I governanti tedeschi sono stupidi?
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Quando leggerete questo articolo saranno già note le conclusioni della riunione della Bce in corso oggi, 8 dicembre.
Non basta. I "mercati" chiedono che la Bce, in deroga ai Trattati europei, avvii una aggressiva politica di Quantitative easing (Qe), sullo stile della Fed nordamericana. Chiedono che la Bce stampi euro in quantità industriali, che si trasformi finalmente in "prestatore di ultima istanza", prestando soldi agli Stati oltre che alle banche.
Quando leggerete questo articolo saranno già note le conclusioni della riunione della Bce in corso oggi, 8 dicembre.
E'
dato per certo che la Banca centrale di Mario Draghi abbasserà il tasso
di sconto di 25 punti base, portandolo all'1%, il livello più basso da
quando esiste l'euro. Ma sarà la riunione del Consiglio d'Europa
(composto dai capi di governo o di Stato dei singoli paesi dell'Unione)
quella veramente decisiva per le sorti della moneta unica nonché della
Ue.
Draghi
ha spiegato che la decisione della Bce di vendere denaro ad un prezzo
più basso è un atto necessario data la "moderata recessione" in cui
l'economia europea tutta è entrata nell'ultimo trimestre. In verità «E'
la situazione del sistema bancario, che si intreccia con la crisi del
debito sovrano, a destare in questo momento le maggiori preoccupazioni
all'Eurotower. Le banche hanno difficoltà enormi a finanziarsi sul
mercato, l' interbancario è paralizzato, e questo sta producendo una
stretta creditizia [credit crunch] che a sua volta può peggiorare l'andamento dell'economia». [Alessandro Merli, Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2011].
Questo nel linguaggio felpato dell'analista. Detto fuori dai denti lo spettro che fa davvero paura è il default seriale di alcune grandi banche europee, alle prese con crediti inesigibili, da una parte, e col fatto che un mucchio di loro asset è
composto proprio da titoli di stato che potrebbero deprezzarsi ancora,
sulla strada per diventare carta straccia, non utilizzabili come collaterale, non scambiabile sui mercati finanziari.
Questo spettro aleggia sul summit europeo di domani, assieme all'altro, ad esso intrecciato, del rischio di default
dei debiti sovrani di alcuni paesi, tra cui l'Italia. Non un summit
ordinario dunque, ma decisivo per molti aspetti. Gli analisti, tutti o
quasi convergono nel sostenere che, o il vertice riuscirà a prendere
misure straordinarie o l'euro è destinato a soccombere. Nel loro gergo
evocativo o big bazooka o la fine della moneta unica.
Ma cos'è questo big bazooka?
Molto semplice. «Il mercato si è messo in testa un bazooka tra i 1.000 e
i 2.000 miliardi e smuoverlo da questa impresa ciclopica appare allo
stato attuale un'impresa ciclopica». [Isabella Bufacchi, I mercati mettono i leader alle strette. Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2011]
In
altre parole, i grandi predoni della finanza globale, incluse le stesse
banche d'affari, non solo americane ed inglesi ma pure continentali,
ritengono che solo se l'Unione metterà assieme un congruo fondo salva-stati (per proprietà transitiva salva-banche) di quella dimensione si eviterà il crollo, con un botto ben più grande di quello dell'autunno 2008.
Non basta. I "mercati" chiedono che la Bce, in deroga ai Trattati europei, avvii una aggressiva politica di Quantitative easing (Qe), sullo stile della Fed nordamericana. Chiedono che la Bce stampi euro in quantità industriali, che si trasformi finalmente in "prestatore di ultima istanza", prestando soldi agli Stati oltre che alle banche.
«L'opinione comune è che la Bce stia facendo troppo poco e quel poco troppo tardi. Il modello di banca centrale che i mercati hanno in mente è la Fed che negli ultimi anni, forse decenni, è stata sempre prodiga nel soccorrere banche, società finanziarie e Tesoro americano. Di tutti gli strumenti monetari, il più apprezzato è stato e rimane il quantitative easing, ossia l'acquisto massiccio di titoli di Stato sul mercato, creando nuova moneta. Contrabbandato come aiuto all'economia, il Qe ha soprattutto l'effetto di contenere il costo del debito pubblico, tenendo bassi i tassi interesse, di aiutare l'export, poiché comprime il cambio del dollaro, e di immettere liquidità sui mercati con la quale gli investitori comprano azioni, commodity e soprattutto titoli di Stato. Così il circolo si chiude e Tesoro, banche, aziende e mercati vivono tutti felici e, per il momento, pare anche tranquilli». [Walter Riolfi, La Bce è già prestatore di ultima istanza, Il Sole 24 Ore,30 novembre 2011]
Hanno
ragione la gran parte degli analisti, che fanno eco agli squali della
finanza speculativa e alle banche d'affari? Chi scrive ritiene di sì. Le
cause strutturali della crisi delle economie occidentali non saranno
rimosse con il Quantitative easing, ma esso allontanerebbe il default combinato
di debiti sovrani e banche. Il metadone non cura il tossicodipendente,
ma di certo gli evita di beccarsi un collasso a causa della crisi
d'astinenza. Così la pensano, in uno strano connubio, sia neokeynesiani che neoliberisti (che divergono solo sull'uso della spesa pubblica): "che si stampi moneta che poi... Dio provvede" —ove la Provvidenza è l'aspettativa di ripresa del ciclo economico.
Il fatto è che, alle spalle delle sceneggiate congiunte Merkel-Sarkozy, la Germania, forse sarebbe meglio dire la Grande Germania, si oppone cocciutamente al Quantitative easing, che considera alla stregua della italiana Finanza allegra ai tempi di Agostino De Pretis e Francesco Crispi.
«A
24 ore dall'inizio di un vertice cruciale per il futuro dell'Unione
monetaria la Germania ieri ha sottolineato ancora una volta la necessità
di riformare i Trattati adottando un nuovo assetto istituzionale per
salvare la moneta unica. L'opposizione è guardata con grande timore
dagli altri paesi dell'Unione, combattuti tra il desiderio di dare una
risposta ambiziosa alla crisi e il timore di creare nuove incertezze». [Beda Romano, Merkel alza la posta sui Trattati, Il Sole 24 Ore, 8 dicembre 2011]
In
poche parole: la Germania non vuole saperne di cacciare la grana, di
fare cassa comune, di collettivizzare i debiti sovrani e delle banche. O
meglio, non dice un no categorico, ma vincola questa possibilità al
cambiamento dei Trattati europei, ovvero all'obbligo per tutti i paesi
di politiche di rigore ancora più stringenti.
Due
qui sono i problemi. Che politiche stringenti di rigore spingerebbero i
paesi meno "virtuosi" nell'abisso di una recessione ancor più profonda,
col rischio del pauperismo di massa e grandi conflitti sociali. In
secondo luogo, la modifica dei Trattati, date le procedure di revisione,
chiede molto tempo —la procedura di revisione può essere ordinaria o
semplificata ma in ogni caso è necessaria l'unanimità e la ratifica da
parte di tutti gli Stati membri—, tempi che il crollo alle porte non concede.
Per spiegare questa refrattarietà tedesca alla terapia di Quantitative easing
suggerita da tutte le parti, la sola che potrebbe evitare la fine
ravvicinata dell'euro, in molti ricorrono alla spiegazione che, "i
governanti tedeschi sono stupidi, poiché se l'euro viene giù, saranno
guai grossi anche per la Germania".
Il sottoscritto dissente.
I tedeschi non sono "stupidi", semplicemente sono loro per primi che ritengono che il gioco non valga la candela, che anche con politiche monetarie espansive la moneta unica non verrebbe salvata. Questo in primo luogo. In secondo luogo la grande borghesia tedesca fa i suoi propri interessi e non si fa irretire dalla retorica europeista. Nel vortice di una crisi dell'Unione che mette in luce i suoi difetti strutturali e congeniti, il governo tedesco, la BundesBank e da un po' di tempo la gran parte della classe dominante, pensano, in sintonia con la gran parte della loro opinione pubblica ammaestrata, anzitutto a salvare la loro baracca. Berlino non vuole né barattare né svendere la propria sovranità nazionale, che in questo decennio, alle spalle di tanti discorsi demagogici, hanno strenuamente difeso.
I tedeschi non sono "stupidi", semplicemente sono loro per primi che ritengono che il gioco non valga la candela, che anche con politiche monetarie espansive la moneta unica non verrebbe salvata. Questo in primo luogo. In secondo luogo la grande borghesia tedesca fa i suoi propri interessi e non si fa irretire dalla retorica europeista. Nel vortice di una crisi dell'Unione che mette in luce i suoi difetti strutturali e congeniti, il governo tedesco, la BundesBank e da un po' di tempo la gran parte della classe dominante, pensano, in sintonia con la gran parte della loro opinione pubblica ammaestrata, anzitutto a salvare la loro baracca. Berlino non vuole né barattare né svendere la propria sovranità nazionale, che in questo decennio, alle spalle di tanti discorsi demagogici, hanno strenuamente difeso.
Ora
che tutti i nodi sono venuti al pettine, che per salvare l'Unione si
dovrebbe davvero passare ad un'entità statuale e politica effettivamente
sovranazionale europea, facendo una cessione decisiva di sovranità; ebbene a questo punto Berlino risponde Nein danke!
Il fatto è, e sarebbe ora che le sinistre fideisticamente europeiste ne prendessero finalmente atto, che dentro l'Unione, gli stati-nazione,
coi loro specifici interessi, le loro ambizioni geopolitiche, non sono
affatto scomparsi. Dovrebbero anzi prendere atto che la crisi sistemica,
mentre sfascia quella fragile e paradossale costruzione politica che è
l'Unione, ha teso non solo ad allargare le distanze tra gli Stati (vedi
la vicenda dello spread), ma li ha riportati in auge come i soli strumenti di autodifesa per proteggersi dal crollo generale. Solo le servili élite sinistrorse italiane ancora non vogliono prenderne atto.
Chi
scrive scommette dunque che il Summit di domani sarà l'ennesimo fiasco.
Se una pezza verrà messa, allontanerà il collasso non di un anno, ma di
un mese. Ammesso che una pezza venga messa o che, nel loro sbandamento,
i governanti europei non se ne escano addirittura con una pezza
peggiore del buco.
Una prova del nove sarà rappresentata dalla sorte dell'Esm (Meccanismo di stabilità europeo), il fondo che dovrebbe sostituire il mai davvero decollato Efsf (Fondo salva stati europeo).
Abbiamo detto che i "mercati" ritengono che per salvare la moneta
unica servono dai mille ai duemila miliardi. Quanti soldi i governi
daranno in dote all'Esm? 400-600 miliardi, questa è la cifra di cui si
parla. Sarebbe
come dare al tossico, non il metadone, ma un'aspirina. Questa sarebbe
la pezza? Il compromesso massimo che i tedeschi accetteranno? Allora
prepariamoci al de profundis della moneta unica.
Scrivevamo su SOLLEVAZIONE il 13 dicembre dell'anno passato, alle porte di un altro summit:
«Lo scontro non è tra chi vuole salvare gli interessi delle banche e della speculazione finanziaria e chi vuole punirle. La divisione è tra tedeschi e francesi, pronti a tutto pur di salvare i loro, e solo i loro, rispettivi sistemi bancari e finanziari (pieni fino all’inverosimile di titoli-carta-straccia), e gli “sfigati”, capeggiati dall’Italia, che propongono un salvataggio generalizzato, erga omnes, con una distribuzione dei costi direttamente proporzionale al portafogli di ciascuno. Due soluzioni diverse con la medesima logica alla base: socializzare le perdite, facendo pagare alle masse lavoratrici le perdite di banche e gruppi finanziari, affinché sia salvata la giostra impazzita del capitalismo-casinò. (...)
Dubitiamo che la riunione del Consiglio Europeo del 16-17 dicembre riuscirà a dirimere la questione. Con molta probabilità avremo uno stallo. Si prenderà tempo, nella speranza che giunga il contagio opposto, che la crescita tedesca si estenda ai paesi a rischio. Non solo noi, ma anche i più autorevoli analisti, per non parlare dei guru-banchieri, credono che la “ripresa” non ci sarà, e che di qui a breve l’Unione sarà posta invece di fronte al dilemma se salvare o no Portogallo e Spagna, con a ruota l’esplosione del bubbone italiano, e dunque la fine dell’euro. E perché ne sono convinti? Perché la speculazione finanziaria si sta già muovendo in questa direzione, cercando di trarre dal default dei PIIGS il massimo guadagno. La più classica delle profezie che si autoavverano. La cosiddetta “politica”, i governi, riusciranno a fermare la tempesta in arrivo? No, visto che questi governi sono da decenni Comitati d’affari del capitalismo finanziario, non possono avere una cura, dal momento che sono concausa della malattia». [Eurobond? Non eurocrack!]
Lo
stallo, un compromesso abborracciato, era possibile l'anno scorso. Ora
non più. La prova del nove sarà la reazione dei mercati finanziari, non
fra un mese o una settimana, ma lunedì 12 dicembre. Se il summit europeo
disattenderà le aspettative dei biscazzieri dell'alta finanza, è sicura
un'ondata di vendite di obbligazioni e azioni, con un crollo delle
borse di magnitudine più grande di quelli dell'estate e autunno scorsi.
La strada per il tracollo dell'euro sarà spianata.
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