Il Fondo Monetario Internazionale si toglie la maschera
materna (il suo direttore è in fondo una donna, Christine Lagarde) e
torna alla determinazione criminale che lo ha sempre caratterizzato.
Oggi, infatti, ha preso la decisioni interrompere la "trattativa" con la
Grecia, formalmente rompendo anche il "fronte dei creditori" (che
comprende l'Unione Europea e la Bce; insomma, la Troika).
«Le discussioni tecniche si sono fermate. Permangono delle distanze
su molti aspetti chiave e non c'è stato alcun progresso per chiuderle:
siamo ben lontani da un accordo». Non è un mistero che le "distanze"
riguardano il programma che la Troika ha da tempo preparato per tutti i
paesi europei, a cominciare dai più deboli: un mix di tagli alle
pensioni e al welfare, privatizzazioni di quel che è rimasto di
proprietà pubblica (molto poco, in Grecia come in Italia), distruzione
delle tutele dei lavoratori, aumento delle tasse indirette (a partire
dall'Iva, che pesa sui consumi di massa, quindi soprattutto sui più poveri), ecc.
Atene,
il governo a guida Syriza, resiste come può e sa, da cinque mesi a
questa parte, anche dando fondo a tutte le tecniche "bizantine" che
tanto disturbano i teutonici e gli anglosassoni. Ma senza cavare un
ragno dal buco; ossia senza riuscire ad ottenere né "la riforma
del'Unione Europea e dei trattati" né, più modestamente, qualche
eccezione limitata.
Ora a
Washington e Bruxelles hanno deciso che questo è il momento buono per
l'affondo finale, anche per non far allargare a macchia d'olio il numero
di paesi che vorrebbero derogare ai trattati e alle "ricette" (nei
prossimi mesi si terranno elezioni politiche in Spagna e Irlanda, dove
si prevedono esiti disastrosi per i partiti che hanno fin qui accettato
ogni diktat).
La decisione è modestamente sorprendente, visto che la direttrice del
Fondo, Christine Lagarde, ripeteva a ogni stormir di fronda che «il Fmi
non abbandona mai i tavoli e restiamo pienamente impegnati e pronti a
riprendere i negoziati». Ma ogni regola ha la sua eccezione, e dunque «in questo momento le discussioni tecniche si sono fermate e la nostra squadra è rientrata a Washington da Bruxelles».
Il portavoce del Fmi, Gerry Rice, ha spiegato in tono gelido che «Ci
risulta che le autorità greche stanno discutendo a livello politico e
che stanno preparando alcune nuove proposte. La palla è nel loro campo.
Siamo pronti a riprendere le trattative ma al momento non ci sono date
previste».
Le posizioni del governo Tsipras in difesa delle pensioni e contro
l'aumento delle tasse indirette vengono definite dal Fmi
«insostenibili»; anzi rappresenterebbero esplicitamente i «maggiori
ostacoli» ad un accordo con in creditori. Fino alla provocazione vera e
propria: «In Grecia pensioni e salari rappresentano il 18% della spesa
primaria. Non è possibile raggiungere gli obiettivi di bilancio di medio
termine senza una riforma delle pensioni. E tutti riconoscono che lo
schema pensionistico greco è insostenibile». Quasi come il suo debito,
non restituibile. Quel sistema «riceve trasferimenti annui pari al 10%
del Pil dallo Stato, a fronte di una media europea del 2,5%. La pensione
media greca è allo stesso livello che in Germania, ma si va in pensione
sei anni prima e il Pil pro capite è la metà di quello tedesco».
Che le pensioni elleniche siano a livelli tedeschi è assolutamente
falso (altrimenti avremmo vagonate di pensionati greci che vanno in
Germania per turismo, invece che il contrario). Rice, questo oscuro
addetto alla comnicazione per conto di un'istituzione criminale, ha inoltre saggiamente omesso di ricordare che anche i prezzi
greci sono a livello tedesco (o italiano, o francese); perché in un
mercato comune la prima cosa che si "allinea" sono proprio i prezzi.
Mentre salari, pensioni, produttività, ricchezza individuale o familiare
restano profondamente divergenti.
Ma la defezione del Fmi non è l'unica minaccia che ieri Tsipras ha
dovuto incassare. Anche Jean-Claude Juncker - il presidente della
Commissione - dopo due giorni in cui ha strombazzato al mondo che si
negava al telefono con i governanti di Atene, ha voluto scagliare la sua
pietra: «La mucca è stata per troppo tempo sul ghiaccio sottile, è ora
di tirarla fuori dal ghiaccio».
Ma sbaglia chi interpreta questa battuta come una propensione a
"salvare" il negoziato e mantenere Atene dentro l'euro.Da molti segnali
si evince che all'interno della Ue si stia pensando ormai al modo in cui
defestrare Tsipras (insieme all'odiatissimo Varoufakis, l'unico che
tecnicamente sa decriptare il linguaggio involuto dei finanzieri che
comandano a Bruxelles).
Lo dimostra, in parte anche l'insuccesso del minivertice a tre tra lo
stesso Tsipras, Merkel e Hollande, a margine della prima giornata del
vertice Ue-America Latina. Siccome da lì non era arrivata alcuna notizia
chiara, ci ha pensato l'ascaro Donald Tusk, ex premier polacco
promosso presidente del Consiglio europeo: «Non abbiamo bisogno di
negoziati, ma di decisioni Il governo greco deve essere un po’ più
realistico. Non c’è più tempo per giocare d'azzardo, il gioco è finito».
Non c'è peggior servo che l'ultimo dei servi...
L'accerchiamento è perseguito senza tralasciare alcun dettaglio. Il
presidente di Bundesbank, il superfalco Jens Weidmann (uno che vede
Mario Draghi quasi come un "pericoloso comunista"), ha spiegato urbi et
orbi che "a ogni ora che passa il default greco diventa più vicino". I
compassionevoli killer di Standard&Poor's hanno declassato
ulteriormente il debito ellenico - CCC da CCC+, con "outlook negativo"
(tradotto: potrebbe andare anche peggio) - lanciando alla speculazione
internazionale il segnale "scatenate l'inferno".
Se la palla è in campo greco, bisognerà vedere come verrà rinviata.
Perché una cosa è chiara a tutti meno che alla Troika: non si può cavare
il sangue dalle rape...
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