L’Europa, si sa, è nata con un’operazione e un’otticaessenzialmente economica,
ma che guardava più lontano. Infatti mettere in comune le risorse di
carbone ed acciaio con la creazione della Ceca nel 1953, ha voluto anche
significare mettersi alle spalle quasi un secolo di guerre fra Germania
e Francia per il controllo di tali risorse.
Benefici ne abbiamo tratto tutti, per un periodo abbastanza lungo che però ha coinciso con i cosiddetti “trenta gloriosi”, dal 1945 al 1975. Poi il progetto europeo ha cominciato a battere in testa, per la sua subalternità agli interessi e alle decisioni delle classi dominanti.
Una bella definizione di capitalismo l’ho letta recentemente su di un bel libro di Guido Carandini, Racconti della civiltà capitalista, Laterza, Bari,2012, a p. 24: “il fine sociale che caratterizza la produzione nella società capitalista non è direttamente il consumo, ma piuttosto il guadagno sistematico e reiterato ai fini dell’accumulazione della ricchezza. La soddisfazione dei bisogni viene in secondo ordine, cioè non è più il fine principale ma, eventualmente un mezzo per stimolare il processo dell’accumulazione e offrirgli sempre maggiori sbocchi” (corsivi originali).
L’avvento e la resistibile ascesa del capitale finanziario hanno ovviamente costituito un’accelerazione e un potenziamento dello snaturamento economico e sociale indotto dal capitalismo, venendo fra l’altro a cozzare contro l’ordinamento giuridico internazionale esistente e i suoi principi fondamentali come ho scritto nel saggio “Capitalismo finanziario e diritto internazionale: una partita aperta” pubblicato in Il diritto contro la crisi: analisi e proposte, (Roma, Aracne,2012). E’ infatti evidente la contraddizione tra un ordinamento che si propone il soddisfacimento dei diritti umani e un sistema economico e sociale che tale soddisfacimento ritiene solo alla stregua di possibile effetto collaterale del tutto eventuale.
L’Europa è in crisi proprio per effetto di tale ascesa. E’ anzi divenuta ostaggio del capitalismo finanziario cui ha saputo opporre ben deboli anticorpi, tramutandosi, ancora più degli Stati Uniti, nel laboratorio del neoliberismo più esasperatamente monetarista.
Contrariamente a quanto pensano gli stupidotti disinformati e un po’ razzisti sempre pronti a dare la colpa al popolo mediterraneo spendaccione, nessuno Stato europeo è oggi esente dalla minaccia del potere finanziario. E la spada di Damocle dei “mercati” è sempre lì, a condizionare ogni possibile mutamento politico, come si vede oggi con la reazione alla vittoria di François Hollande al primo turno delle presidenziali francesi.
Né lo è ovviamente l’Europa nel suo complesso, costruzione ancora fragile e in buona misura artificiosa. Come scrive Claudio de Fiores sul manifesto di domenica, “ciò che negli anni scorsi è stato definito ‘processo costituente europeo’ altro non è stato che un espediente retorico”.
Ecco perché oggi la salvezza dell’Europa è legata al recupero delle sue radici culturali comuni vere. Quelle storiche e reali della Rivoluzione francese: libertà, fraternità ed uguaglianza, lette nella loro reciproca e stretta connessione.
Uguaglianza soprattutto. Ora che, per effetto dei processi di finanziarizzazione, si approfondiscono le disparità e le ingiustizie, bisogna riportare in auge questa idea che è la base di ogni vera democrazia, come hanno argomentato Gianni Ferrara e Pierre Rosanvallon.
Come ci dimostrano le elezioni francesi, o trionfa questo ideale di uguaglianza oppure vincerà la destra peggiore. O si riprendono le redini del capitalismo finanziario selvaggio oppure la gente, terrorizzata e sfiduciata, sarà pronta ad avallare le peggiori avventure. Ricordiamo che dalla crisi del 1929 nacquero il nazismo e la guerra.
A tale proposito, l’affermazione di Jean-Luc Mélenchon, che ha preso comunque quattro milioni di voti e l’11%, non è poi così male, anche perché dimostra la possibilità di un’inversione di tendenza rispetto a quella alla polverizzazione che ha contrassegnato finora la sinistra. Condivido l’analisi svolta in merito da Gennaro Carotenuto.
E in Italia? Speriamo che i leader della nostra sinistra e dello schieramento alternativo (includendo Grillo e ovviamente Di Pietro), abbandonando personalismi, narcisismi e puzze sotto al naso, si mettano finalmente a lavorare insieme per il bene comune. A partire da una bella imposta patrimoniale e dalla tassazione al cento per cento dei redditi superiori a una data cifra.
Benefici ne abbiamo tratto tutti, per un periodo abbastanza lungo che però ha coinciso con i cosiddetti “trenta gloriosi”, dal 1945 al 1975. Poi il progetto europeo ha cominciato a battere in testa, per la sua subalternità agli interessi e alle decisioni delle classi dominanti.
Una bella definizione di capitalismo l’ho letta recentemente su di un bel libro di Guido Carandini, Racconti della civiltà capitalista, Laterza, Bari,2012, a p. 24: “il fine sociale che caratterizza la produzione nella società capitalista non è direttamente il consumo, ma piuttosto il guadagno sistematico e reiterato ai fini dell’accumulazione della ricchezza. La soddisfazione dei bisogni viene in secondo ordine, cioè non è più il fine principale ma, eventualmente un mezzo per stimolare il processo dell’accumulazione e offrirgli sempre maggiori sbocchi” (corsivi originali).
L’avvento e la resistibile ascesa del capitale finanziario hanno ovviamente costituito un’accelerazione e un potenziamento dello snaturamento economico e sociale indotto dal capitalismo, venendo fra l’altro a cozzare contro l’ordinamento giuridico internazionale esistente e i suoi principi fondamentali come ho scritto nel saggio “Capitalismo finanziario e diritto internazionale: una partita aperta” pubblicato in Il diritto contro la crisi: analisi e proposte, (Roma, Aracne,2012). E’ infatti evidente la contraddizione tra un ordinamento che si propone il soddisfacimento dei diritti umani e un sistema economico e sociale che tale soddisfacimento ritiene solo alla stregua di possibile effetto collaterale del tutto eventuale.
L’Europa è in crisi proprio per effetto di tale ascesa. E’ anzi divenuta ostaggio del capitalismo finanziario cui ha saputo opporre ben deboli anticorpi, tramutandosi, ancora più degli Stati Uniti, nel laboratorio del neoliberismo più esasperatamente monetarista.
Contrariamente a quanto pensano gli stupidotti disinformati e un po’ razzisti sempre pronti a dare la colpa al popolo mediterraneo spendaccione, nessuno Stato europeo è oggi esente dalla minaccia del potere finanziario. E la spada di Damocle dei “mercati” è sempre lì, a condizionare ogni possibile mutamento politico, come si vede oggi con la reazione alla vittoria di François Hollande al primo turno delle presidenziali francesi.
Né lo è ovviamente l’Europa nel suo complesso, costruzione ancora fragile e in buona misura artificiosa. Come scrive Claudio de Fiores sul manifesto di domenica, “ciò che negli anni scorsi è stato definito ‘processo costituente europeo’ altro non è stato che un espediente retorico”.
Ecco perché oggi la salvezza dell’Europa è legata al recupero delle sue radici culturali comuni vere. Quelle storiche e reali della Rivoluzione francese: libertà, fraternità ed uguaglianza, lette nella loro reciproca e stretta connessione.
Uguaglianza soprattutto. Ora che, per effetto dei processi di finanziarizzazione, si approfondiscono le disparità e le ingiustizie, bisogna riportare in auge questa idea che è la base di ogni vera democrazia, come hanno argomentato Gianni Ferrara e Pierre Rosanvallon.
Come ci dimostrano le elezioni francesi, o trionfa questo ideale di uguaglianza oppure vincerà la destra peggiore. O si riprendono le redini del capitalismo finanziario selvaggio oppure la gente, terrorizzata e sfiduciata, sarà pronta ad avallare le peggiori avventure. Ricordiamo che dalla crisi del 1929 nacquero il nazismo e la guerra.
A tale proposito, l’affermazione di Jean-Luc Mélenchon, che ha preso comunque quattro milioni di voti e l’11%, non è poi così male, anche perché dimostra la possibilità di un’inversione di tendenza rispetto a quella alla polverizzazione che ha contrassegnato finora la sinistra. Condivido l’analisi svolta in merito da Gennaro Carotenuto.
E in Italia? Speriamo che i leader della nostra sinistra e dello schieramento alternativo (includendo Grillo e ovviamente Di Pietro), abbandonando personalismi, narcisismi e puzze sotto al naso, si mettano finalmente a lavorare insieme per il bene comune. A partire da una bella imposta patrimoniale e dalla tassazione al cento per cento dei redditi superiori a una data cifra.
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