor­diti di fronte alla realtà nasco­sta die­tro la rap­pre­sen­ta­zione della democrazia.
Catene ver­ti­cali di potere, quasi sem­pre invi­si­bili e talora segrete, legano tra loro uomini della poli­tica, delle buro­cra­zie, della magi­stra­tura, delle pro­fes­sioni, delle gerar­chie eccle­sia­sti­che, dell’economia, della finanza, della uni­ver­sità, della cul­tura, dello spet­ta­colo, nell’innumerevole ple­tora di enti, con­si­gli, cen­tri, fon­da­zioni che, secondo i pro­pri prin­cìpi, dovreb­bero essere reci­pro­ca­mente indi­pen­denti e sono, invece, attratti negli stessi muli­nelli del potere cor­rut­tivi di ruoli, com­pe­tenze e respon­sa­bi­lità». Ciò riguarda tutti. Anche la magi­stra­tura. Ci sarebbe (c’è) biso­gno di un Con­si­glio supe­riore attento e vigile! Le pre­messe, pur­troppo, non sono esaltanti.

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