Le lacrime del ministro Fornero
sono l'immagine della consapevolezza del “lavoro sporco” messo in atto con la
manovra approntata dal governo Monti. Rintracciare elementi di equità in questa
manovra diventa impossibile, anche non avendo a disposizione tutti i dettagli
(dentro cui si nasconde sempre il diavolo) o le quantificazioni degli effetti
delle singole misure sui vari settori sociali...
I dati all'ingrosso parlano di
17 miliardi di nuove imposte e 13 miliardi di tagli alla spesa pubblica e
sociale. Quanto viene rispettivamente tolto al lavoro o alla rendita dentro
tale composizione, azzera qualsiasi pretesa di equità e conferma la logica
della lotta di classe dall'alto verso il basso.
Dopo una esibita incertezza se
agire sulle imposte dirette (Irpef, Ici) o su quelle indirette (Iva), la
soluzione è stata quella di agire su entrambe colpendo in proporzione i redditi
da lavoro assai più di quelli dovuti a capitale. Se la Confindustria è stata
accontentata con la riduzione dell'Irap, questo sconto viene compensato con i
tagli e i nuovi ticket sulla sanità.
Il caso delle pensioni è poi
emblematico. Gli effetti della manovra si sentiranno già a breve sui
trattamenti pensionistici di operai, impiegati e quadri intermedi, mentre
lasciano intonsi e senza la perdita di un euro quelli dei dirigenti.
L'altra vittima consacrata
sull'altare della manovra imposta dalla Bce è la concertazione, sia sul piano
politico che sindacale. I partiti che pure sostengono il governo, come i
sindacati “di mercato” che spesso hanno stampellato i governi precedenti, sono
ormai tagliati fuori. Al massimo devono ratificare le decisioni prese dall'alto
cercando di salvaguardare qualche interstizio che ne legittimi l'esistenza.
Indicativo è il fatto è che a
strepitare di più questa volta siano proprio Cisl e Uil, dando voce alle
rimostranze dei settori moderati, mentre la Cgil della Camusso rappresenta
plasticamente lo stallo del suo azionista di riferimento, il Pd. Il rischio è
evidente: lasciare che sia la destra, anche sindacale, a gestire il malcontento
sociale.
Il paese, più che
commissariato, è ormai “invaso” da poteri decisionali alieni da qualsiasi
relazioni sociali non oligarchiche e quello che farà la differenza - già da
oggi - è tra chi se n'è accorto e chi no. In un certo senso fanno pena le
ambizioni dei partiti che sostengono il governo Monti , i quali affermano di
accettare oggi il “lavoro sporco” perchè domani - quando torneranno loro a
governare - ripristineranno le normali relazioni politiche, parlamentari,
sindacali. E' una sanguinosa illusione. Il pareggio di bilancio in
Costituzione, ad esempio, sta lì a certificare che dal 2013 le priorità, i
criteri e i sistemi di governance saranno quelli indicati dal governo dei
professori e dal direttorio dell'Unione Europea, indipendentemente da chi avrà
la responsabilità formale del governo nazionale.
Se è vero che la differenza è
tra chi ha fatto tana da subito al governo Monti e ai suoi mandanti europei e
chi ancora si crogiola nel rimpianto di una realtà che non esiste più, la
responsabilità dei primi è di entrare rapidamente in campo con iniziative di
resistenza, interdizione, organizzazione conflittuale dei settori sociali
devastati dalla crisi e dalle manovre economiche imposte dalla Bce e dai
“mercati”. Si parla di sciopero generale. Bene. Prima si organizza meglio è, ma
è evidente che uno sciopero rituale, di poche ore e limitato solo ai settori
del lavoro salariato ancora stabile, non avrebbe la forza di rappresentare gli
interessi della composizione sociale che ha tutto da perdere dalla manovra del
governo Monti e dalla subalternità dell'Italia ai diktat dell'Unione Europea.
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