Il
presidente Napolitano è intervenuto nel dibattito sul finanziamento
pubblico dei partiti sollecitando una sua rapida regolamentazione. I
toni usati dal presidente sono accorati: «Tra il rifiutare i partiti e
il rifiutare la politica, l’estraniarsi con disgusto dalla politica, il
passo non è lungo: ed è fatale, perché conduce alla fine della
democrazia e quindi della libertà». Napolitano ha ragione sul rischio
che la democrazia corre nel nostro paese. Bisogna, tuttavia, chiedersi
se il suo intervento preso nel turbinio di un dibattito mistificatorio
possa realmente sortire gli effetti che egli auspica, specialmente se si
tiene conto di una sua imprecisione. Ciò che con una approssimazione
modaiola si usa definire come “antipolitica” è in realtà un fenomeno di
patologia politica (come lo è stato il fascismo): la politica intesa
come esercizio del potere che non tiene conto delle regole di
rappresentanza.
Rifiutare i partiti significa deformare la politica piuttosto che rigettarla, affidare il governo della polis a regimi autoritari che ottengono, con le buone o con le cattive, un consenso uniforme, di “massa” che trasforma i cittadini in sudditi da manipolare secondo le convenienze. Non è il cattivo funzionamento dei partiti che corrompe la politica. Questo lo può pensare chi si accontenta di letture a buon mercato, che attribuiscono la crisi politica alla “casta” dei politici. Quando i partiti non funzionano la politica è già ammalata. La malattia è squisitamente psicologica e si chiama qualunquismo. Le ragioni del qualunquismo sono molte ma si possono ridurre, senza tradire la loro complessità, a due: l’incapacità di elaborare il vissuto di perdita che accompagna le grandi trasformazioni sociali e il sentirsi minacciati dal proprio desiderio nei confronti di ciò che è culturalmente e/o socialmente diverso.
I legami con il passato e con il futuro si restringono e si vive nel presente nel nome di un passato idealizzato (spesso inventato) che tornerà a rivivere, basta solo aver fede. La fede diventa l’alibi dell’opportunismo e l’opportunismo dà consistenza fittizia alla fede. Il quadro corrisponde bene al leghismo ma solo perché la Lega rappresenta la quintessenza del qualunquismo.
Lo scandalo di corruzione finanziaria in cui immersa la Lega è poca cosa rispetto alla corruzione delle coscienze che l’ha fatta nascere. Non è un caso che berlusconismo e leghismo sono nati nel Nord e hanno prosperato grazie all’alleanza con il malaffare del Sud. Una nazione democratica si regge sui legami di desiderio tra le differenze di cui è fatta e sulle relazioni di scambio nel suo interno e con le altre nazioni. Non avere risolto la questione meridionale ha minato profondamente il nostro comune essere, ha favorito la sostituzione dello scambio tra Nord e Sud con le ragioni del contrabbando. Dove si alzano gli steccati prosperano i contrabbandieri.
Tra i vari traffici trova terreno fertile anche il contrabbando delle soluzioni facili, delle menzogne che piuttosto che affermare il falso galleggiano in superficie lontano dalla verità. Invocare la riforma dei partiti, come fa Napolitano, è legittimo; criticare la rappresentanza dei diritti nel nome della democrazia dei sondaggi (che promuovono risposte umorali), come fa Monti, è qualunquismo. Tra i due discorsi c’è una contraddizione che andrebbe colta.
Rifiutare i partiti significa deformare la politica piuttosto che rigettarla, affidare il governo della polis a regimi autoritari che ottengono, con le buone o con le cattive, un consenso uniforme, di “massa” che trasforma i cittadini in sudditi da manipolare secondo le convenienze. Non è il cattivo funzionamento dei partiti che corrompe la politica. Questo lo può pensare chi si accontenta di letture a buon mercato, che attribuiscono la crisi politica alla “casta” dei politici. Quando i partiti non funzionano la politica è già ammalata. La malattia è squisitamente psicologica e si chiama qualunquismo. Le ragioni del qualunquismo sono molte ma si possono ridurre, senza tradire la loro complessità, a due: l’incapacità di elaborare il vissuto di perdita che accompagna le grandi trasformazioni sociali e il sentirsi minacciati dal proprio desiderio nei confronti di ciò che è culturalmente e/o socialmente diverso.
I legami con il passato e con il futuro si restringono e si vive nel presente nel nome di un passato idealizzato (spesso inventato) che tornerà a rivivere, basta solo aver fede. La fede diventa l’alibi dell’opportunismo e l’opportunismo dà consistenza fittizia alla fede. Il quadro corrisponde bene al leghismo ma solo perché la Lega rappresenta la quintessenza del qualunquismo.
Lo scandalo di corruzione finanziaria in cui immersa la Lega è poca cosa rispetto alla corruzione delle coscienze che l’ha fatta nascere. Non è un caso che berlusconismo e leghismo sono nati nel Nord e hanno prosperato grazie all’alleanza con il malaffare del Sud. Una nazione democratica si regge sui legami di desiderio tra le differenze di cui è fatta e sulle relazioni di scambio nel suo interno e con le altre nazioni. Non avere risolto la questione meridionale ha minato profondamente il nostro comune essere, ha favorito la sostituzione dello scambio tra Nord e Sud con le ragioni del contrabbando. Dove si alzano gli steccati prosperano i contrabbandieri.
Tra i vari traffici trova terreno fertile anche il contrabbando delle soluzioni facili, delle menzogne che piuttosto che affermare il falso galleggiano in superficie lontano dalla verità. Invocare la riforma dei partiti, come fa Napolitano, è legittimo; criticare la rappresentanza dei diritti nel nome della democrazia dei sondaggi (che promuovono risposte umorali), come fa Monti, è qualunquismo. Tra i due discorsi c’è una contraddizione che andrebbe colta.
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