Ci sono vicende che più di ogni altra cosa illustrano in modo davvero chiaro quale sia la posta in gioco attorno all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
Una di queste è senza dubbio quella di Paola Ciccioli, giornalista di Panorama, licenziata per aver esercitato il proprio legittimo diritto di critica nei confronti del direttore di questa rivista. Messa da molto tempo ai margini della redazione nonostante le sue indubbie capacità professionali, questa giornalista è stata licenziata in tronco dopo vent’anni di servizio per criticato le scelte organizzative del direttore della rivista, Giorgio Molé, affermando, in una comunicazione rivolta alle strutture sindacali interne all’azienda, che costui “non conosce la vergogna”. La Federazione nazionale della stampa ha giustamente condannato il licenziamento, affermando trattarsi di iniziativa sconcertante, inaudita e paradossale.
Una vicenda che illustra qual è la vera posta in gioco attorno all’art. 18 e alle garanzie contro i licenziamenti. Abolire ogni possibile libertà di opinione di lavoratrici e lavoratori trasformandoli in sudditi silenziosi ed impauriti.
Il diritto di critica deve spettare ad ogni lavoratore e lavoratrice. Infatti gli abiti di cittadino non si dismettono per indossare la casacca dello schiavo quando si mette il piede in azienda, quale che essa sia. E a maggior ragione valgono quando si esercita tale diritto a tutela della collettività, come nel caso del macchinista Dante de Angelis licenziato dalle Ferrovie dello Stato per avere attirato l’attenzione su talune circostanze suscettibili di mettere a repentaglio la pubblica incolumità, come la carenza di manutenzioni e l’usura di talune linee ferroviarie. E del suo collega Riccardo Antonini, vittima di analoga sorte per aver svolto opera di consulenza tecnica alle famiglie delle vittime della strage di Viareggio. Licenziamenti che paiono dare dignità di principio non scritto alla legge dell’omertà, nel Paese noto nel mondo per aver inventato la mafia.
Nel caso dei giornalisti, poi, tale diritto di critica è addirittura insito nella funzione stessa, dato che l’indipendenza e la libertà di parola degli stessi sono immediatamente necessari all’applicazione e al funzionamento di una norma fondamentale come l’art. 21 della Costituzione.
E’ ad ogni modo oggetto di un interesse comune dei cittadini limitare l’arbitrio delle gerarchie per affermare, con la libertà di opinione e di critica e la garanzia del posto di lavoro, il diritto a una democrazia partecipativa che non si ferma di fronte alle mura dell’azienda, quale che essa sia. Un’altra dimostrazione della stretta connessione esistente fra diritti civili e politici, da un lato, e diritti economici, sociali e culturali, dall’altro. Diritti rispetto ai quali il nostro Paese sta precipitando, come già per la corruzione, la qualità dell’informazione e altri aspetti, verso i posti più bassi delle classifiche mondiali.
Una di queste è senza dubbio quella di Paola Ciccioli, giornalista di Panorama, licenziata per aver esercitato il proprio legittimo diritto di critica nei confronti del direttore di questa rivista. Messa da molto tempo ai margini della redazione nonostante le sue indubbie capacità professionali, questa giornalista è stata licenziata in tronco dopo vent’anni di servizio per criticato le scelte organizzative del direttore della rivista, Giorgio Molé, affermando, in una comunicazione rivolta alle strutture sindacali interne all’azienda, che costui “non conosce la vergogna”. La Federazione nazionale della stampa ha giustamente condannato il licenziamento, affermando trattarsi di iniziativa sconcertante, inaudita e paradossale.
Una vicenda che illustra qual è la vera posta in gioco attorno all’art. 18 e alle garanzie contro i licenziamenti. Abolire ogni possibile libertà di opinione di lavoratrici e lavoratori trasformandoli in sudditi silenziosi ed impauriti.
Il diritto di critica deve spettare ad ogni lavoratore e lavoratrice. Infatti gli abiti di cittadino non si dismettono per indossare la casacca dello schiavo quando si mette il piede in azienda, quale che essa sia. E a maggior ragione valgono quando si esercita tale diritto a tutela della collettività, come nel caso del macchinista Dante de Angelis licenziato dalle Ferrovie dello Stato per avere attirato l’attenzione su talune circostanze suscettibili di mettere a repentaglio la pubblica incolumità, come la carenza di manutenzioni e l’usura di talune linee ferroviarie. E del suo collega Riccardo Antonini, vittima di analoga sorte per aver svolto opera di consulenza tecnica alle famiglie delle vittime della strage di Viareggio. Licenziamenti che paiono dare dignità di principio non scritto alla legge dell’omertà, nel Paese noto nel mondo per aver inventato la mafia.
Nel caso dei giornalisti, poi, tale diritto di critica è addirittura insito nella funzione stessa, dato che l’indipendenza e la libertà di parola degli stessi sono immediatamente necessari all’applicazione e al funzionamento di una norma fondamentale come l’art. 21 della Costituzione.
E’ ad ogni modo oggetto di un interesse comune dei cittadini limitare l’arbitrio delle gerarchie per affermare, con la libertà di opinione e di critica e la garanzia del posto di lavoro, il diritto a una democrazia partecipativa che non si ferma di fronte alle mura dell’azienda, quale che essa sia. Un’altra dimostrazione della stretta connessione esistente fra diritti civili e politici, da un lato, e diritti economici, sociali e culturali, dall’altro. Diritti rispetto ai quali il nostro Paese sta precipitando, come già per la corruzione, la qualità dell’informazione e altri aspetti, verso i posti più bassi delle classifiche mondiali.
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