Un governo come quello in carica teme come la peste la mobilitazione e il conflitto sociale. La conditio sine qua non per
andare avanti con la sanguinosa terapia d'urto in atto, è che venga
neutralizzato – meglio se preventivamente – chiunque intenda “disturbare
il manovratore”.
Dalla
Spagna nei giorni scorsi è suonato un serio campanello d'allarme:
prestate attenzione a ciò che “twittate”! Diffondere attraverso le reti
sociali, che dovremmo scendere in piazza per protestare contro l'aumento
delle tariffe della metropolitana di Madrid, per esempio, potrebbe
costare caro: il ministero dell'Interno spagnolo, Jorge Fernandez Diaz,
ha annunciato che sarà punito con la reclusione chi utilizza Internet
per convocare manifestazioni di piazza. In tal senso sta lavorando alla
riforma del codice penale affinchè la pena minima per tale azione venga
fissata a due anni di reclusione. Non solo. Il governo spagnolo vuole
inserire la resistenza passiva tra i reati classificabili come
«attentato all’autorità», in modo da poter considerare, ad esempio, un
pacifico sit-in degli indignados alla stregua di un attacco violento a
un membro della forza pubblica.
Da
cosa nasce questa estensione illimitata dei poteri coercitivi dello
Stato se non dalla preoccupazione che i settori sociali colpiti dalla
crisi – ma ancor più dalle terapie anti-crisi – comincino a resistere e
ad opporsi alle misure adottate dai governi dell'Unione Europea?
Attenzione.
Il problema non riguarda solo i nostri fratelli e compagni spagnoli.
Prevenire le proteste e ridurre quelle consentite a invisibili
testimonianze, è lo stile che si va imponendo anche in Italia.
Emblematico il divieto di manifestare davanti al Senato in occasione del
voto sulla revisione dell'art.81 e l'introduzione del pareggio di
bilancio nella Costituzione. La manifestazione era stata autorizzata a
tale distanza dall'ingresso dei senatori da renderla poco più che
un'attrazione per i turisti. Dunque invisibile per i destinatari della
protesta – governo e senatori - ma formalmente consentita in un luogo
pneumatico e inservibile allo scopo.
Il
governo Monti sa benissimo di essere minoranza nel paese. Sa benissimo
anche quali ricette antipopolari sta somministrando ad un corpo sociale
batostato da almeno venti anni di manovre lacrime e sangue - iniziate
nel 1992, senza che, dopo i sacrifici, si sia mai vista la famosa
“seconda fase”. Il governo Monti è consapevole della propria
vulnerabilità nonostante le casematte che gli apparati di consenso (da
La Repubblica alla Rai) continuano a costruirgli intorno. I suoi punti
di forza sono la piena aderenza ai diktat della Bce e dell'Unione
Europea, la complicità del Quirinale e del “Partito Unico Tripartisan”
che lo sostiene in Parlamento.
Su
tutto il resto, a cominciare dalla scarsissima capacità di
comunicazione ed empatia con i settori popolari, il governo sa che per
reggersi e reggere le conseguenze delle sue politiche antipopolari, ha
necessità di esercitare la massima capacità coercitiva nei confronti
della maggioranza della società.
Da
un lato stanno destrutturando tutti i corpi intermedi come i partiti
politici o i sindacati, riducendo la mediazione a puro atto notarile di
approvazione degli atti di governo.
Dall'altro
stanno ormai volando manganellate della polizia ad ogni occasione. Che
si tratti di una manifestazione contro un inceneritore o di operai sotto
un ministero, di lavoratori di un cantiere navale occupato o di
sfrattati che cercano di trovare soluzione alla loro emergenza di vita.
Solo
gli smemorati (o i complici) possono dimenticare che il 12 novembre
dello scorso anno, in occasione della investitura di Monti a Presidente
del Consiglio, il Financial Times scriveva testualmente: “Serve una sospensione della democrazia per 18-24 mesi per prendere decisioni difficili”.
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