L’entrata
sulla scena di Podemos ha stravolto il paesaggio politico. In una
situazione di paralisi istituzionale, dove l’instabilità sembrava essere
il frutto della crisi dei vecchi partiti piuttosto che della comparsa
di nuovi attori, Podemos emerge come una grande minaccia per quelli che
stanno in alto e una grande speranza per coloro che stanno in basso.
Dopo anni di mobilitazioni e dinamiche di lotta
principalmente sulla difensiva, la marea di indignazione che si è
manifestata con il movimento rivendicativo del 15 M (il nome che ha
assunto il movimento degli indignati apparso sulla scena il 15 maggio
2011 con l’occupazione di Puerta del Sol) cerca di dotarsi di strumenti
volti ad ottenere la conquista di quote di potere istituzionale,
provando un cambio del ciclo nel quale le classi subalterne non si
accontentano più di protestare, ma cercano d’ora in poi di trasformare
la loro narrazione in potere politico. Un settore della popolazione
comincia a credere nuovamente nella possibilità di costruire una società
egualitaria e democratica: la politica tradizionale è stata profanata
dall’irruzione popolare.
In questo articolo cercheremo di rispondere
brevemente a qualche domanda. Perché è nata Podemos? Da chi è stata
lanciata? Quale è il rapporto tra Podemos e le identità della sinistra?
Quali sono alcune caratteristiche del suo discorso politico, le forme e
le modalità di organizzazione? Quali le sfide future? Senza dubbio ci
sarebbero altri aspetti interessanti da scandagliare, ma vi invito a
leggere questo articolo semplicemente come una riflessione incompiuta o
un contributo al dibattito.
Dalla lettura di un momento alla creazione di un evento.
Rompendo con l’idea secondo la quale “bisogna
accumulare le forze lentamente”, la nascita di Podemos corrisponde ad
una visione che combina un’analisi “obiettiva” della congiuntura
politica con una “soggettiva” di quest’ultima. Da una parte, la
congiuntura traccia il cammino verso una possibilità politica: le lotte
difensive del settore pubblico (sanità, educazione, …), il discredito
delle organizzazioni sociali e politiche tradizionali, la
burocratizzazione della sinistra istituzionale, la disaffezione e la
collera di ampi settori della popolazione, la ricerca di uno sbocco
politico alle mobilitazioni sono alcuni dei sintomi che indicano la
possibilità di riuscita di un progetto come Podemos. D’altra parte,
l’insieme di queste caratteristiche non conduce di per sé ad un
cambiamento fondamentale dell’ordine politico. È importante sfruttare il
momento per spingere alla costruzione di soggetti che producano eventi
in funzione delle possibilità esistenti. Affinché la realtà cessi essere
un puzzle e tutti i pezzi siano incastrati occorre cominciare a
costruire il puzzle con i pezzi che sono a disposizione, anche se non è
detto che tutti questi si incastrino.
Il lancio con le forze accumulate
Podemos fu lanciata da persone riunite attorno alla trasmissione televisiva di dibattito politico La Tuerca – di
cui Pablo Iglesias è il volto principale – e da militanti di Izquierda
Anticapitalista. Si sono incontrate due culture politiche differenti. La
prima trae ispirazione dal processo in corso in America Latina, la sua
ipotesi si fonda sulla possibilità di creare un’aggregazione popolare
attorno ad una figura carismatica capace di far confluire le diverse
espressioni del malcontento.
La seconda, di ispirazione “movimentista”, si fonda
sulla volontà di costruire un’alternativa di rottura a partire dal basso
e a sinistra. Essa è stata segnata dalle esperienze del 15M e delle
maree ( le diverse maree sono caratterizzate dai loro colori diversi a
seconda dell’espressione sociale dei movimenti, bianca per la sanità,
verde per l’educazione, granata per coloro che sono stati espulsi dal
lavoro…).
L’uso di una figura pubblica “forte”, conosciuta più per le sue
apparizioni televisive che per il suo ruolo di dirigente di un movimento
– come può essere Ada Colau 1–
è stata e continua ad essere controversa. Ma, al di là dei dibattiti,
bisogna riconoscere che, senza la figura di Pablo Iglesias, Podemos non
sarebbe riuscita a superare la condizione di altre esperienze incapaci
di aggregare strati popolari proiettandosi al di là degli spazi
militanti già costituiti.
Mi riferisco a Pablo Iglesias come figura costruita
per sottolineare un’innegabile successo: dietro questa figura, c’è una
lettura che indica la necessità di costruirsi egualmente sul piano
mediatico, visto il ruolo che giocano i “mass media” nella società
attuale. Pablo Iglesias è il prodotto di questa strategia, e ben che le
opportunità siano sempre contingenti, è bene saperne approfittare. Il
merito è di colui che ha intravisto la possibilità di occupare uno
spazio così come l’accumulazione di forze potenziali senza le quali non
si sarebbe potuto occupare. Ed egli ha fatto in modo di trasformare
questo potenziale in qualcosa di concreto.
La legittimità di Pablos Iglesias nel suo ruolo di
direzione di Podemos proviene dal fatto che ha saputo costruire, tramite
i “megafoni” mediatici, una via di comunicazione diretta con milioni di
persone che si identificano con i problemi che egli solleva. Il
dibattito non si sviluppa attorno alla necessità o meno di una direzione
di questo tipo – che ha dimostrato di essere molto utile per dare
impulso ad un ampio progetto fondato sull’auto – organizzazione popolare
– ma piuttosto sulle modalità attraverso cui combinare questo modello
di direzione mediatica con la cultura egualitaria, “proveniente dal
basso” che è apparsa con il 15 M. Il tentativo, non privo di tensioni,
di andare in questa direzione, ossia di riunire queste due sfere, spiega
in buona parte il successo di Podemos. In questo ambito, restano da
fare ancora molte esperienze.
D’altro canto, un settore della sinistra radicale (radicale nel senso
che cerca delle risposte che vadano alla radice dei problemi endemici) è
stata capace di mettere a disposizione le sue (modeste) forze militanti
al servizio dall’apertura di uno spazio che non può essere controllato
da organizzazioni qualsiasi. Sono forze che cercano di far confluire
nuovi settori sociali al di là di posizioni politiche precostituite. Si
tratta, in effetti, di mettere l’organizzazione a servizio del
movimento, abbandonando l’idea che si “interviene dall’esterno” o di
pensare che esistano campi politici fissi. Il compito consiste nel
partecipare ad esperienze di massa, assumendone le contraddizioni e le
forme che sono imposte più dai ritmi reali della situazione che da un
lavoro paziente e organizzato. A più riprese questa situazione produce
alcune tensioni tra i militanti fortemente ideologizzati e lo sviluppo
politico di un movimento composto maggiormente da persone senza
esperienza militante, i cui legami non si stabiliscono sovente sulla
base dell’attività militante tradizionale. Questo rischio è reale e
sempre presente in un movimento che, proprio per le sue caratteristiche,
comprende forme multiple e variegate di legami tra i suoi membri, e
allo stesso tempo diversi livelli di partecipazione.
È possibile che sia necessario un cambio di mentalità
perché le/i militanti, oltre che essere dei “protagonisti” politici,
vogliano egualmente mettersi in relazione con tutte le persone che si
identificano con Podemos ma che non sono disposte ad impegnarsi più
attivamente.
Porre al centro il “fare” prima dell’ “essere” per poter “essere” nuovamente.
In Europa, al contrario del passato, la sconfitta
della sinistra tradizionale (caduta del muro di Berlino, adattamento
della socialdemocrazia al neoliberalismo, impotenza della sinistra
radicale) comporta la fine della simbologia “rossa” come elemento di
identificazione del malcontento anticapitalista. Diventa centrale come
elemento di ancoraggio quel che “bisogna fare” : esso sopravanza
“quello che si è”. Per dirlo con le parole di Miguel Romero: “ è
possibile e importante creare un’organizzazione politica la cui forza e
unità si formino al di là dell’ideologia concentrandoci sulla
definizione dei compiti politici centrali”.
Questo non significa affatto che questa priorità del “fare” sia
d’impaccio alla ricostruzione di identità, anche perché in politica c’è
sempre una tensione a relazionarsi con il passato, una forza che ci
spinge ad agire che proviene da lontano, così come spiegava Walter
Benjamin [nella sue Tesi di filosofia della storia del 1940]. Bisogna
vedere l’impressionante recupero/trasformazione dei meeting (in ampi
spazi pubblici, sovente all’aperto) come “teatro politico” che Podemos
ha realizzato: i pugni alzati; Carlos Villarejo2
che ha citato Engels; Teresa Rodriguez (deputato europea di Podemos e
membro di Izquierda Anticapitalista) che ha saluto i lavoratori locali
in lotta; le canzoni militanti; o, ancora, Pablo Iglesias che ha evocato
il meglio del movimento operaio.
Questa concezione del meeting come spazio vivente,
performativo (cioè votato all’azione e partecipazione) condiziona
l’evoluzione di Podemos sul piano dell’estetica e del discorso: in
questo teatro di “tipo nuovo” – così come si sono trasformati i meeting
di Pablo Iglesias e di altre figure pubbliche del movimento- il pubblico
non solo osserva ammirato, ma agisce, preme, vive. Questa apertura di
spazi votati all’espressione popolare – il che costituisce un grande
merito di Podemos – ha permesso al popolo di sinistra di trovare un
momento di riunione, ed ha inoltre obbligato la sinistra ad uscire dal
suo letargo identitario. Podemos ha funzionato in questo equilibrio,
teso e precario, permettendo al progetto di partire da sinistra, di
aprire un nuovo campo al di là di questa identità, per poi ricomporre
senza mai rinchiudersi. Essere di sinistra ritorna di moda: non è più
qualcosa che si vive nella solitudine e con un simbolo attaccato
all’occhiello.
Il gioco di concetti
Podemos ha raggiunto un equilibrio difficile per una
forza di sinistra: apparire come il nuovo appoggiandosi sul passato per
trarvi ispirazione. Due esempi ci permettono di illustrare questo
aspetto : l’introduzione “dall’esterno” di un termine come “casta”; la
contestazione dell’identità “socialista” del Psoe, uno dei pilastri del
regime costituzionale del 1978.
L’introduzione del termine “casta” chiarisce la
potenza discorsiva di Podemos. Si tratta di un concetto sufficientemente
ambivalente e sibillino tale da poter indicare un asse antagonista, in
un contesto in cui i responsabili del disastro sociale si mostrano
invisibili o strettamente individualizzati. Tradizionalmente, nella
teoria politica di matrice marxista, il termine “casta” è stato
utilizzato in riferimento a quegli strati di popolazione il cui potere
derivava dalla loro relazione con lo Stato, mentre il termine “classe”
era legato alla posizione rispetto ai mezzi e ai rapporti di produzione e
di proprietà. Il termine “casta” può essere l’espressione della fusione
tra potere economico e gli apparati dello Stato tipica del periodo
neoliberale; fusione prodotta dall’invasione finanziaria nel campo
dell’amministrazione statale che, nel corso del periodo del “Welfare”,
riproduceva le conquiste sociale della classe lavoratrice. Il termine
“casta” si trasforma in una rappresentazione, semplice e diretta, dei
responsabili economici e politici della miseria, della fusione tra i
poteri pubblici e privati. Questo termine potrebbe tradursi con un
sinonimo, la “borghesia”, il termine indicato dal movimento operaio.
La capacità del termine “casta” di simbolizzare la
fusione tra i poteri economici e politici ha una sua base materiale nel
movimento reale: questo ci riporta allo slogan che lanciò il 15M quando
ricordava che “noi non siamo delle merci nelle mani dei politicanti e
dei banchieri”.
Il termine così ambiguo come quello di “casta”, senza
queste esperienze collettive passate, si sarebbe potuto trasformare in
una rappresentazione falsa di tutti i mali, un ricorso populista che
occulta le responsabilità autentiche della crisi, così come è avvenuto
in Italia dove la punta avanza della lotta contro la “casta” è
rappresentata del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che alla fine ha
formato un gruppo parlamentare con l’Ukip (il partito di estrema destra
che ha vinto le ultime elezioni europee in Gran Bretagna) al parlamento
europeo. Questo accordo è stato approvato, secondo la forma classica
propria del M5s, attraverso una consultazione telematica.
Questo non discredita il referendum telematico (senza
dubbio tra gli strumenti più utili capace di amplificare la
partecipazione popolare3),
né l’uso del termine “casta”, ma ci ricorda che sono i processi sociali
collettivi che detengono il peso decisivo. Sono essi che definiscono il
significato di un termine e determinano l’uso in un senso o nell’altro
dei meccanismi di partecipazione online.
Non bisogna dimenticare che la sfida tra i termini
“la casta” e “la gente” si produce nel quadro di relazioni strutturali
di dominio e di sfruttamento capitalistici: la “casta” è sfruttatrice,
ma si mantiene e si riproduce in un quadro sistemico. È l’azione
politica della “gente” che può sloggiare “ la casta”, non solo per
rimpiazzarla con un nuovo ceto di governanti “più giusto”, ma anche per
disarticolare questi rapporti (le relazioni tra l’essere umano e il
l’ambiente fondati sulla rapina, l’espropriazione da parte di qualcuno
della ricchezza prodotta dal lavoro, delle relazioni d’oppressione
eteropatriarcali) che determinano la vita sociale.
La forza di Podemos risiede nel fatto che il concetto
non è distaccato dall’azione reale, e questo può permettere di legare
la lotta contro la “casta” alla possibilità di superamento delle
strutture e dei rapporti che permettono e condizionano la riproduzione
della “casta”. In seno a questo processo di lotta appaiono degli
elementi di auto – organizzazione popolare, di nuove relazioni sociale
che rimettono in questione quelle imposte dalla società capitalista: la
lotta contro la “casta” si forgia nella cooperazione e nel dibattito,
all’opposto di ciò che produce il neoliberalismo con la messa in
concorrenza, l’isolamento sociale e la solitudine.
D’altro canto, Podemos ha avuto l’audacia (legata
alla possibilità apertasi a seguito della fragilità delle fedeltà
politiche stabilite dal regime del 1978) di contestare le basi sociali
del Psoe. Il Psoe ha funzionato nel corso degli ultimi decenni come la
principale forza “partitaria” di integrazione delle classi subalterne
allo Stato spagnolo, un ruolo fortemente legato alla sua subordinazione e
alla fusione con gli apparati statali. I meccanismi di questa
integrazione sono stati molteplici. Occorre sottolineare i suoi legami
con i sindacati tramite una politica di riforme destinata stimolare un
modello economico gli aiuti europei (Ue) in cambio della
desindustrializzazione del paese. Il debito serviva da strumento di
compensazione della stagnazione salaria. Sulla scia operava una
finanziarizzazione del sistema produttivo. Il crollo di questo modello, a
partire dalla crisi del 2008, ha eroso fortemente il ruolo di
riferimento sociale per tutti quei settori della classe lavoratrice che
considerava una volta il Psoe come il minor male rispetto alla destra.
Podemos ha saputo riappropriarsi del termine “socialista” per
posizionarsi come alternativa di fronte alle rovine lasciate dal
“marchio di origine”, giocando anche in termini discorsivi appoggiandosi
su dati aleatori: il dirigente di Podemos e il fondatore del Psoe sono
omonimi (Pablo Iglesias, 1850 – 1925, fu anche dirigente dell’Ugt).
Podemos ha quindi accusato il Psoe di abbandonare i suoi obiettivi
fondatori e ha fatto appello al loro recupero nel quadro della
costruzione di un nuovo soggetto politico. I socialisti possono così
ritrovare la fierezza di esserlo, ma al di fuori del Psoe, percepito
come caduco e in via di decomposizione.
Se noi comprendiamo il “senso comune” così come l’ha
concepito Gramsci, ossia come sintesi tra l’ideologia della classe
dominante e le conquiste contro – egemoniche dei subalterni nella loro
lotta contro l’ideologia dominante, non c’è alcun dubbio che
l’ambivalenza discorsiva di Podemos permette di raccogliere una buona
parte del capitale storico accumulato tanto quanto dalle lotte quanto
dalla storia del movimento degli oppressi. Ma questa ambivalenza – così
indispensabile e utile in un processo di aggregazione popolare di massa –
dovrà egualmente fare fronte ad alcune sfide dettate dall’agenda
politica dominante. Un’agenda, non dimentichiamolo, che continua ad
essere segnata da fatti estranei alle azioni di Podemos, anche se
quest’ultimo costituisce già un elemento dell’equazione. Cosa succederà
il giorno della consultazione catalana (prevista il 9 novembre 2014) ?
il senso comune che domina una grande parte – ossia la maggioranza – di
coloro che si identificano con Podemos non li spinge nel solco di un
sostegno al diritto dei Catalani di decidere (l’indipendenza), anche se
alcuni dirigenti di Podemos hanno difeso il diritto di decisione dei
Catalani. Tanto pedagogia e tanto coraggio sarebbero necessari perché
non si imponga in Spagna il senso comune dominante, ossia quello
dell’unità della Spagna. Podemos ha almeno aperto alla possibilità di
risolvere questa situazione in modo democratico.
Non si inventano le forme.
La sinistra ha tentato di integrare le persone nelle
proprie strutture piuttosto che andare verso le strutture che “generano”
la gente, e questa è una delle caratteristiche dei periodi di riflusso.
Questo è da un certo punto di vista comprensibile. Se non ci sono
movimenti, non si sono luoghi dove andare, cosa che favorisce il
ripiegamento e l’isolamento. È la ragione per cui gli attacchi gratuiti,
così alla moda in certi ambienti, contro la sinistra che ha resistito a
tutta l’ondata neoliberale che ha preceduto il 15 M sono sovente poco
materialisti e ingiusti. La tragedia non risiede in questa resistenza
che merita rispetto. La tragedia si produce piuttosto quando c’è un
cambiamento d’epoca, quando un movimento emerge nella storia. I
tentativi di non scomparire nei periodi di riflusso o di crisi dei
movimenti si concretizzano sovente in forme burocratiche, perché senza
la pressione dal basso, sono le istituzioni dominanti che fanno
pressione a partire dall’alto. È così che le organizzazioni tradizionali
di sinistra hanno la tendenza a trasformarsi in apparati conservatori
per la pressione generata dal legame con gli apparati dello Stato e le
dinamiche di resistenza fondate unicamente su una logica elettoralista.
Quando il movimento popolare irrompe nuovamente, la
routine è rimessa in questione. La marea del 15 M fu precisamente
quest’irruzione del movimento, dopo il deserto e l’apatia neoliberale,
con il ritorno del collettivo, con la creazione di forme organizzative
che rispondevano ai problemi della maggioranza della popolazione, alla
realtà quotidiana delle persone. Emmanuel Rodriguez descrive
perfettamente, nella sua opera Hipotesis Decmoracia, le forme che
propone (e impone) il movimento 15 M: “ ampio, assembleare, senza
strutture determinate, nella piazza e in rete. Spontaneamente, la sua
forma si adatta a quella di un movimento costituente nel quale può
partecipare chiunque. Le assemblee sono aperte e può parteciparvi chi lo
desidera”.
La forza di Podemos consiste nel fatto che tenta di
imporre delle forme, ma permette di riprendere quelle che sono state
sperimentate nelle piazze, aprendo spazi di partecipazioni alle persone.
Ciò spiega la capacità di Podemos di “addizionare”: non si esige alle
persone di integrarsi una struttura predefinita, ma viene loro offerto
uno spazio da configurarsi. Questo differenzia Podemos dal resto delle
organizzazioni politiche. Con Podemos, parleremmo piuttosto di auto –
organizzazione, di un “fai da te” opposto al modello delle
organizzazioni politiche della sinistra tradizionale dove la relazione
tra militante e struttura è già prefigurata.
Questo grande vantaggio non è esente da problemi. I
problemi più immediati sono provocati dalla necessità di configurare
strutture proprie, operative nella pratica, capaci di adattarsi ai tempi
imposti dalla vita quotidiana. La sfida consiste nell’adattare la
partecipazione alla vita e non la vita alla partecipazione. Per questo,
la definizione di strutture per essere utile perché non si perda tutta
ad un tratto l’impulso democratico dopo il momento di euforia iniziale.
Bisognerà esaminare se la costruzione di queste strutture sarà capace di
penetrare dal basso verso l’alto, senza perdere di vista quello che si
muove ai margini, producendo meccanismi di controllo e di decisione che
attraversino tutto lo spazio di Podemos. Il nuovo periodo, nel quale
Podemos sarà legata alle istituzioni ( e alle sue “ricompense”
materiali), si situa in un scenario che può accelerare processi di
burocratizzazione in mancanza di un forte controllo della base, di
un’elaborazione dei canali che fluiscano dall’alto verso il basso e dal
basso verso l’alto. Non si tratta di liquidare la capacità di decisione
dei luoghi di esecuzione, quanto piuttosto di creare la possibilità di
elezione e di controllo da parte delle assemblee, introducendo i
principi della rotazione e della revocabilità, cercando un equilibrio
tra l’autonomia dei circoli e l’insieme del progetto4.
Il discorso di Podemos insiste molto sulla partecipazione il controllo
democratico, con l’obiettivo di modificare la logica della
rappresentanza: tocca creare le condizioni che sono state descritte.
Non bisogna nascondere le tensioni che possono
nascere in uno spazio così eterogeneo come quello di Podemos. Queste
possono essere “gestite” solamente se si produce un quadro stabile,
sempre aperto e sufficientemente forte per poter generare una nuova
cultura politica che permetta di canalizzare la discussione in strutture
democratiche, sorte dalla base, permeabili alla società. Questi
meccanismi non devono essere paralizzanti perché hanno come obiettivo la
battaglia politica contro le classi dominanti. Ma devono al contempo integrare ciò
che differenzia Podemos dalla semplice efficacia tecnocratica.
Una delle grandi differenze di Podemos rispetto alle
altre formazioni risiede nel fatto che i meccanismi che legano le
persone permettono di decidere, di fornire la propria opinione sempre
nel tentativo di dare soluzioni ai dibattiti politici. È la ragione per
cui – al di là dello slancio generato dall’esperienza iniziale – diventa
necessaria una nuova cultura che rompa con la vecchia politica basata
sulle famiglie politiche, le reti informali o le riunioni di corridoio.
Queste strutture non possono costituirsi se non quando il potere (che in
ultima istanza è una finzione, un accordo consensuale che tutte le
parti accettano) emana da strutture visibili, trasparenti, fondate su
regole chiare e semplici. Questo tipo di meccanismo è il più utile per
produrre un’identità comune basata sul “fare politico”, l’appartenenza
al progetto, il suo carattere non escludente, al di là delle sigle
passate, dei gruppi di affinità o semplicemente della non affiliazione
identitaria. Si tratta della sfida interna più importante che ha di
fronte Podemos: passare dall’aggregazione avvenuta sull’onda
dell’entusiasmo alla politica giorno per giorno senza perdere in
vitalità, energia, emozione, democrazia. Sarà difficile ma non
impossibile.
La sfida è vincere.
Una delle grandi scommesse di Podemos è rompere con
la dicotomia tra il processo elettorale e quello di lotta e di auto –
organizzazione. Nel corso del processo che ha preceduto le elezioni
europee del 25 maggio, Podemos ha costruito un movimento politico
elettorale di massa che aveva come vocazione la continuità, in un
contesto nel quale le mobilitazioni di piazza stavano rifluendo con
l’eccezione della ripresa delle Marce della dignità del 22 marzo.
Da un lato, questo “processo costituente” non sarebbe
stato possibile senza l’accumulazione di forze proveniente dalle
molteplici mobilitazioni precedenti che segnano sempre la coscienza
nelle fasi susseguenti. Ma è al contempo certo che Podemos ha usato le
elezioni per rinnovare il campo politico. Per la prima volta, la
battaglia elettorale non è stata intrapresa come una “guerra di
posizione” con le forze accumulate, ma come una “guerra di movimento”
rapida, avente come obiettivo quello di raggruppare nuovi settori
sociali non legati all’accumulazione di forze scaturita dalle precedenti
mobilitazioni. È l’uso dei processi elettorali che ha fatto nascere i
circoli che hanno vissuto e agito durante la campagna elettorale come
gli attori di una mobilitazione: mentre cercavano di raccogliere voti
aprivano al contempo spazi di auto – organizzazione popolare.
Podemos è nato con un orizzonte concreto: sloggiare i
partiti del regime delle istituzioni. Ma questo non significa
necessariamente “vincere”. Vincere è poter governare, anche più, è
dotare le classi popolari di meccanismi di auto – governo nel momento in
cui si sbarazza del potere delle classi dominanti, smantellando i loro
meccanismi di dominio. Questo non si realizza per decreto, né dall’oggi
al domani, si tratta di un processo che, nel contesto storico attuale,
non può che essere iniziato che tramite una vittoria elettorale. Podemos
deve prepararsi, affrontando le campagne elettorali con un profilo
offensivo mentre, parallelamente, deve rendersi disponibile ad esaminare
la questione del governo al di là di un semplice discorso. Qualcuno
dubita che il programma di Podemos incontrerà delle resistenze
proveniente dal capitale finanziario internazionale, dalle grandi
imprese o dalla casta legata agli apparati dello Stato? Come governare i
municipi indebitati dalle politiche neoliberali? Come opporsi alla fuga
dei capitali, reazione più che probabile di fronte all’implemento di
una fiscalità fortemente progressiva? È necessario costruire dei poteri
popolari pronti a resistere alla pressione che si scatenerò in caso di
vittoria elettorale. Non sarà sufficiente contrastare le minacce
catastrofiste dei grandi media con smentite verbali: il miglior modo per
combatterli sarà un popolo che ha fiducia in se stesso, pronto ad
esercitare il potere.
I circoli di Podemos sono uno degli spazi
indispensabili per affrontare questo compito. Bisogna, tuttavia,
precisare che i circoli non sono dei meccanismi di potere popolare: sono
degli strumenti, anche se rappresentano un di più in vista della
costruzione di questo potere popolare al servizio di un governo delle
cittadine e dei cittadini. Si tratta di mantenere rapporti costanti e
stretti con le persone del quartiere, dei luoghi di lavoro e di studio,
evitando di limitarsi alle consultazioni via internet, tanto utili e
indispensabili per facilitare i meccanismi di decisione, ma incapaci di
costruire una politica “calda” che si appoggia sulla deliberazione
collettiva e la costruzione di comunità radicate nella vita quotidiana
dei territori.
Si tratta di combinare il virtuale con la presenza
sul territorio, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione per
costruire, legare e suscitare la partecipazione della maggioranza
sociale. Questo non significa affatto che i circoli prendano tutte le
decisioni riguardo a Podemos, ma che debbano partecipare
all’elaborazione delle questioni presentate dalla popolazione, per
evitare che siano pochi a fornire le possibili risposte. È solo in
questo modo che i circoli si trasformeranno in spazi aperti, permeabili
alla sensibilità e ai problemi di coloro che stanno in basso.
I circoli possono egualmente costituire il legame tra
il capitale accumulato in seno alla società civile e alle istituzioni. I
compiti sono concreti: discutere con le organizzazioni sociali non
solamente per solidarizzare con loro, ma per raccogliere le loro
esperienze di fronte all’elaborazione di un’alternativa di governo -le
maree bianche (sanità) o verdi (istruzione) o la Pah ( Piattaforma
contro gli sfratti) hanno accumulato un’esperienza preziosa che dovrebbe
servire di base per alcune politiche pubbliche al servizio dell’insieme
della società; tessere legami tra le forze vive dei quartieri e delle
città; rendere visibili i problemi ignorati dalle autorità; trasformarsi
in un luogo di incontro aperto a tutti gli abitanti; essere strumenti
per la formazione politica dei cittadini che hanno bisogno di apprendere
insieme a governare se stessi…. .
Ogni movimento di trasformazione possiede più piedi.
L’elezione è uno di essi. Gli attivisti ne sono un altro. Senza dubbio, i
portavoce e le figure pubbliche ne rappresentano un altro,
indispensabile. Abbiamo parlato di elezioni, di strumenti discorsivi, di
come usare l’energia militante per costruire un potere popolare.
Resta, tuttavia, un quarto piede per potersi muovere:
le persone “invisibili”, coloro che vivono ai margini di questa
espressione della vita pubblica che è la politica. Per questo è
necessario comprendere Podemos come un campo fluido, lontano dalla
rigidità della politica tradizionale, che concepisce soltanto la
costruzione di soggetti sulla base di espressioni visibili. Ci resta la
sfida immensa di essere la speranza di coloro che non credono in niente,
di coloro che vivono ai margini dell’esercizio della politica, di
essere la speranza di quelli che vivono con disincanto. Questa potenza
sociale non si esprimerà fino a quando una forza politica come Podemos
dimostrerà che non li deluderà. La sfida più grande di Podemos è di
creare fiducia in un mondo pieno di sospetti, dove tutto è fallito e
dove non resta nulla di credibile. Perché, se Podemos non genererà
questa fiducia, potranno sorgere mostri, pulsioni totalitarie, falsi
idoli. Spetta a tutte e a tutti di essere all’altezza.
Di Brais Fernandez, militante di Izquierda anticapitalista e attivista in Podemos.tradotto da A l’Encontre, ripreso da viento sur
1 Già
porta parola di Pah, movimento che si oppone agli sfratti, che è
diventata “figura” di rigerimento dei movimenti sociali. Recentemente ha
lanciato la proposta di un raggruppamento di movimenti e di
organizzazioni – compresa Podemos – per presentarsi alle elezioni
municipali di Barcellona che si terranno nel maggio 2015. Questa
iniziativa ha preso il nome di Guanyem Barcelona (Red. A l’Encontre).
2 Nato
nel 1935, attivista antifranchista nonché magistrato sotto la
dittatura, procuratore anticorruzione tra il 1995 e il 2003, è risultato
uno dei 5 eletti al parlamento europeo di Podemos, posto che ha poi
lasciato, come aveva annunciato a Tania Gonzalez, arrivata sesta
all’interno della lista di Podemos (A l’Encontre).
3 Podemos
ha utilizzato il referendum online durante le primarie per la scelta
dei candidati alle elezioni europee del 15 maggio, così come per
l’approvazione della direzione che guiderà Podemos in condizioni
problematiche fino all’assemblea costituente che si terrà in autunno (A
l’Encontre).
4 Podemos
consta, oltre alcuni “circoli tematici”, di 507 circoli ripartiti in
tutto lo Stato spagnolo, più una decina al di fuori dello Stato
spagnolo. (A l’Encontre).
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