Intervistando il direttore del Corriere della sera,
Ferruccio de Bortoli, Fabio Fazio, uno dei giornalisti più genuflessi
che conti la (finanziata dai cittadini mediante canone) Rai-Tv, gli ha
chiesto mellifluamente: “Quindi lei è d’accordo che oggi lo scontro sia
tra generazioni e non tra classi?”. Ovviamente De Bortoli è d’accordo.
Bisogna chiedersi anzitutto perché questi giornalisti dediti quotidianamente alla mistificazione e alla diseducazione delle masse abbrutite dai media, mettano tanto impegno nel negare l’esistenza di nozioni tanto elementari come quelle di classe sociale e di lotta di classe.
In realtà la lotta di classe è oggi più viva che mai. Solo che la fanno solo o prevalentemente i padroni. Per dirla con Luciano Gallino (La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, 2012, p. 12) : “La caratteristica della lotta di classe della nostra epoca è questa: la classe di quelli che da diversi punti di vista sono da considerare i vincitori – termine molto apprezzato per chi ritiene che l’umanità debba inevitabilmente dividersi in vincitori e perdenti – sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti”.
Di questa nuova superborghesia transnazionale fanno parte, dice Gallino, proprietari di grandi patrimoni, top manager, politici di primo piano, grandi proprietari terrieri. Lascio a voi decidere se i giornalisti di lusso ne facciano anch’essi parti o rientrino, sia pure con trattamento privilegiato, nell’ampia ed articolata categoria dei servi della stessa.
Lo stesso Gallino mette in rilievo una delle radici di questa perdurante attualità della lotta di classe che dimostra in modo puntuale la fallacia del discorso del “conflitto fra generazioni”, laddove afferma che “far parte di una classe sociale significa appartenere, volenti o nolenti, ad una comunità di destino, e subire tutte le conseguenze di tale appartenenza” (p. 4).
A che serve quindi il discorso mistificatorio sul “conflitto fra generazioni” se non a frammentare l’unità di classe mettendo i padri e le madri contro i figli e le figlie? Far credere ad esempio, che sia la “rigidità” del posto di lavoro determinata dall’esistenza di garanzie come l’art. 18 a causare la disoccupazione giovanile, o la spesa pubblica indotta dall’ostinazione dei pensionati a restare in vita a provocare la crisi fiscale. Ignobili bugie propagandistiche.
Vero è, tuttavia, che sono i giovani, anche quelli delle classe medie, a pagare un prezzo alto, perché il sistema non è in grado di offrire oggi e in futuro alcuno sviluppo ed alcuna crescita, al di là delle vacue e contraddittorie chiacchiere dei vari Monti e Passera. Ma la soluzione di questi problemi non si trova scatenando la guerra fra generazioni ma rilanciando la lotta di classe per affossare il sistema presente. Su questo giovani e meno giovani hanno un interesse in comune. Un interesse di classe.
Bisogna chiedersi anzitutto perché questi giornalisti dediti quotidianamente alla mistificazione e alla diseducazione delle masse abbrutite dai media, mettano tanto impegno nel negare l’esistenza di nozioni tanto elementari come quelle di classe sociale e di lotta di classe.
In realtà la lotta di classe è oggi più viva che mai. Solo che la fanno solo o prevalentemente i padroni. Per dirla con Luciano Gallino (La lotta di classe dopo la lotta di classe, Laterza, 2012, p. 12) : “La caratteristica della lotta di classe della nostra epoca è questa: la classe di quelli che da diversi punti di vista sono da considerare i vincitori – termine molto apprezzato per chi ritiene che l’umanità debba inevitabilmente dividersi in vincitori e perdenti – sta conducendo una tenace lotta di classe contro la classe dei perdenti”.
Di questa nuova superborghesia transnazionale fanno parte, dice Gallino, proprietari di grandi patrimoni, top manager, politici di primo piano, grandi proprietari terrieri. Lascio a voi decidere se i giornalisti di lusso ne facciano anch’essi parti o rientrino, sia pure con trattamento privilegiato, nell’ampia ed articolata categoria dei servi della stessa.
Lo stesso Gallino mette in rilievo una delle radici di questa perdurante attualità della lotta di classe che dimostra in modo puntuale la fallacia del discorso del “conflitto fra generazioni”, laddove afferma che “far parte di una classe sociale significa appartenere, volenti o nolenti, ad una comunità di destino, e subire tutte le conseguenze di tale appartenenza” (p. 4).
A che serve quindi il discorso mistificatorio sul “conflitto fra generazioni” se non a frammentare l’unità di classe mettendo i padri e le madri contro i figli e le figlie? Far credere ad esempio, che sia la “rigidità” del posto di lavoro determinata dall’esistenza di garanzie come l’art. 18 a causare la disoccupazione giovanile, o la spesa pubblica indotta dall’ostinazione dei pensionati a restare in vita a provocare la crisi fiscale. Ignobili bugie propagandistiche.
Vero è, tuttavia, che sono i giovani, anche quelli delle classe medie, a pagare un prezzo alto, perché il sistema non è in grado di offrire oggi e in futuro alcuno sviluppo ed alcuna crescita, al di là delle vacue e contraddittorie chiacchiere dei vari Monti e Passera. Ma la soluzione di questi problemi non si trova scatenando la guerra fra generazioni ma rilanciando la lotta di classe per affossare il sistema presente. Su questo giovani e meno giovani hanno un interesse in comune. Un interesse di classe.
Nessun commento:
Posta un commento