Il film "Diaz" visto da un poliziotto
Grazie a Paese Sera ho avuto modo di assistere alla proiezione per la stampa del film Diaz;
sono entrato in sala con la certezza, maturata in questi anni, di aver
sviluppato i necessari anticorpi per una “serena e matura” visione
grazie a un percorso professionale e sindacale che fin da subito mi
aveva posto in antitesi con quanto avvenuto, e non senza problemi e
difficoltà. Mi sbagliavo profondamente. Le immagini proiettate superano
tutte le ricostruzioni mentali che avevo fatto su quanto accaduto.
La ricostruzione cinematografica della “più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”
(Amnesty International) ti tocca nel profondo e ti fa provare un senso
di vergogna facendoti sentire il bisogno di chiedere scusa al mondo
intero.
Un film da vedere per non dimenticare e conservare la
memoria sulla tragedia democratica che ha caratterizzato il G8 di
Genova; un film sul quale confrontarsi e riflettere su come costruire la
certezza che non accadrà mai più.
La violenza raccontata dal film
e ricostruita negli atti processuali di questo decennio è figlia di un
episodio isolato o rientra in quell’oscuro filo comune che ha segnato i
momenti più bui della democrazia del nostro paese? La catena di comando
ha agito autonomamente o ha subito condizionamenti, diretti e indiretti,
della “politica”? Quanto è cambiata la Polizia in questi 11 anni?
Queste sono domande che da oltre 10 anni attendono risposte. I cittadini
di questo Paese attendono risposte perché le istituzioni che dovevano
assicurare i diritti delle persone e le libertà di pensiero non hanno
assolto la loro funzione, e una parte di loro si sono trasformate nel
male assoluto assumendo le sembianze di un demone mostruoso che ha
minato la fiducia del Paese e del mondo intero.
Anticipando l’uscita del film il Ministero dell’Interno ha diramato una circolare interna del 15 marzo 2012 stabilendo che “In
concomitanza con la proiezione di numerose pellicole cinematografiche
che affrontano la ricostruzione storica di eventi relativi ad attività
di polizia in situazioni ordinarie e straordinarie, si ribadisce che
qualsiasi intervista, partecipazione a convegni o dibattiti, va
autorizzata da questo Dipartimento”. Un tentativo maldestro e
inutile di censura verso una categoria che non è ancora pronta a
misurarsi apertamente con gli episodi di Genova e che normalmente si
autocensura; l’intervento ministeriale appare più una grave interruzione
del percorso di democratizzazione della polizia a 30 anni dalla sua
smilitarizzazione. Un’amministrazione che si chiude evitando il
confronto si allontana sempre di più da quell’idea di “polizia fra la
gente” che sembrava indicare la via democratica da tutti desiderata. Un
capo della polizia che apre una scuola di formazione sull’ordine
pubblico e che oggi chiude ogni possibilità di dialogo e confronto sul
passato, propedeutici a disegnare un futuro migliore.
Per
l’amministrazione è certamente imbarazzante dover spiegare perché in
Polizia quotidianamente si sospendono o destituiscono operatori
sospettati o accusati di reati anche meno gravi mentre, con difformità
di trattamento, quelli coinvolti negli episodi del G8 sono rimasti in
servizio anche dopo le pesanti condanne di 2° grado; e perché i
funzionari che hanno fatto parte della catena di comando operativa a
Genova oggi ricoprono incarichi di vertice strategici sul versante
operativo della Polizia di Stato, come se la “macchia di Genova” avesse
agevolato la carriera interna a danno di altri funzionari.
Diaz è
tristemente vero, costruito su atti processuali che appaiono ancora più
duri, e reso ancora più realistico dalla somiglianza fra attori e
personaggi reali della catena di comando; ricostruisce le assurde e
immotivate scelte operative utilizzate per giustificare la “bonifica”
della scuola Diaz e mostra una violenza che in questo caso non trova
giustificazione o collegamento con gli episodi di piazza: una violenza
gratuita che si realizza al termine del summit, nel momento di deflusso,
e una ancora più sconvolgente nella caserma Bolzaneto dove si realizza
un Garage Olimpo in versione italiana.
Oggi la polizia è
ancora a rischio “Diaz”? Una cosa è certa: la democratizzazione non è
ancora completata. I poliziotti non hanno ancora diritto alla libera
sindacalizzazione, il taglio delle risorse economiche incide
negativamente sulla formazione professionale e culturale del personale,
l’accesso in polizia per effetto della legge 226/2004 avviene solo
attraverso il percorso militare che svuota di significato la
smilitarizzazione avvenuta con la riforma 121/81 e crea una nuova
militarizzazione strisciante della Polizia di Stato.
La politica
che ha spesso segnato negativamente la gestione dell’ordine pubblico del
nostro Paese, creando “condizioni ambientali protette” che favoriscono
la copertura e il proliferare di violenze e impunità di Stato, ha la
possibilità di riscattarsi favorendo una vera e completa svolta
democratica del paese e delle sue nevralgiche istituzioni.
Il Capo
della Polizia, davanti a tanto orrore, dovrebbe chiedere scusa al mondo
intero, per rispetto di quanti hanno subìto violenze fisiche e
psicologiche da operatori di quell’istituzione che oggi rappresenta, e
assicurare a tutti che finalmente si potrà voltare pagina chiudendo con i
fantasmi del passato.
Io, le mie scuse e la mia sensazione di vergogna, le ho scritte in questo commento.
*Mirko Carletti - Dirigente Sindacale Silp per la Cgil
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