Ci sarà un esito antipolitico alla crisi
italiana? La furiosa contestazione delle élites di solito apre le
danze, mobilitando chi invoca spazi nuovi di agire sociale liberati
dagli apparati logori. Poi però compare chi propone di chiudere le
operazioni con la macabra esibizione muscolare della destra. Una destra
trionfante, peraltro, che celebra la riscoperta di arcane pratiche di
dominio personale. Quando si avvicina una crisi di sistema occorre per
questo sempre preoccuparsi di scongiurare che i crampi della politica si
intreccino con il disagio sociale.
Oggi l’Italia è molto vicina a una
grande crisi di legittimità che accompagna un oscuro passaggio di fase.
Tutto può saltare quando si realizza una saldatura tra questi elementi:
lo smarrimento di forze economiche che perdono referenti solidi, lo
spaesamento di strati che cedono posizioni di ricchezza e prestigio
serbando un grande rancore contro le classi dirigenti percepite come
responsabili del loro declino, la comparsa di metafore anticonvenzionali
amplificate dai media, la crisi paralizzante dei soggetti politici
tradizionali. Se la sinistra si lascia sorprendere da un cortocircuito
culturale e da un allentamento della sua presa rassicurante nel
malessere sociale, allora la crisi, con una incredibile celerità,
contagia economia, politica e culture. Si innesca un’onda anomala che
sconvolge gli antichi assetti di dominio non più adeguati evocando però
soluzioni del tutto apparenti, imperniate sulla primitiva fascinazione
di capi carismatici. Nella giuntura odierna una lacerante crisi sociale,
che potrebbe dare sfogo alla disperata ribellione della massa, convive
con lo smembramento del sistema politico bipolare e personalistico
edificato vent’anni fa.
La rivolta contro l’èlite al potere in Italia
c’è già stata e ha portato al governo proprio i campioni
dell’antipolitica, che oggi sono travolti dai disgustosi episodi di
malcostume. Nel duello tra la società civile riflessiva, che voleva
abbattere la vecchia nomenclatura dei partiti con il mito di
Westminster, e la rude microimpresa padana, che sognava un denaro senza
gli obblighi del fisco, vinse la miscela avvelenata preparata dal
magnate di Arcore. Egli arruolò, a fianco del suo partito di plastica,
le truppe di terra assoldate nel rurale mondo periferico del nord, dove
le sensibilità più elementari garantivano una maggiore disposizione al
nuovo, all’inaudito, al folklorismo politico. Oggi è in crisi proprio
l’antipolitica che ha sostituito i partiti con le due forze irregolari
(Forza Italia e Lega) che avevano inopinatamente preso il potere in nome
del nuovo.
Questo è il dato reale: lo sfaldamento dell’antipolitica
che, da tendenza eccentrica, era diventata una incredibile forza di
governo. I due partiti egemoni non reggono allo sfascio immane che hanno
provocato. Ci sono dunque delle energie positive liberate da una crisi
che si è abbattuta sulle due forze interpreti dell’antipolitica. Per
quanto i media stiano tentando l’ultima operazione di sviamento che
rimane ai ceti del privilegio, quella di coinvolgere tutti i partiti
nella stessa catastrofe, la lezione storica da trarre è invece del tutto
trasparente. Non si può rimanere a lungo nel solco dell’antipolitica
senza distruggere la capacità di governo di una società complessa che
richiede innovazione. Da questo fragoroso fallimento di imprenditori e
ceti irregolari insediatisi al potere discende che un Paese moderno non
può prescindere da grandi partiti che esprimono una reale
partecipazione, una forte energia etica, una autentica cultura. Se non
ricostruisce partiti dall’elevato profilo ideale, un Paese civile è
condannato alla lenta marginalizzazione e al collasso storico. La forma
del partito personale, che la destra ha inventato e imposto sulla scena
come un segno della postmodernità, appare cadaverica. Non poteva essere
altrimenti. L’usura del corpo del capo mette in discussione la
sopravvivenza stessa del partito sprovvisto di quella «dignità che non
muore» di cui parlavano i giuristi medievali come peculiarità del
politico. Un partito di plastica o carismatico muore con il corpo del
capo che declina o è ammaccato. Questo scostamento dai cardini della
modernità politica occidentale ha ostacolato il funzionamento delle
istituzioni, occultato il principio di legalità. Come vent’anni fa, i
persuasori palesi cavalcano l’antipolitica per abbattere tutti i
partiti. La videopolitica lancia i fantasmi del partito del comico, del
professore, del sindaco, del magistrato o le liste civiche di protesta.
Una sciagura. Il verbo antipolitico e le metafore ultrademocratiche
diventano il veicolo di una rivoluzione passiva che nel deserto impone
un nuovo capo a un pubblico disorientato, demotivato, scoraggiato dagli
scandali. La ricetta è quella di sempre: scaldare il cuore
dell’indignazione per sparigliare anche a sinistra il nesso tra capi e
popolo, e poi incassare a destra il via libera per la prosecuzione del
piccolo mondo antico abitato da governatori celesti, politicanti senza
pathos politico, miliardari divorati dal conflitto di interessi. Con una
crisi sociale drammatica, la destra e i media dell’antipolitica a reti
unificate preparano il suicidio della democrazia.
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