domenica 6 luglio 2014

Podemos, un grande successo e una grande responsabilità

L’entrata sulla scena di Podemos ha stravolto il paesaggio politico. In una situazione di paralisi istituzionale, dove l’instabilità sembrava essere il frutto della crisi dei vecchi partiti piuttosto che della comparsa di nuovi attori, Podemos emerge come una grande minaccia per quelli che stanno in alto e una grande speranza per coloro che stanno in basso.
Dopo anni di mobilitazioni e dinamiche di lotta principalmente sulla difensiva, la marea di indignazione che si è manifestata con il movimento rivendicativo del 15 M (il nome che ha assunto il movimento degli indignati apparso sulla scena il 15 maggio 2011 con l’occupazione di Puerta del Sol) cerca di dotarsi di strumenti volti ad ottenere la conquista di quote di potere istituzionale, provando un cambio del ciclo nel quale le classi subalterne non si accontentano più di protestare, ma cercano d’ora in poi di trasformare la loro narrazione in potere politico. Un settore della popolazione comincia a credere nuovamente nella possibilità di costruire una società egualitaria e democratica: la politica tradizionale è stata profanata dall’irruzione popolare.
In questo articolo cercheremo di rispondere brevemente a qualche domanda. Perché è nata Podemos? Da chi è stata lanciata? Quale è il rapporto tra Podemos e le identità della sinistra? Quali sono alcune caratteristiche del suo discorso politico, le forme e le modalità di organizzazione? Quali le sfide future? Senza dubbio ci sarebbero altri aspetti interessanti da scandagliare, ma vi invito a leggere questo articolo semplicemente come una riflessione incompiuta o un contributo al dibattito.

Dalla lettura di un momento alla creazione di un evento.
Rompendo con l’idea secondo la quale “bisogna accumulare le forze lentamente”, la nascita di Podemos corrisponde ad una visione che combina un’analisi “obiettiva” della congiuntura politica con una “soggettiva” di quest’ultima. Da una parte, la congiuntura traccia il cammino verso una possibilità politica: le lotte difensive del settore pubblico (sanità, educazione, …), il discredito delle organizzazioni sociali e politiche tradizionali, la burocratizzazione della sinistra istituzionale, la disaffezione e la collera di ampi settori della popolazione, la ricerca di uno sbocco politico alle mobilitazioni sono alcuni dei sintomi che indicano la possibilità di riuscita di un progetto come Podemos. D’altra parte, l’insieme di queste caratteristiche non conduce di per sé ad un cambiamento fondamentale dell’ordine politico. È importante sfruttare il momento per spingere alla costruzione di soggetti che producano eventi in funzione delle possibilità esistenti. Affinché la realtà cessi essere un puzzle e tutti i pezzi siano incastrati occorre cominciare a costruire il puzzle con i pezzi che sono a disposizione, anche se non è detto che tutti questi si incastrino.

Il lancio con le forze accumulate


 
Podemos fu lanciata da persone riunite attorno alla trasmissione televisiva di dibattito politico La Tuerca – di cui Pablo Iglesias è il volto principale – e da militanti di Izquierda Anticapitalista. Si sono incontrate due culture politiche differenti. La prima trae ispirazione dal processo in corso in America Latina, la sua ipotesi si fonda sulla possibilità di creare un’aggregazione popolare attorno ad una figura carismatica capace di far confluire le diverse espressioni del malcontento.
La seconda, di ispirazione “movimentista”, si fonda sulla volontà di costruire un’alternativa di rottura a partire dal basso e a sinistra. Essa è stata segnata dalle esperienze del 15M e delle maree ( le diverse maree sono caratterizzate dai loro colori diversi a seconda dell’espressione sociale dei movimenti, bianca per la sanità, verde per l’educazione, granata per coloro che sono stati espulsi dal lavoro…).
L’uso di una figura pubblica “forte”, conosciuta più per le sue apparizioni televisive che per il suo ruolo di dirigente di un movimento – come può essere Ada Colau 1– è stata e continua ad essere controversa. Ma, al di là dei dibattiti, bisogna riconoscere che, senza la figura di Pablo Iglesias, Podemos non sarebbe riuscita a superare la condizione di altre esperienze incapaci di aggregare strati popolari proiettandosi al di là degli spazi militanti già costituiti.
Mi riferisco a Pablo Iglesias come figura costruita per sottolineare un’innegabile successo: dietro questa figura, c’è una lettura che indica la necessità di costruirsi egualmente sul piano mediatico, visto il ruolo che giocano i “mass media” nella società attuale. Pablo Iglesias è il prodotto di questa strategia, e ben che le opportunità siano sempre contingenti, è bene saperne approfittare. Il merito è di colui che ha intravisto la possibilità di occupare uno spazio così come l’accumulazione di forze potenziali senza le quali non si sarebbe potuto occupare. Ed egli ha fatto in modo di trasformare questo potenziale in qualcosa di concreto.
La legittimità di Pablos Iglesias nel suo ruolo di direzione di Podemos proviene dal fatto che ha saputo costruire, tramite i “megafoni” mediatici, una via di comunicazione diretta con milioni di persone che si identificano con i problemi che egli solleva. Il dibattito non si sviluppa attorno alla necessità o meno di una direzione di questo tipo – che ha dimostrato di essere molto utile per dare impulso ad un ampio progetto fondato sull’auto – organizzazione popolare – ma piuttosto sulle modalità attraverso cui combinare questo modello di direzione mediatica con la cultura egualitaria, “proveniente dal basso” che è apparsa con il 15 M. Il tentativo, non privo di tensioni, di andare in questa direzione, ossia di riunire queste due sfere, spiega in buona parte il successo di Podemos. In questo ambito, restano da fare ancora molte esperienze.
D’altro canto, un settore della sinistra radicale (radicale nel senso che cerca delle risposte che vadano alla radice dei problemi endemici) è stata capace di mettere a disposizione le sue (modeste) forze militanti al servizio dall’apertura di uno spazio che non può essere controllato da organizzazioni qualsiasi. Sono forze che cercano di far confluire nuovi settori sociali al di là di posizioni politiche precostituite. Si tratta, in effetti, di mettere l’organizzazione a servizio del movimento, abbandonando l’idea che si “interviene dall’esterno” o di pensare che esistano campi politici fissi. Il compito consiste nel partecipare ad esperienze di massa, assumendone le contraddizioni e le forme che sono imposte più dai ritmi reali della situazione che da un lavoro paziente e organizzato. A più riprese questa situazione produce alcune tensioni tra i militanti fortemente ideologizzati e lo sviluppo politico di un movimento composto maggiormente da persone senza esperienza militante, i cui legami non si stabiliscono sovente sulla base dell’attività militante tradizionale. Questo rischio è reale e sempre presente in un movimento che, proprio per le sue caratteristiche, comprende forme multiple e variegate di legami tra i suoi membri, e allo stesso tempo diversi livelli di partecipazione.
È possibile che sia necessario un cambio di mentalità perché le/i militanti, oltre che essere dei “protagonisti” politici, vogliano egualmente mettersi in relazione con tutte le persone che si identificano con Podemos ma che non sono disposte ad impegnarsi più attivamente.

Porre al centro il “fare” prima dell’ “essere” per poter “essere” nuovamente.

In Europa, al contrario del passato, la sconfitta della sinistra tradizionale (caduta del muro di Berlino, adattamento della socialdemocrazia al neoliberalismo, impotenza della sinistra radicale) comporta la fine della simbologia “rossa” come elemento di identificazione del malcontento anticapitalista. Diventa centrale come elemento di ancoraggio quel che “bisogna fare” : esso sopravanza “quello che si è”. Per dirlo con le parole di Miguel Romero: “ è possibile e importante creare un’organizzazione politica la cui forza e unità si formino al di là dell’ideologia concentrandoci sulla definizione dei compiti politici centrali”.
Questo non significa affatto che questa priorità del “fare” sia d’impaccio alla ricostruzione di identità, anche perché in politica c’è sempre una tensione a relazionarsi con il passato, una forza che ci spinge ad agire che proviene da lontano, così come spiegava Walter Benjamin [nella sue Tesi di filosofia della storia del 1940]. Bisogna vedere l’impressionante recupero/trasformazione dei meeting (in ampi spazi pubblici, sovente all’aperto) come “teatro politico” che Podemos ha realizzato: i pugni alzati; Carlos Villarejo2 che ha citato Engels; Teresa Rodriguez (deputato europea di Podemos e membro di Izquierda Anticapitalista) che ha saluto i lavoratori locali in lotta; le canzoni militanti; o, ancora, Pablo Iglesias che ha evocato il meglio del movimento operaio.
Questa concezione del meeting come spazio vivente, performativo (cioè votato all’azione e partecipazione) condiziona l’evoluzione di Podemos sul piano dell’estetica e del discorso: in questo teatro di “tipo nuovo” – così come si sono trasformati i meeting di Pablo Iglesias e di altre figure pubbliche del movimento- il pubblico non solo osserva ammirato, ma agisce, preme, vive. Questa apertura di spazi votati all’espressione popolare – il che costituisce un grande merito di Podemos – ha permesso al popolo di sinistra di trovare un momento di riunione, ed ha inoltre obbligato la sinistra ad uscire dal suo letargo identitario. Podemos ha funzionato in questo equilibrio, teso e precario, permettendo al progetto di partire da sinistra, di aprire un nuovo campo al di là di questa identità, per poi ricomporre senza mai rinchiudersi. Essere di sinistra ritorna di moda: non è più qualcosa che si vive nella solitudine e con un simbolo attaccato all’occhiello.

Il gioco di concetti

Podemos ha raggiunto un equilibrio difficile per una forza di sinistra: apparire come il nuovo appoggiandosi sul passato per trarvi ispirazione. Due esempi ci permettono di illustrare questo aspetto : l’introduzione “dall’esterno” di un termine come “casta”; la contestazione dell’identità “socialista” del Psoe, uno dei pilastri del regime costituzionale del 1978.
L’introduzione del termine “casta” chiarisce la potenza discorsiva di Podemos. Si tratta di un concetto sufficientemente ambivalente e sibillino tale da poter indicare un asse antagonista, in un contesto in cui i responsabili del disastro sociale si mostrano invisibili o strettamente individualizzati. Tradizionalmente, nella teoria politica di matrice marxista, il termine “casta” è stato utilizzato in riferimento a quegli strati di popolazione il cui potere derivava dalla loro relazione con lo Stato, mentre il termine “classe” era legato alla posizione rispetto ai mezzi e ai rapporti di produzione e di proprietà. Il termine “casta” può essere l’espressione della fusione tra potere economico e gli apparati dello Stato tipica del periodo neoliberale; fusione prodotta dall’invasione finanziaria nel campo dell’amministrazione statale che, nel corso del periodo del “Welfare”, riproduceva le conquiste sociale della classe lavoratrice. Il termine “casta” si trasforma in una rappresentazione, semplice e diretta, dei responsabili economici e politici della miseria, della fusione tra i poteri pubblici e privati. Questo termine potrebbe tradursi con un sinonimo, la “borghesia”, il termine indicato dal movimento operaio.
La capacità del termine “casta” di simbolizzare la fusione tra i poteri economici e politici ha una sua base materiale nel movimento reale: questo ci riporta allo slogan che lanciò il 15M quando ricordava che “noi non siamo delle merci nelle mani dei politicanti e dei banchieri”.
Il termine così ambiguo come quello di “casta”, senza queste esperienze collettive passate, si sarebbe potuto trasformare in una rappresentazione falsa di tutti i mali, un ricorso populista che occulta le responsabilità autentiche della crisi, così come è avvenuto in Italia dove la punta avanza della lotta contro la “casta” è rappresentata del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, che alla fine ha formato un gruppo parlamentare con l’Ukip (il partito di estrema destra che ha vinto le ultime elezioni europee in Gran Bretagna) al parlamento europeo. Questo accordo è stato approvato, secondo la forma classica propria del M5s, attraverso una consultazione telematica.
Questo non discredita il referendum telematico (senza dubbio tra gli strumenti più utili capace di amplificare la partecipazione popolare3), né l’uso del termine “casta”, ma ci ricorda che sono i processi sociali collettivi che detengono il peso decisivo. Sono essi che definiscono il significato di un termine e determinano l’uso in un senso o nell’altro dei meccanismi di partecipazione online.
Non bisogna dimenticare che la sfida tra i termini “la casta” e “la gente” si produce nel quadro di relazioni strutturali di dominio e di sfruttamento capitalistici: la “casta” è sfruttatrice, ma si mantiene e si riproduce in un quadro sistemico. È l’azione politica della “gente” che può sloggiare “ la casta”, non solo per rimpiazzarla con un nuovo ceto di governanti “più giusto”, ma anche per disarticolare questi rapporti (le relazioni tra l’essere umano e il l’ambiente fondati sulla rapina, l’espropriazione da parte di qualcuno della ricchezza prodotta dal lavoro, delle relazioni d’oppressione eteropatriarcali) che determinano la vita sociale.
La forza di Podemos risiede nel fatto che il concetto non è distaccato dall’azione reale, e questo può permettere di legare la lotta contro la “casta” alla possibilità di superamento delle strutture e dei rapporti che permettono e condizionano la riproduzione della “casta”. In seno a questo processo di lotta appaiono degli elementi di auto – organizzazione popolare, di nuove relazioni sociale che rimettono in questione quelle imposte dalla società capitalista: la lotta contro la “casta” si forgia nella cooperazione e nel dibattito, all’opposto di ciò che produce il neoliberalismo con la messa in concorrenza, l’isolamento sociale e la solitudine.
D’altro canto, Podemos ha avuto l’audacia (legata alla possibilità apertasi a seguito della fragilità delle fedeltà politiche stabilite dal regime del 1978) di contestare le basi sociali del Psoe. Il Psoe ha funzionato nel corso degli ultimi decenni come la principale forza “partitaria” di integrazione delle classi subalterne allo Stato spagnolo, un ruolo fortemente legato alla sua subordinazione e alla fusione con gli apparati statali. I meccanismi di questa integrazione sono stati molteplici. Occorre sottolineare i suoi legami con i sindacati tramite una politica di riforme destinata stimolare un modello economico gli aiuti europei (Ue) in cambio della desindustrializzazione del paese. Il debito serviva da strumento di compensazione della stagnazione salaria. Sulla scia operava una finanziarizzazione del sistema produttivo. Il crollo di questo modello, a partire dalla crisi del 2008, ha eroso fortemente il ruolo di riferimento sociale per tutti quei settori della classe lavoratrice che considerava una volta il Psoe come il minor male rispetto alla destra. Podemos ha saputo riappropriarsi del termine “socialista” per posizionarsi come alternativa di fronte alle rovine lasciate dal “marchio di origine”, giocando anche in termini discorsivi appoggiandosi su dati aleatori: il dirigente di Podemos e il fondatore del Psoe sono omonimi (Pablo Iglesias, 1850 – 1925, fu anche dirigente dell’Ugt). Podemos ha quindi accusato il Psoe di abbandonare i suoi obiettivi fondatori e ha fatto appello al loro recupero nel quadro della costruzione di un nuovo soggetto politico. I socialisti possono così ritrovare la fierezza di esserlo, ma al di fuori del Psoe, percepito come caduco e in via di decomposizione.
Se noi comprendiamo il “senso comune” così come l’ha concepito Gramsci, ossia come sintesi tra l’ideologia della classe dominante e le conquiste contro – egemoniche dei subalterni nella loro lotta contro l’ideologia dominante, non c’è alcun dubbio che l’ambivalenza discorsiva di Podemos permette di raccogliere una buona parte del capitale storico accumulato tanto quanto dalle lotte quanto dalla storia del movimento degli oppressi. Ma questa ambivalenza – così indispensabile e utile in un processo di aggregazione popolare di massa – dovrà egualmente fare fronte ad alcune sfide dettate dall’agenda politica dominante. Un’agenda, non dimentichiamolo, che continua ad essere segnata da fatti estranei alle azioni di Podemos, anche se quest’ultimo costituisce già un elemento dell’equazione. Cosa succederà il giorno della consultazione catalana (prevista il 9 novembre 2014) ? il senso comune che domina una grande parte – ossia la maggioranza – di coloro che si identificano con Podemos non li spinge nel solco di un sostegno al diritto dei Catalani di decidere (l’indipendenza), anche se alcuni dirigenti di Podemos hanno difeso il diritto di decisione dei Catalani. Tanto pedagogia e tanto coraggio sarebbero necessari perché non si imponga in Spagna il senso comune dominante, ossia quello dell’unità della Spagna. Podemos ha almeno aperto alla possibilità di risolvere questa situazione in modo democratico.

Non si inventano le forme.

La sinistra ha tentato di integrare le persone nelle proprie strutture piuttosto che andare verso le strutture che “generano” la gente, e questa è una delle caratteristiche dei periodi di riflusso. Questo è da un certo punto di vista comprensibile. Se non ci sono movimenti, non si sono luoghi dove andare, cosa che favorisce il ripiegamento e l’isolamento. È la ragione per cui gli attacchi gratuiti, così alla moda in certi ambienti, contro la sinistra che ha resistito a tutta l’ondata neoliberale che ha preceduto il 15 M sono sovente poco materialisti e ingiusti. La tragedia non risiede in questa resistenza che merita rispetto. La tragedia si produce piuttosto quando c’è un cambiamento d’epoca, quando un movimento emerge nella storia. I tentativi di non scomparire nei periodi di riflusso o di crisi dei movimenti si concretizzano sovente in forme burocratiche, perché senza la pressione dal basso, sono le istituzioni dominanti che fanno pressione a partire dall’alto. È così che le organizzazioni tradizionali di sinistra hanno la tendenza a trasformarsi in apparati conservatori per la pressione generata dal legame con gli apparati dello Stato e le dinamiche di resistenza fondate unicamente su una logica elettoralista.
Quando il movimento popolare irrompe nuovamente, la routine è rimessa in questione. La marea del 15 M fu precisamente quest’irruzione del movimento, dopo il deserto e l’apatia neoliberale, con il ritorno del collettivo, con la creazione di forme organizzative che rispondevano ai problemi della maggioranza della popolazione, alla realtà quotidiana delle persone. Emmanuel Rodriguez descrive perfettamente, nella sua opera Hipotesis Decmoracia, le forme che propone (e impone) il movimento 15 M: “ ampio, assembleare, senza strutture determinate, nella piazza e in rete. Spontaneamente, la sua forma si adatta a quella di un movimento costituente nel quale può partecipare chiunque. Le assemblee sono aperte e può parteciparvi chi lo desidera”.
La forza di Podemos consiste nel fatto che tenta di imporre delle forme, ma permette di riprendere quelle che sono state sperimentate nelle piazze, aprendo spazi di partecipazioni alle persone. Ciò spiega la capacità di Podemos di “addizionare”: non si esige alle persone di integrarsi una struttura predefinita, ma viene loro offerto uno spazio da configurarsi. Questo differenzia Podemos dal resto delle organizzazioni politiche. Con Podemos, parleremmo piuttosto di auto – organizzazione, di un “fai da te” opposto al modello delle organizzazioni politiche della sinistra tradizionale dove la relazione tra militante e struttura è già prefigurata.
Questo grande vantaggio non è esente da problemi. I problemi più immediati sono provocati dalla necessità di configurare strutture proprie, operative nella pratica, capaci di adattarsi ai tempi imposti dalla vita quotidiana. La sfida consiste nell’adattare la partecipazione alla vita e non la vita alla partecipazione. Per questo, la definizione di strutture per essere utile perché non si perda tutta ad un tratto l’impulso democratico dopo il momento di euforia iniziale. Bisognerà esaminare se la costruzione di queste strutture sarà capace di penetrare dal basso verso l’alto, senza perdere di vista quello che si muove ai margini, producendo meccanismi di controllo e di decisione che attraversino tutto lo spazio di Podemos. Il nuovo periodo, nel quale Podemos sarà legata alle istituzioni ( e alle sue “ricompense” materiali), si situa in un scenario che può accelerare processi di burocratizzazione in mancanza di un forte controllo della base, di un’elaborazione dei canali che fluiscano dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Non si tratta di liquidare la capacità di decisione dei luoghi di esecuzione, quanto piuttosto di creare la possibilità di elezione e di controllo da parte delle assemblee, introducendo i principi della rotazione e della revocabilità, cercando un equilibrio tra l’autonomia dei circoli e l’insieme del progetto4. Il discorso di Podemos insiste molto sulla partecipazione il controllo democratico, con l’obiettivo di modificare la logica della rappresentanza: tocca creare le condizioni che sono state descritte.
Non bisogna nascondere le tensioni che possono nascere in uno spazio così eterogeneo come quello di Podemos. Queste possono essere “gestite” solamente se si produce un quadro stabile, sempre aperto e sufficientemente forte per poter generare una nuova cultura politica che permetta di canalizzare la discussione in strutture democratiche, sorte dalla base, permeabili alla società. Questi meccanismi non devono essere paralizzanti perché hanno come obiettivo la battaglia politica contro le classi dominanti. Ma devono al contempo integrare ciò che differenzia Podemos dalla semplice efficacia tecnocratica.
Una delle grandi differenze di Podemos rispetto alle altre formazioni risiede nel fatto che i meccanismi che legano le persone permettono di decidere, di fornire la propria opinione sempre nel tentativo di dare soluzioni ai dibattiti politici. È la ragione per cui – al di là dello slancio generato dall’esperienza iniziale – diventa necessaria una nuova cultura che rompa con la vecchia politica basata sulle famiglie politiche, le reti informali o le riunioni di corridoio. Queste strutture non possono costituirsi se non quando il potere (che in ultima istanza è una finzione, un accordo consensuale che tutte le parti accettano) emana da strutture visibili, trasparenti, fondate su regole chiare e semplici. Questo tipo di meccanismo è il più utile per produrre un’identità comune basata sul “fare politico”, l’appartenenza al progetto, il suo carattere non escludente, al di là delle sigle passate, dei gruppi di affinità o semplicemente della non affiliazione identitaria. Si tratta della sfida interna più importante che ha di fronte Podemos: passare dall’aggregazione avvenuta sull’onda dell’entusiasmo alla politica giorno per giorno senza perdere in vitalità, energia, emozione, democrazia. Sarà difficile ma non impossibile.

La sfida è vincere.

Una delle grandi scommesse di Podemos è rompere con la dicotomia tra il processo elettorale e quello di lotta e di auto – organizzazione. Nel corso del processo che ha preceduto le elezioni europee del 25 maggio, Podemos ha costruito un movimento politico elettorale di massa che aveva come vocazione la continuità, in un contesto nel quale le mobilitazioni di piazza stavano rifluendo con l’eccezione della ripresa delle Marce della dignità del 22 marzo.
Da un lato, questo “processo costituente” non sarebbe stato possibile senza l’accumulazione di forze proveniente dalle molteplici mobilitazioni precedenti che segnano sempre la coscienza nelle fasi susseguenti. Ma è al contempo certo che Podemos ha usato le elezioni per rinnovare il campo politico. Per la prima volta, la battaglia elettorale non è stata intrapresa come una “guerra di posizione” con le forze accumulate, ma come una “guerra di movimento” rapida, avente come obiettivo quello di raggruppare nuovi settori sociali non legati all’accumulazione di forze scaturita dalle precedenti mobilitazioni. È l’uso dei processi elettorali che ha fatto nascere i circoli che hanno vissuto e agito durante la campagna elettorale come gli attori di una mobilitazione: mentre cercavano di raccogliere voti aprivano al contempo spazi di auto – organizzazione popolare.
Podemos è nato con un orizzonte concreto: sloggiare i partiti del regime delle istituzioni. Ma questo non significa necessariamente “vincere”. Vincere è poter governare, anche più, è dotare le classi popolari di meccanismi di auto – governo nel momento in cui si sbarazza del potere delle classi dominanti, smantellando i loro meccanismi di dominio. Questo non si realizza per decreto, né dall’oggi al domani, si tratta di un processo che, nel contesto storico attuale, non può che essere iniziato che tramite una vittoria elettorale. Podemos deve prepararsi, affrontando le campagne elettorali con un profilo offensivo mentre, parallelamente, deve rendersi disponibile ad esaminare la questione del governo al di là di un semplice discorso. Qualcuno dubita che il programma di Podemos incontrerà delle resistenze proveniente dal capitale finanziario internazionale, dalle grandi imprese o dalla casta legata agli apparati dello Stato? Come governare i municipi indebitati dalle politiche neoliberali? Come opporsi alla fuga dei capitali, reazione più che probabile di fronte all’implemento di una fiscalità fortemente progressiva? È necessario costruire dei poteri popolari pronti a resistere alla pressione che si scatenerò in caso di vittoria elettorale. Non sarà sufficiente contrastare le minacce catastrofiste dei grandi media con smentite verbali: il miglior modo per combatterli sarà un popolo che ha fiducia in se stesso, pronto ad esercitare il potere.
I circoli di Podemos sono uno degli spazi indispensabili per affrontare questo compito. Bisogna, tuttavia, precisare che i circoli non sono dei meccanismi di potere popolare: sono degli strumenti, anche se rappresentano un di più in vista della costruzione di questo potere popolare al servizio di un governo delle cittadine e dei cittadini. Si tratta di mantenere rapporti costanti e stretti con le persone del quartiere, dei luoghi di lavoro e di studio, evitando di limitarsi alle consultazioni via internet, tanto utili e indispensabili per facilitare i meccanismi di decisione, ma incapaci di costruire una politica “calda” che si appoggia sulla deliberazione collettiva e la costruzione di comunità radicate nella vita quotidiana dei territori.
Si tratta di combinare il virtuale con la presenza sul territorio, utilizzando tutti gli strumenti a disposizione per costruire, legare e suscitare la partecipazione della maggioranza sociale. Questo non significa affatto che i circoli prendano tutte le decisioni riguardo a Podemos, ma che debbano partecipare all’elaborazione delle questioni presentate dalla popolazione, per evitare che siano pochi a fornire le possibili risposte. È solo in questo modo che i circoli si trasformeranno in spazi aperti, permeabili alla sensibilità e ai problemi di coloro che stanno in basso.
I circoli possono egualmente costituire il legame tra il capitale accumulato in seno alla società civile e alle istituzioni. I compiti sono concreti: discutere con le organizzazioni sociali non solamente per solidarizzare con loro, ma per raccogliere le loro esperienze di fronte all’elaborazione di un’alternativa di governo -le maree bianche (sanità) o verdi (istruzione) o la Pah ( Piattaforma contro gli sfratti) hanno accumulato un’esperienza preziosa che dovrebbe servire di base per alcune politiche pubbliche al servizio dell’insieme della società; tessere legami tra le forze vive dei quartieri e delle città; rendere visibili i problemi ignorati dalle autorità; trasformarsi in un luogo di incontro aperto a tutti gli abitanti; essere strumenti per la formazione politica dei cittadini che hanno bisogno di apprendere insieme a governare se stessi…. .

Ogni movimento di trasformazione possiede più piedi. L’elezione è uno di essi. Gli attivisti ne sono un altro. Senza dubbio, i portavoce e le figure pubbliche ne rappresentano un altro, indispensabile. Abbiamo parlato di elezioni, di strumenti discorsivi, di come usare l’energia militante per costruire un potere popolare.
Resta, tuttavia, un quarto piede per potersi muovere: le persone “invisibili”, coloro che vivono ai margini di questa espressione della vita pubblica che è la politica. Per questo è necessario comprendere Podemos come un campo fluido, lontano dalla rigidità della politica tradizionale, che concepisce soltanto la costruzione di soggetti sulla base di espressioni visibili. Ci resta la sfida immensa di essere la speranza di coloro che non credono in niente, di coloro che vivono ai margini dell’esercizio della politica, di essere la speranza di quelli che vivono con disincanto. Questa potenza sociale non si esprimerà fino a quando una forza politica come Podemos dimostrerà che non li deluderà. La sfida più grande di Podemos è di creare fiducia in un mondo pieno di sospetti, dove tutto è fallito e dove non resta nulla di credibile. Perché, se Podemos non genererà questa fiducia, potranno sorgere mostri, pulsioni totalitarie, falsi idoli. Spetta a tutte e a tutti di essere all’altezza.

Di Brais Fernandez, militante di Izquierda anticapitalista e attivista in Podemos.tradotto da A l’Encontre, ripreso da viento sur

1 Già porta parola di Pah, movimento che si oppone agli sfratti, che è diventata “figura” di rigerimento dei movimenti sociali. Recentemente ha lanciato la proposta di un raggruppamento di movimenti e di organizzazioni – compresa Podemos – per presentarsi alle elezioni municipali di Barcellona che si terranno nel maggio 2015. Questa iniziativa ha preso il nome di Guanyem Barcelona (Red. A l’Encontre).
2 Nato nel 1935, attivista antifranchista nonché magistrato sotto la dittatura, procuratore anticorruzione tra il 1995 e il 2003, è risultato uno dei 5 eletti al parlamento europeo di Podemos, posto che ha poi lasciato, come aveva annunciato a Tania Gonzalez, arrivata sesta all’interno della lista di Podemos (A l’Encontre).
3 Podemos ha utilizzato il referendum online durante le primarie per la scelta dei candidati alle elezioni europee del 15 maggio, così come per l’approvazione della direzione che guiderà Podemos in condizioni problematiche fino all’assemblea costituente che si terrà in autunno (A l’Encontre).
4 Podemos consta, oltre alcuni “circoli tematici”, di 507 circoli ripartiti in tutto lo Stato spagnolo, più una decina al di fuori dello Stato spagnolo. (A l’Encontre).

Nessun commento: