martedì 24 aprile 2012

Il lavoro perduto

di Simone Cumbo - 15 donne rimaste senza lavoro, alcune con figli da accudire, altre con la prospettiva di uno stipendio minimo che serviva per programmare un pezzo di vita, che ora non c’è più…
Parliamo di alcune lavoratrici della CEPU la cui storia va raccontata per capire cosa è diventato il mercato del lavoro, fra contratti capestro e condizioni di lavoro impossibili.
«Siamo delle lavoratrici assunte con contratti co.co.pro -ci dicono Marta Melelli e Luciana Gragnoli- con un età che varia dai 20 ai 50 anni. Lavoravamo come centraliniste presso la sede CEPU di Città di Castello chi da 1 anno chi da 5 anni. Il nostro compito era chiamare per telefono persone e trovare appuntamenti. In base alla quantità degli stessi venivamo retribuite».
«Un fisso, fino a gennaio 2012 di 300-400 euro mensili, ci permetteva di avere un budget minimo mensile che poteva essere esteso grazie alla quantità di appuntamenti trovati. Da febbraio 2012 questo fisso è stato tolto; in altre parole si lavora ma senza essere retribuite, si guadagna SOLO se si riesce telefonicamente a convincere e a fissare appuntamenti. Da qui è partita la nostra decisione di informarci, solo questo è successo, presso il Sindacato sulla regolarità di questi contratti…»
«Non l’avessimo mai fatto!! Da qui sono iniziati i problemi. L’azienda ha saputo di questo nostro contatto con il Sindacato e sono iniziate le intimidazioni e ritorsioni, un clima di sospetto con l’accusa di aver tradito chissà che cosa!».
Un clima quello dei Call Center che ha messo in luce molto bene Paolo Virzì nel suo film «Tutta la Vita Davanti» dove Sabrina Ferilli motivava il personale facendolo sentire come una grande famiglia. Una famiglia dove il bene è comune e dove nessuno può mettere in discussione questo clima paradisiaco…
«Sì, ci spiegano Luciana e Marta, succede così, non è solo un lavoro ma come una sorta di vita artificiale parallela dove tutto è lavoro, anche i legami con i colleghi assumono spesso connotazioni così. Quindi se non fai parte di questa famiglia pensando solo a svolgere correttamente il tuo lavoro, o se provi solo a dubitare di un clima così idillico, non vai bene e non sei produttivo…».
Un modello questo già visto nella «ascesa berlusconiana» ma anche nel fenomeno tifernate di Francesco Polidori (proprietario della CEPU) dove nelle sue liste elettorali ha inserito perlopiù dipendenti e nei suoi programmi ha insistito molto su slogan ad effetto che gli hanno portato un 15% di voti e due posti in Consiglio Comunale…
Un modello di campagna elettorale che così bene Antonio Albanese ha raccontato nel suo personaggio Cettolaqualunque…
«Siamo state licenziate- concludono Marta e Luciana- alcune perfino per telefono, così come se fossimo oggetti inanimati. Abbiamo così deciso di riprenderci un po’ di dignità perduta esponendoci con conferenze e comunicati stampa aumentando così il livore di colleghe e responsabili della CEPU che ci hanno visto e ci vedono come traditrici! Ma siamo ben intenzionate a continuare a far valere i nostri diritti anche preparando una vertenza sindacale che vedrà opporci a Mister Cepu…».
Una storia di donne, una storia di come spesso, troppo spesso, come la parabola berlusconiana ci ha insegnato, credere alle favole può far male. Il risveglio, come testimonia questa triste vicenda, è molto diverso da quello che veniva profuso a suon di slogan…
tratto da "L'Altrapagina" - http://www.altrapagina.it/

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