Chi
si fosse illuso che con Maroni avremmo avuto una Lega meno eversiva e
più civile, è bene che si ricreda. L’adunata bergamasca del cosiddetto
“orgoglio leghista” andata in onda ieri sera martedì 11 aprile ha
dimostrato ancora una volta in modo lampante che nulla di sostanziale è
cambiato nel mondo allucinato del nord-leghismo. Le buffonate pseudo
celtiche a base di corna, spade di latta e ampolle di acqua inquinata,
il celodurismo e la signorile gestualità dell’ormai ex Capo a base di
diti medi, pernacchie e vaffanculo saranno sostituiti da riti meno
ridicoli e imbarazzanti, più “politically correct”. Ne abbiamo avuto un
assaggio proprio ieri alla fine dei comizi a Bergamo: sembra che ora
vada di moda il bacio della bandiera, quella “padana” ovviamente. Nuovi
riti, dunque, ma niente di più.
I discorsi di Maroni e di Bossi hanno
segnato definitivamente il passaggio del testimone: dalla Lega della
canottiera, buffonesca e familistica, alla Lega della giacca e cravatta,
seriosa e altrettano rivoltante. L’uscita di scena di Bossi, con la sua
autocritica pubblica, è stata grottescamente patetica, quasi
commovente, stando almeno ai criteri di giudizio dell’ineffabile
Mentana, se non si ricordasse che il personaggio in questione è colui
che ha dedicato la propria vita a rendere la società italiana più feroce
con i più deboli.
Il discorso di Maroni, invece, è stato
assolutamente politico. Con una prima parte dedicata alla secessione,
pudicamente chiamata indipendenza, e dai toni decisi di chi conferma che
questo è l’obiettivo strategico della Lega, con tutto quello che ne
discende quanto a pratica politica quotidiana. Senza dimenticarsi di
fare due brevi ma significativi passaggi di stampo razzista, giusto per
la chiarezza. Innanzi tutto la critica al governo e all’establishment
istituzionale che a suo dire minacciano l’identità “padana” favorendo
l’immigrazione, invenzione fantasiosa che amenamente qualcuno dalle
parti di Pontida ha definito come genocidio culturale. E l’auspicio che
il Sinpa, il sindacato “padano”, attualmente niente di più di una sigla,
guidato da Rosi Mauro, diventi un “vero sindacato padano” guidato da un
“vero padano”. Sottinteso: e non da una che è pugliese.
E poi la seconda parte del discorso di
Maroni, dedicata alla “pulizia” interna. Cioè alla resa dei conti finale
con il Cerchio magico e l’uccisione simbolica di alcune comparse come
Belsito, Renzo Bossi e Rosi Mauro. Sorvolando con la massima faccia
tosta sul fatto che la finanza creativa alla Tremonti di Belsito, gli
stili di vita del Trota e i maneggi della badante sono stati coperti e
favoriti per anni proprio da chi oggi invoca l’epurazione, Maroni in
testa. Una serata quindi all’insegna non del ritorno alle origini, come
sostiene l’ometto leghista, ma all’insegna della massima continuità.
Maroni ha concluso dicendo che ha un
sogno nel cuore. Non la pace fra i popoli, non un pianeta ambientalmente
sostenibile, non la sconfitta della fame nel mondo. No, tutto questo è
banale e risaputo, anzi: chi se ne frega? Il sogno di Maroni è vedere
alle prossime elezioni la Lega diventare il primo partito della
“padania”. Prendiamolo sul serio. Sta a noi, solo a noi impedirlo.
Bruno Carchedi - Punto rosso
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