Se ben ricordo, il governo Monti nelle sue prime settimane registrò un
successo che apparve straordinario: il famoso spread subì un calo
significativo. Sembrava l’assicurazione di essere sulla buona strada, ma
proprio in queste settimane lo spread è tornato a salire, mettendo in
seria difficoltà il governo. Se lo spread torna a salire vuol dire che
siamo al punto di prima. In effetti lo spread era sceso non per
interventi del governo, ma perché la Banca Centrale Europea aveva fatto
congrui acquisti di titoli di stato e, soprattutto, aveva rifinanziato
in modo sostanzioso le banche italiane con prestiti triennali all’1% di
interesse. Bene, oggi siamo al punto di prima e bisogna assolutamente
frenare la crescita dello spread , anzi ridurlo.
Come? Sul Corsera del 14 aprile Lamberto Dini e Natale D’Amico propongono le «dismissioni di beni di proprietà pubblica che azzeri il ricorso al mercato del Tesoro anche nei due anni che sono innanzi a noi». In effetti Dini e D’Amico propongono la ripetizione delle privatizzazioni realizzate negli anni ’90, che ridussero il debito di 10 punti rispetto al Pil, abbassandolo in circa cinque anni da 117 al 107 per cento, ma nel decennio successivo il debito è tornato al 118 per cento. In questa situazione c’è più di un dubbio sulla proposta di tornare alle dismissioni, che ridurrebbero il patrimonio dello stato, e quindi anche la possibilità di fronteggiare nuovi aumenti dello spread, come sta avvenendo in questi giorni. In questa situazione forse sarebbe più ragionevole e sicuro ricorrere alla famosa imposta patrimoniale straordinaria, della quale si era parlato all’inizio del governo «tecnico», ma che ora è proposta solo dalla Cgil. A questo punto è inevitabile andarsi a rivedere quel che su questa imposta scrisse Luigi Einaudi.
«L’imposta straordinaria sul patrimonio dice al contribuente: vivi sicuro e fidente. Io vengo fuori a intervalli rarissimi, dopo una grande guerra, nel 1920 e poi, forse, nel 1946 per mettere una pietra tombale sul passato e liquidare il grosso delle spese derivanti dalla guerra. Per l’avvenire tu pagherai solo le imposte ordinarie che tu stesso, per mezzo dei tuoi mandatari avrai deliberato per far fronte alle spese correnti dello Stato». La crisi che colpisce in questo 2012 ha fatto e fa più danni di una guerra.
A questo va aggiunto che, come documenta la Banca d’Italia e non un qualsiasi estremista, la ricchezza è straordinariamente concentrata e un’imposta patrimoniale straordinaria (sottolineo straordinaria) dovrebbe colpire soltanto l’area dei grandi ricchi, che dopo essersi arricchiti ai danni del paese potrebbero (dovrebbero) contribuire al suo risanamento.
Ma di patrimoniale non se ne parla più. Ma gli altri: il Pd e le altre forze politiche che si dicono di sinistra anche loro fanno finta di non sentire? Forse allora bisogna dar ragione a Francesco Giavazzi, che ha scritto un’ottima e brillante prefazione al saggio di Einaudi, quando scrive che questa straordinaria patrimoniale è improponibile perché «questi governanti hanno perduto la fiducia dei contribuenti. Non la riguadagneranno con una patrimoniale, il cui beneficio oggi farebbe la fine delle privatizzazioni degli anni Novanta». Giavazzi scriveva queste parole nel 2011, quando c’era un altro governo. Ma il giudizio sugli attuali governanti non è cambiato? E la patrimoniale è stata messa nel dimenticatoio?
Come? Sul Corsera del 14 aprile Lamberto Dini e Natale D’Amico propongono le «dismissioni di beni di proprietà pubblica che azzeri il ricorso al mercato del Tesoro anche nei due anni che sono innanzi a noi». In effetti Dini e D’Amico propongono la ripetizione delle privatizzazioni realizzate negli anni ’90, che ridussero il debito di 10 punti rispetto al Pil, abbassandolo in circa cinque anni da 117 al 107 per cento, ma nel decennio successivo il debito è tornato al 118 per cento. In questa situazione c’è più di un dubbio sulla proposta di tornare alle dismissioni, che ridurrebbero il patrimonio dello stato, e quindi anche la possibilità di fronteggiare nuovi aumenti dello spread, come sta avvenendo in questi giorni. In questa situazione forse sarebbe più ragionevole e sicuro ricorrere alla famosa imposta patrimoniale straordinaria, della quale si era parlato all’inizio del governo «tecnico», ma che ora è proposta solo dalla Cgil. A questo punto è inevitabile andarsi a rivedere quel che su questa imposta scrisse Luigi Einaudi.
«L’imposta straordinaria sul patrimonio dice al contribuente: vivi sicuro e fidente. Io vengo fuori a intervalli rarissimi, dopo una grande guerra, nel 1920 e poi, forse, nel 1946 per mettere una pietra tombale sul passato e liquidare il grosso delle spese derivanti dalla guerra. Per l’avvenire tu pagherai solo le imposte ordinarie che tu stesso, per mezzo dei tuoi mandatari avrai deliberato per far fronte alle spese correnti dello Stato». La crisi che colpisce in questo 2012 ha fatto e fa più danni di una guerra.
A questo va aggiunto che, come documenta la Banca d’Italia e non un qualsiasi estremista, la ricchezza è straordinariamente concentrata e un’imposta patrimoniale straordinaria (sottolineo straordinaria) dovrebbe colpire soltanto l’area dei grandi ricchi, che dopo essersi arricchiti ai danni del paese potrebbero (dovrebbero) contribuire al suo risanamento.
Ma di patrimoniale non se ne parla più. Ma gli altri: il Pd e le altre forze politiche che si dicono di sinistra anche loro fanno finta di non sentire? Forse allora bisogna dar ragione a Francesco Giavazzi, che ha scritto un’ottima e brillante prefazione al saggio di Einaudi, quando scrive che questa straordinaria patrimoniale è improponibile perché «questi governanti hanno perduto la fiducia dei contribuenti. Non la riguadagneranno con una patrimoniale, il cui beneficio oggi farebbe la fine delle privatizzazioni degli anni Novanta». Giavazzi scriveva queste parole nel 2011, quando c’era un altro governo. Ma il giudizio sugli attuali governanti non è cambiato? E la patrimoniale è stata messa nel dimenticatoio?
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