La “crescita” è rimasta nelle intenzioni,
ma non è riuscita a entrare nel provvedimento. Problemi di mancanza di idee,
certamente, ma anche di impossibilità di far crescere individualmente un
singolo paese in un contesto continentale (e globale) che ha già virato vero la
recessione.
Di tutto l'insieme di micronorme, soltanto
la premialità fiscale per il capitale reinvestito in azienda (nell'attività,
dunque) sembra possedere qualche seria capacità nella promozione dello
sviluppo. Se la misura di questo “incentivo” fosse alta, infatti, un
imprenditore medio avrebbe “vantaggio” a rischiare il reinvestimento piuttosto
che “immobilizzarlo” nel patrimonio (immobiliare, appunto) o in “liquidità”.
Il resto (fondo di garanzia per il credito
alle imprese, ripristino dell'Istituto per il commercio estero, “facilitazioni”
varie, ecc) sono poco più che palliativi.
L'Irap ridotta, invece, è un aiuto diretto
alla “profittabilità” immediata delle imprese, un modo per far loro aumentare
la quota delle entrate rispetto alle uscite. Ma ha un costo “sistemico”
devastante: la riduzione della spesa sanitaria per tutti (perché l'Irap è
quella tassa che non solo ha riunificato una serie di “balzelli” a scarico
delle imprese – semplificando il lavoro amministrativo, se non altro – ma ha
come utilizzo di elezione proprio il finaziamento della sanità pubblica).
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