domenica 6 luglio 2014

Telemaco-Renzi, i fatti e le parole — Alberto Leiss, Il Manifesto


Almeno dal punto di vista della pro­du­zione con­ti­nua di parole media­ti­ca­mente inci­sive biso­gna dire che Telemaco-Renzi ci si è messo di impe­gno. Per con­vin­cerci che con il famoso seme­stre di pre­si­denza ita­liana del Con­si­glio d’Europa il destino del vec­chio con­ti­nente, impri­gio­nato nelle poli­ti­che dell’austerità, può dav­vero cam­biare. Nes­suno — è stato notato in que­sti giorni — si era mai accorto che que­ste pre­si­denze a turno fos­sero così importanti.
Ma quel ruolo rap­pre­senta cer­ta­mente un’occasione per incre­men­tare ancora lo sta­tuto media­tico glo­bale dell’unico lea­der di un par­tito di governo uscito vin­cente dal recente voto euro­peo. E così in pochi giorni siamo pas­sati dal sel­fie di un’Europa che deprime con la sua noia, alle bat­tute con­tro la Bun­de­sbank, che deve limi­tarsi al suo mestiere e non per­met­tersi di dire alla poli­tica — e a Telemaco-Renzi — che cosa deve fare.
Sino alla frase decla­mata ieri da Bol­zano: «Difen­diamo l’Europa dall’assalto della tec­no­cra­zia!». Chissà se Mario Monti ha avuto un sopras­salto, o almeno ha inar­cato il soprac­ci­glio.
Certo il pre­mier si rife­riva all’Europa «dei ban­chieri e dei buro­crati», ma il cre­scendo di espres­sioni cri­ti­che verso l’immagine pre­sente dell’Unione ha assunto quasi i toni di un post di Beppe Grillo. E non sarà un caso, visto l’impegno del segre­ta­rio del Pd per cat­tu­rare con­sensi da un lato dall’elettorato sem­pre più con­fuso di Ber­lu­sconi, e dall’altro da quello assai per­plesso del comico genovese.
Ma sarebbe facile a que­sto punto con­sta­tare che, per cam­biare effet­ti­va­mente qual­cosa in Europa, ci vogliono i fatti e non bastano le parole. E che tutta que­sta vis pole­mica, con­dita con la reto­rica della ricon­qui­sta di un’«anima» radi­cata nella cul­tura della Gre­cia clas­sica e dell’Italia di Dante, si riduce pur sem­pre a un accordo, a un com­pro­messo tra social­de­mo­cra­tici e popo­lari nel nome del mode­rato Juncker.
Ieri sul Foglio Ste­fano Fas­sina elen­cava pun­ti­glio­sa­mente un elenco di «cor­re­zioni siste­mi­che» — non molto leg­gi­bili nel les­sico ren­ziano — che dovreb­bero essere strap­pate pro­prio al potere tec­no­cra­tico che domina dalle parti di Bru­xel­les. Non basta, insomma, invo­care la «flessibilità».
Ma anche le parole sono fatti. Lo sono sem­pre state nella sto­ria della poli­tica, e lo sono tanto più nel mondo iper­me­dia­tiz­zato di oggi. La bat­tuta di ieri con­tro i «tec­no­crati» è inse­rita in un pas­sag­gio sul rap­porto tra futuro, pre­sente e pas­sato. Renzi non vuole più appa­rire come il «rot­ta­ma­tore del pas­sato» (un altro conto è stata la fac­cenda di «alcuni poli­tici romani»). Aver fatto fuori D’Alema e Ber­sani (ma anche il quasi coe­ta­neo Enrico Letta) non vuol dire igno­rare che una poli­tica che abbia ambi­zioni ege­mo­ni­che, come si sarebbe detto un tempo, non può fare a meno di una tra­di­zione, di un sistema di idee e di valori di rife­ri­mento che non nascono con un tweet da un momento all’altro.
Ieri sul Cor­riere della Sera Paolo Fran­chi tor­nava sulla meta­fora del figlio di Ulisse (la tro­vata recal­ca­tiana di Renzi ha comun­que pro­dotto una quan­tità rag­guar­de­vole di com­menti su tutti i media) rico­no­scendo al pre­mier di avere quanto meno «buon olfatto», buon fiuto nel tema­tiz­zare ora, dopo la fase distrut­tiva e rot­ta­ma­trice, l’esigenza di un qual­che «patto tra gene­ra­zioni», e inter­ro­gan­dosi sem­mai sulla con­si­stenza cul­tu­rale del nuovo discorso renziano.
Tutto que­sto agire e elu­cu­brare sull’eliminazione dei padri che sba­gliano o sulla ricerca dei padri assenti resta però all’interno di una genea­lo­gia maschile il cui mec­ca­ni­smo di ripro­du­zione posi­tiva si è incep­pato da tempo. La «rot­ta­ma­zione», dete­stata e ammi­rata, è stato in fondo un modo di sve­lare que­sta realtà. Renzi sem­bra anche molto sicuro che uno dei rimedi ai disa­stri della poli­tica sia la pro­mo­zione delle donne in posti di respon­sa­bi­lità. Ma quando dice, scher­zando ma non troppo, che il «boss» per lui è il mini­stro Padoan, die­tro il quale si vede la figura di Napo­li­tano, ecco sve­lato il nucleo forte del suo governo, ecco Tele­maco tenuto per mano da Ulisse, l’unico a pos­se­dere un arco (ammesso che fun­zioni ancora).
Forse per tro­vare un’altra Europa biso­gne­rebbe sapersi rivol­gere anche a un’altra genea­lo­gia. Le parole allora potreb­bero nomi­nare una rivo­lu­zione sim­bo­lica capace di cam­biare anche le cose.

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