Jean-Luc Mélanchon, il fondatore del Parti de Gauche, ha scritto un pamphlet intitolato «Le hareng de Bismarck» (L’aringa di Bismarck). Questo libro è diretto contro la supremazia tedesca in Europa e la ripresa, da parte del presidente francese François Hollande e Manuel Valls, il capo del governo, della politica della «Agenda 2010» di Gerhard Schröder. Poiché questa «politica riformatrice» di Schröder non era un prodotto social-democratico ma consisteva nella ripresa del programma del padronato tedesco da parte di un cancelliere social-democratico, la polemica lanciata da Mélanchon mira in sostanza a denunciare la messa in atto, in Francia, di questo programma del padronato tedesco.
La sua esposizione è convincente. Questo programma funziona solamente a spese degli altri e solamente se gli altri paesi europei non lo adottano più. Ciò è così semplice e logico che non si può non domandarsi perché la cancelliera tedesca, il suo ministro delle finanze, e i suoi partner di coalizione, non l’hanno ancora capito. Tutti i paesi europei non possono avere esportazioni eccedenti, cioè più di quanto consumano. O, ancora più semplicemente: tutti i paesi non possono avere in contemporanea il record di esportazioni.
Per illustrare ciò che è successo in Francia, Mélenchon racconta una visita di François Hollande a Angela Merkel nel maggio 2014. Il presidente francese riceve come regalo a Straslund una piccola botte di aringhe di Bismarck. Del resto lo Spiegel aveva notato il gesto inopportuno. «François Hollande avrebbe potuto intendere questa botte come grettezza da parte di Angela Merkel. Il cancelliere prussiano, che concesse il suo nome nel 1871 a un pescivendolo per i suoi pesci di conserva, era un nemico terribile dei Francesi ». Spinto da una febbre tutta nazionalista lo Spiegel prosegue: «Come ai tempi di Bismarck, la Francia lotta contro la sua inferiorità di fronte al suo vicino dell’est… E come all’epoca, è un cancelliere soprannominato “di bronzo” che governa a Berlino».
Per Mélenchon, Bismarck ha aggredito la Francia. Dopo la vittoria, fece incoronare l’Imperatore tedesco nella galleria dei vetri di Versailles. Fino a oggi, i francesi non hanno dimenticato questa umiliazione. Il fondatore del Parti de Gauche chiama questa aringa di Bismarck un “messaggio siciliano”. Quando la mafia inviava a qualcuno un pesce significava che una persona era stata “mandata dai pesci”, ovvero ucciso.
Secondo Mélenchon, sono la democrazia europea e i valori fondamentali della Rivoluzione francese, Libertà, Uguaglianza, Fraternità che sono stati mandati ai pesci dalla supremazia tedesca.
La Merkel non ha certamente voluto inviare un messaggio siciliano. Non è né così malvagia né così sorniona. Ma il fatto che ha offerto lo stesso regalo al presidente francese che a George W. Bush e Vladimir Putin mostra in realtà a che punto la politica e la cultura francese le sono ancora estranee.
Quando Mitterand, Thatcher e Andreotti si opponevano alla riunificazione della Germania era alla supremazia della grande Germania che si opponevano, una supremazia che, secondo loro, avrebbe messo in pericolo il processo di unità in Europa.
George Bush, il presidente americano, non aveva niente da ridire. Al contrario, esigeva dalla Germania una “partnership nella leadership”. Elogiava, così, una dominazione tedesca in Europa, in accordo con la strategia mondiale americana.
Finché i tedeschi giocheranno a vassalli della potenza mondiale degli Stati Uniti – basta pensare al comportamento della Merkel nello scandalo della NSA – la messa in guardia di Mélenchon: “l’imperialismo tedesco è di ritorno” non minaccerà la sola potenza mondiale restante.
Il pamphlet di Mélenchon non può essere bollato come una critica esagerata al governo tedesco da parte di un uomo di sinistra. Nel necrologio in omaggio al suo collega Ulrich Beck, il sociologo inglese Anthony Giddens scriveva: «Thomas Mann aveva concluso, come si sa a seguito alle due guerre mondiali, che era necessario che l’integrazione europea sfociasse in una Germania europea, in ogni caso non in una Europa tedesca. Ma la crisi dell’euro ha precisamente prodotto questa Europa tedesca. Angela Merkel è de facto la presidente della UE. Non si può, per così dire, far passare nulla contro di lei, la Repubblica federale definisce le regole per il resto dell’Unione. Ma poiché l’egemonia della Germania non ha una legittimità immediata, la Merkel tenta di dissimularla. È diventata, come propone Beck, una “Merkiavel” che nasconde abilmente la sua influenza di dominatrice, cosa che sfocia infine nell’inganno. Essa finge di guidare il salvataggio dell’Europa ma è autorizzata solamente la politica passata attraverso il prisma del pensiero economico tedesco.
«Siamo assai lontani dalla stabilizzazione dell’euro, perché la Germania non permette la condizione necessaria a ciò, ovvero una integrazione fiscale e economica più grande dell’Eurozona. Al contrario si impone ai paesi del Sud una politica di austerità senza neppure preservare una parvenza di approvazione democratica. Il risultato è che il centro politico sprofonda in questi paesi ancora più rapidamente che negli altri.
«E’ per questo che Beck si augurava un nuovo contratto sociale per l’Europa. Ciò significa in ultima istanza una rivolta contro la dominazione tedesca. La politica economica dovrebbe puntare più fortemente sugli investimenti, la protezione sociali dovrebbe essere estesa in Europa. I paesi più ricchi dovrebbero impegnarsi per quelli che soffrono la crisi»
Se si confrontano le analisi di questi due celebri sociologi con la frase della Merkel: «Se l’euro muore è l’Europa che muore», allora si vede bene tutta la grandezza dello scacco della sua politica europea. In effetti noi siamo molto lontani dalla stabilizzazione dell’euro. Mélenchon non dimentica di notare quanto nel frattempo i tedeschi si mostrano arroganti in Europa. Quando si diceva al momento dell’introduzione dell’euro: “L’euro parla tedesco”, si intendeva ancora riassicurare i cittadini tedeschi che si preoccupavano della stabilità monetaria. Già, all’epoca, gli altri paesi europei non amavano questa musica. Ma quando Volker Kauder, presidente del gruppo della CDU/CSU al parlamento tedesco, disse al congresso della CDU a Leipzig, dieci anni più tardi “ora ecco che in Europa si parla tedesco”, si poteva allora di nuovo provare la vecchia follia della “grandeur” tedesca. Nello scorso aprile, in una riunione a Washington, Wolfgang Schäuble criticava la mancanza di volontà di riforma dell’Assemblea nazionale francese e diceva: «la Francia potrebbe ritenersi felice se qualcuno costringesse il Parlamento, ma questo è difficile, è così la democrazia». Il primo segretario del Partito socialista Jean-Christophe Cambadélis rimprovera al ministro delle finanze tedesco una «francofobia intollerabile inaccettabile e contro-producente». Il tono di indignazione del capo delle fila socialiste non è molto differente da quello di Mélenchon: «la Germania è di nuovo un pericolo. Il modello che impone agli stati europei è un regresso per la nostra civiltà»-
Non si dimentica di sottolineare che il modello economico tedesco dei neo-liberisti è lontano dall’essere coronato dal successo che i suoi propagandisti vorrebbero farci credere. Se la si considera su più anni, la crescita francese è superiore alla crescita tedesca. Ciò vale anche per i guadagni di produttività. Le lamentele della Merkel riguardo alle vacanze lunghe, alle pensioni precoci degli europei del sud si scontrano con un rifiuto categorico privo di ogni spirito di comprensione. Mélenchon ricorda con un tono sarcastico che questi fannulloni dei Greci, degli Spagnoli e dei Portoghesi hanno meno vacanze che i lavoratori della Germania e che gli Spagnoli e i Portoghesi vanno in pensione più tardi.
La Germania ha, ci dice il nostro combattivo deputato europeo, il numero più basso di nascite e la parte di popolazione anziana più alta in Europa. È questo il modello che la Francia dovrebbe seguire?
Nell’inquinamento dell’aria e nella produzione di rifiuti la Germania di nuovo è in testa e impedisce, su ordine dell’industria dell’automobile, dei livelli d’emissione di gas di produzione più bassi e, su ordine dell’industria chimica, delle direttive ecologiche al livello europeo.
Va da sé che Jean-Luc Mélenchon miri particolarmente alla politica sociale tedesca. Desiderava evitare a ogni costo in Francia riduzioni di salari e pensioni che seguono il modello tedesco. La precarizzazione del lavoro con i salari bassi, i contratti di lavoro a durata determinata, i contratti a cottimo, del lavoro interinale e dei mini lavori non può servire da modello a Parigi. In Francia, il mercato del lavoro non è ancora, e di molto, così frantumato come in Germania. Da molto c’è un salario minimo più alto che quello del vicino dell’Est.
Si può riconoscere l’avanzata della sottomissione al paradigma neoliberista in Germania nella risposta data a un sondaggio fatto da Handelsblatt dove la maggioranza dei managers tedeschi esigeva un salario minimo superiore a quello che reclamavano la DGB e i socialdemocratici.
Mélenchon, per rinforzare la sua critica, fa riferimento a Arnaud Montebourg, ministro socialista dimissionario. Nel 2011, questi dichiarava: “Madame Merkel sta per uccidere l’euro… e sulla nostra rovina che la Germania vuole fare fortuna… è venuto il momento di assumere il confronto politico di fronte alla Germania”. Il presidente socialista dell’assemblea nazionale, Claude Bartolone, si esprimeva in maniera simile. Sebbene dicessero di avere a cuore di lavorare in comune con la Francia, Merkel e Schäuble non si mostrano fino a ora molto impressionati da tutto questo. I social-democratici tedeschi stessi non hanno fatto nulla per mettere fine alle politiche di austerità in Europa. Li tenta troppo la possibilità di mettere i ginocchio Syriza e di strozzare sul nascere l’arrivo di una concorrenza a sinistra – e il pensiero va a Podemos in Spagna.
Il discorso della mania di grandezza con la Francia è pericoloso. Se la politica tedesca, portata sulle spalle dei vicini per mezzo del dumping sociale e salariale, porta Marine Le Pen al potere, allora il progresso dell’unificazione europea sarà stoppato per lungo tempo.
Anche Die Linke, unico partito a portare una voce di un’altra politica europea al parlamento tedesco, deve continuare il dibattito. Se la Merkel e Schäuble, insieme a Sigmar Gabriel, mettono in ginocchio Syriza non sarà solamente un pesante regresso per la democrazia europea e lo stato sociale europeo, ma anche per tutta la sinistra politica in Europa.
Di fronte al blocco neo-liberista, Tsipras e Varoufakis cercano una soluzione. Hanno invitato a Atene il precedente economista in capo della Deutische Bank, Thomas Mayer. Nel 2012, aveva fatto la proposta di una moneta parallela a l’euro, un euro greco o Geuro. C’era l’idea che la Grecia non poteva uscire economicamente con un euro forte e né può indebitarsi di nuovo perché non ha il diritto di stampare euro. Il blocco neo-liberista europeo al quale Mélenchon aggiunge anche i partiti social-democratici e socialisti al potere fa tutto per affondare la sinistra in Grecia. Ma i grandi piani dei politici dell’austerità non ingannano: l’attuale sistema monetario non funziona. La loro politica ha fatto sprofondare sempre più giù l’Europa nella crisi. Anche se, come me, non si crede che la proposta dell’ex capo economico della Deutsche Bank, Thomas Meyer, sia sufficiente, nessuno in definitiva può evitare il dibattito su un nuovo ordine monetario europeo. La competitività tanto vantata delle varie economie nazionali non può essere sempre prodotta con l’abbassamento dei salari e delle pensioni e sulla distruzione delle contrattazioni collettive e delle protezione del diritto del lavoro. Io mi domando perché il governo greco ha ancora bisogno di crediti che non sono stati introdotti che per salvare le banche. La più grande flessibilità che si impone nel sistema monetario europeo e che lascerà nuovamente la possibilità di svalutare ha bisogno, come quadro e come partner cooperante, della Banca Centrale europea. Ovvero: la BCE può senza problemi dirigere il corso delle monete nazionali, per esempio il corso del Geuro. Si regolerebbe la svalutazione divenuta necessaria e si eviterebbe anche la caduta tanto spaventosa di una moneta debole. Beninteso come ha mostrato l’esempio di Cipro, delle misure di controllo dei capitali sono inevitabili. Nella questione monetaria Mélenchon rinvia alla discussione cominciata qualche tempo fa dalla Germania su un euro del sud, senza prendere una chiara posizione. Die Linke non dovrebbe sottrarsi a una tale discussione rinviando come ora alle esportazioni tedesche. Il nazionalismo delle esportazioni sulle spalle dei vicini non può trovare il consenso di un partito di sinistra. Le questioni monetarie sono conosciute per essere difficili e anche nel caso dell’unione monetaria come per la riunificazione e per l’introduzione dell’Euro i responsabili non si sono coperti di gloria. Indipendentemente dai diversi modelli messi in discussione una cosa dovrà essere chiara: l’euro non dovrà parlare tedesco ma europeo.
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