martedì 2 settembre 2014

Roberto Romano: Il grande silenzio sulla finanziaria da Il Manifesto


Ripresa impossibile. Una politica fatta solo di annunci, dallo "Sblocca Italia" al "Jobs Act". Ma Matteo Renzi per ora non ha detto dove prenderà i 22 miliardi necessari alla prossima manovra
Mille giorni così sono vera­mente tanti. Il “sol­dato Ryan” (Renzi) non sem­bra nem­meno il pre­si­dente del con­si­glio. Qual­cuno ha sen­tito chia­ri­menti circa la mano­vra da 22 miliardi per il 2015?
Il paese è caduto in reces­sione, in Europa si aggira lo spet­tro della defla­zione, con una disoc­cu­pa­zione reale (ita­liana) di oltre 6 milioni di per­sone. Le pro­spet­tive di cre­scita per il 2014 sono nega­tive e quelle per il 2015 potreb­bero diven­tare drammatiche.
 
Renzi vuole il lavoro ita­liano come quello tede­sco? Si potrebbe ini­ziare con orari e salari: rispet­ti­va­mente 1.396 al posto delle 1752 ore, e salari medi annui, a tassi di cam­bio e prezzi costanti del 2012, in dol­lari, da 36.763 a 45.287. Abbiamo il sospetto che il pre­mier non farà niente del genere.
Riforme strut­tu­rali? Aspet­tiamo la legge di sta­bi­lità e poi discu­tiamo. Per ora non rimane che lo «Sblocca Ita­lia», una riforma annun­ciata che dice molto su come il pre­si­dente del con­si­glio vuole aiu­tare il Paese.
Il così detto «Sblocca Ita­lia», in realtà, riguarda pre­va­len­te­mente l’accelerazione e la rea­liz­za­zione di opere già appro­vate, e ha la pre­tesa di avere effetti posi­tivi in ordine ai pro­blemi reali del Paese e la capa­cità di sti­mo­lare lo sviluppo.
Solo a luglio, il pre­si­dente del con­si­glio par­lava di 43 miliardi di euro, diven­tati 10 nella con­fe­renza stampa e 3,8 miliardi nel decreto legge. Il mini­stro delle Infra­strut­ture e Tra­sporti, Mau­ri­zio Lupi, pre­vede non meno di 100 mila nuovi posti di lavoro per le sole opere pubbliche.
Le risorse dispo­ni­bili, vere, sono 3,8 miliardi di euro, di cui 840 milioni arri­vano dal fondo revo­che di opere bloc­cate e 3 miliardi dal “ban­co­mat” del Fondo svi­luppo e coe­sione. Pra­ti­ca­mente 38.000 euro per lavo­ra­tore, anche se non con­ta­bi­lizza la varia­zione del red­dito (Pil). Fatto abba­stanza ano­malo visto che stiamo impe­gnando risorse in conto capitale.
L’idea poi di svi­luppo è tutto nel pac­chetto made in Italy fatto di sti­moli alle espor­ta­zioni e agli inve­sti­menti diretti esteri. Con poco meno di 220 milioni di euro nel trien­nio (2015–17), il Paese dovrebbe espan­dere la pro­pria quota di com­mer­cio inter­na­zio­nale di 50 miliardi e attrarre non meno di 20 miliardi di inve­sti­menti diretti esteri, con una cre­scita del pro­dotto interno lordo di un punto per­cen­tuale. Insomma: 220 milioni per­met­te­reb­bero una cre­scita di 15 miliardi. Gli eco­no­mi­sti key­ne­siani dovranno pas­sare molto tempo a riscri­vere il mol­ti­pli­ca­tore. Il nostro pre­mier impone una nuova for­mula del moltiplicatore?
Ovvia­mente non manca il rifi­nan­zia­mento della così detta cassa inte­gra­zione in deroga per 720 milioni, che porta il fondo a 1.720 milioni per il 2014. Invece di avviare una riforma seria, si con­ti­nua a rifi­nan­ziare lo stru­mento che dovrebbe, in realtà, aggan­ciarsi a una gene­rale rivi­si­ta­zione degli stru­menti a soste­gno del lavoro. È una mate­ria deli­cata, ma pas­sare da ri-finanziamento in ri-finanziamento una tan­tum non è pro­prio quello che chie­dono i lavo­ra­tori col­piti dalla crisi.
Ma qual­cosa dalla con­fe­renza stampa di ieri e dal decreto legge lo pos­siamo intrav­ve­dere: lo svi­luppo e la cre­scita dell’Italia passa attra­verso l’edilizia e le opere pub­bli­che. Il governo non ha pro­prio com­preso che gli inve­sti­menti in conto capi­tale hanno una logica eco­no­mica solo nella misura in cui modi­fi­cano il segno del Pil (come spiega effi­ca­ce­mente l’economista Sylos Labini) e, quindi, anti­ci­pano la domanda futura.
Asse­gnare all’edilizia, alle opere pub­bli­che la cre­scita del Paese nell’era dell’innovazione tec­no­lo­gica, appare come la peg­giore poli­tica che si possa imma­gi­nare. Ormai il com­mer­cio inter­na­zio­nale mani­fat­tu­riero legato all’alta tec­no­lo­gia vale il 30% del totale, men­tre le imprese ita­liane si posi­zio­nano al 10%. Come può il Paese aumen­tare la quota di com­mer­cio inter­na­zio­nale di 50 miliardi di euro? Come potrebbe atti­rare inve­sti­menti diretti esteri se la spesa in ricerca e svi­luppo pri­vata è la più bassa tra i paesi di area Ocse? Misteri del nostro presidente.
Indi­scu­ti­bil­mente l’edilizia attra­versa una fase di grave crisi, ma l’edilizia, più o meno ali­men­tata da incen­tivi, era spro­por­zio­nata rispetto alla neces­sità del Paese. Ripro­porre le stesse opere e anti­ci­parne delle altre, signi­fica ali­men­tare la ren­dita, non lo svi­luppo del Paese. Ripeto: la ren­dita, non il red­dito (Pil).
L’impressione è quella di un governo in piena con­fu­sione nella migliore e posi­tiva inter­pre­ta­zione. La poli­tica eco­no­mica del governo risie­deva in tutto o in parte nei famosi 80 euro. Il bonus fiscale ha fal­lito per un sem­plice e banale fatto: men­tre i miliardi sot­tratti alla pub­blica ammi­ni­stra­zione, per ali­men­tare il bonus fiscale, erano risorse certe e quindi Pil, gli 80 euro erano e sono risorse incerte; diven­tano red­dito (e cioè Pil) nella misura in cui i cit­ta­dini deci­dono di spen­derli. La caduta del pro­dotto interno lordo del secondo tri­me­stre altro non è che il taglio della spesa pubblica.
Il qua­dro però non è com­pleto. Con la legge di sta­bi­lità arri­verà il pac­chetto muni­ci­pa­liz­zate e spen­ding review. Sap­piamo che il governo ha ini­ziato un lavoro di modi­fica delle ali­quote Iva. Sarà un pac­chetto amaro, fon­dato su luo­ghi comuni e pesanti riper­cus­sioni sui lavoratori.
Il pre­si­dente di Con­fin­du­stria ha detto, durante il mee­ting di Comu­nione e Libe­ra­zione, che l’Italia ha vis­suto al di sopra dei pro­pri mezzi. A que­ste con­di­zioni è dif­fi­cile imma­gi­nare di uscire dalla depressione.
Spe­riamo di sba­gliare, ma il 2015 potrebbe diven­tare un altro anno orri­bile. Paolo Pini, di recente sul mani­fe­sto, si era già spinto in que­sta pre­vi­sione. Spe­riamo di avere torto, ma i segnali ci sono tutti, con l’aggravante di avere Renzi al governo.

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